La Madonna del Mulino e la tradizione del Doppio dell’Immacolata spiegata da Pier Giuliano Cecchi

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Anche se siamo già a Befana, vale la pena di tornare un poco indietro, all’inizio delle feste natalizie, per capire perché la tradizione Braghigiana le faccia coincidere con l’8 dicembre, Immacolata Concezione. È stato presentato il 19 dicembre scorso a Palazzo Pancrazi un opuscolo divulgativo che insegue le origini di questa tradizione, fortemente espressa dal “doppio dell’Immacolata” la sera del 7 dicembre, quando le campane del Duomo, tirate a turno dai campanari, suonano spianate per un’ora intera.Ed è proprio il gruppo dei campanari che si è posto per primo il quesito, investendo poi Pier Giuliano Cecchi, appassionato di storia barghigiana, di rispondere al dilemma; e dopo un lungo lavoro di archivio, grazie anche al patrocinio del Comune, il Cecchi ha restituito ai suoi compaesani un altro frammento della Barga che fu e del perché la celebrazione dell’Immacolata Concezione a Barga è così radicata.La tradizione del Doppio, dunque, si scopre derivare da una delibera comunale nel 1522, per celebrare la Madonna, venerata a Barga soprattutto grazie all’effige della Madonna del Mulino, compatrona assieme a San Cristoforo della cittadina.
Ma facciamo un passo indietro: tutto inizia nel 1512 quando un’immagine della Vergine dipinta in stile bizantino e conservata presso il Mulino di S. Cristofano (nella zona di Santa Maria a Catagnana) fu vista sudare per diversi giorni e quindi ritenuta miracolosa. Grazie alla presenza dei Francescani a Barga, infatti, la Madonna era molto tenuta in considerazione presso i barghigiani, e fu subito fuori di dubbio che quell’immaginetta sacra andasse onorata come si doveva.
Dal 1522, allora, superate le diatribe sul diritto di possesso e sulla sistemazione della Madonna del Molino in Duomo sorte tra clero e comune, con una delibera si impose al popolo che nel giorno scelto per i festeggiamenti della Vergine, l’8 dicembre, appunto, a Barga si facesse festa come fosse il giorno di Pasqua, prevedendo addirittura ammende per chi contravveniva a questa regola, e suonando a festa le campane del Duomo.
Ecco svelata, almeno in due parole, una tradizione ormai lunga cinque secoli, che però, nella pubblicazione di Pier Giuliano Cecchi si arricchisce di maggiori dettagli ed è corredata da brani dei documenti del tempo, il tutto introdotto dalle parole del Sindaco Bonini, della delegata alla cultura Giovanna, di Don Stefano Serafini e da quelle del Gruppo Campanari, primi ispiratori di questa ricerca.

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