Pasqua di un tempo e di oggi

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(dal Giornale di Barga n. 855 del marzo 2022)

Ciò che abbiamo veduto e vissuto sembra non appartenerci quasi più. Non tanto perché abbiamo dovuto subire due anni di pandemia, ma perché un certo ordine di cose e di pensieri ha cominciato a venirci meno, a seguito di mutamenti non voluti da noi, ma da qualcosa di inspiegabile, che si è formato o addensato poco a poco, frapponendo fra di noi ed il nostro passato una sorta di barriera. Così pure le ricorrenze tradizionali, epicentro della nostra civiltà, sono cambiate. La Pasqua  che ci apprestiamo a festeggiare non sembra infatti più  quella del passato. A cominciare dalla partecipazione che, fin da ragazzi, almeno noi di una generazione non granché giovane, ci mettevamo, vivendola, davvero, come un evento unico, non solo sotto l’aspetto religioso, ma anche come un lascito degli antenati.

Frequentare la chiesa del proprio paese, o del rione dove abitavamo, ci dava un senso di comunità e di appartenenza. Cosa sminuita nel tempo. Non per indisposizione interiore, ma perché le chiese dei paesi, specie dei monti e di campagna, sono in buona parte tenute chiuse durante il giorno, così molte di quelle di città. Per ragioni di sicurezza, hanno orari deliberati con aperture e chiusure prestabilite. Al pari delle chiese, sono disabitate molte canoniche. Mancano i sacerdoti. E quelli che ci sono debbono accollarsi più di una parrocchia, svolgendo un lavoro non indifferente, che li vede oltremodo impegnati. Ne consegue che quel mondo di incontro, intesa e appartenenza che esisteva nel passato ha perduto spessore e smalto. Anche le frequentazioni della chiesa sono quindi divenute fugaci, e solo negli orari consentiti. I fedeli non hanno più, durante il giorno, il libero accesso che vorrebbero per ritirarsi in preghiera, oppure per visitare o scoprire le opere d’arte che le chiese custodiscono. Un danno quindi duplice.

Pasqua è di gran lunga diversa al Natale. Quest’ultimo celebra la venuta al mondo di Gesù, quindi una festa che ci porta a rivivere, nella grotta di Betlemme, un avvenimento unico: la nascita del Redentore, osannato sia dal pastori, sia dai Re Magi, provenienti da terre lontane. La Pasqua  ci mette invece di fronte alla Passione di Nostro Signore, che si immola per la salvezza dell’umanità. Il profeta Isaia, molti secoli prima, ebbe modo di contemplare questo evento in una visione:

“Lo vedemmo e non mostrava di sé bellezza alcuna su cui potessimo fermare i nostri sguardi: spregevole come l’infimo dei mortali, era l’uomo di tutti i dolori. Carico delle nostre infermità, s’era addossato le nostre debolezze. Fu trafitto dalle nostre iniquità, fu maltrattato dalle nostre colpe, prese su di sé il nostro castigo, affinché noi ottenessimo la pace; per le sue ferite fummo risanati”.

Frasi assolute, frasi che toccano e che dovrebbero indurci a riflettere su questo nostro presente, soggiogato da un caos quotidiano che ci fa sentire smarriti, come se il nostro intimo stesse per disgregarsi. Più che mai dunque, nella festa della Pasqua, dovremmo cercare di ritrovare il bambino e l’adolescente che, in una chiesa di paese o di città, insieme ad altri, e guidato da un sacerdote, seguiva le stazioni della Via Crucis. E di lì ripartire, con l’ausilio anche di due grandi mistiche, che fecero della Passione di Cristo, il lor scopo di vita: Santa Gemma Galgani, la più grande mistica del Novecento, i cui antenati vengono da Pescaglia e Santa Faustina Kowalska la Santa della Divina Misericordia alla quale Cristo chiese che quando l’orologio batteva le tre del pomeriggio (momento in cui Gesù muore in croce) si ricordasse di immergersi nella Sua Misericordia: adorandola ed esaltandola, avrebbe invocato la Sua onnipotenza per il mondo intero, specialmente per i poveri peccatori. Un’ora dove chi la rievoca, ottiene tutto per e stesso e per gli altri. In quell’ora – prosegue il Redentore –  fu fatta  grazia al mondo intero, la Misericordia vinse la giustizia. E chi non ha la possibilità di fare la via Crucis, o di ritirarsi in una chiesa, basta lo faccia nel suo cuore, nel suo intimo come quando si prega, ed ovunque si trovi. E conclude:

“Voglio il culto della Mia Misericordia da ogni creatura, ma prima di tutto da te, poiché a te ho fatto conoscere questo mistero nella maniera più profonda”.

Anche nel Vangelo, Cristo ci invita a ritirarci nella propria stanza e pregare, poiché il Padre sa già ciò di cui abbisogniamo. Ecco, nonostante la nostra realtà sia mutata, e ci metta sovente a dura prova, nella Pasqua, nel suo messaggio, nelle preghiere dei mistici, e nella Passione di Nostro Signore, possiamo ritrovare quanto ci sembra di aver perduto, ma che perduto non è. Come non sono andate perdute le parole delle Sacre scritture.

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