KME a confronto con i sindacati, ecco la ricetta per puntare al rilancio.

-

Un termovalorizzatore che utilizzi gli scarti di cartiera, ma che si farà, secondo quanto emerso, solo nel rispetto di una minore emissione globale della fabbrica; che insomma, se i dati raccolti in fase di verifica del progetto non rispondessero anche alle esigenze di migliorare le emissioni, l’azienda non realizzerebbe e tornerebbe ai “santi vecchi” ovvero a produrre attraverso il vecchio Forno Asarco. Ma andiamo per ordine, perché questo sarebbe uno dei punti illustrati ieri dall’AD di KME, Claudio Pinassi ai sindacati confederali nella riunione svoltasi nella sede di Confindustria dove si è parlato del progetto generale previsto per il rilancio della produzione della fabbrica. Un progetto di rilancio e sviluppo produttivo ed occupazionale, che appunto ha al suo centro questo possibile termovalorizzatore; permetterebbe infatti secondo l’azienda il potenziamento della produzione attraverso i forni elettrici e quindi, parole dell’azienda riferite dal segretario provinciale della FIOM CGIL; Mauro Rossi: “un risparmio di circa 10 milioni di euro ed un rilancio produttivo con traguardo le  80 mila tonnellate annue ed il pieno recupero di tutte le maestranze a rischio (si parla con il progetto a regime di 135 unità da reimpiegare tra fonderia, impianto termovalorizzatore e nel nuovo centro studi da realizzare con il recupero del centro ricerche).

Il piano punta al rilancio della produzione di semilavorati di rame e leghe con l’utilizzo di impianti fusori alimentati da energia elettrica; questo grazie al raggiungimento di un’autonomia energetica che permetta la sostenibilità nel tempo della competitività e redditività dello stabilimento (con una crescita del 10-15% in più all’anno) attraverso la realizzazione di un impianto di generazione di energia elettrica destinata alle esigenze della fabbrica (10-12 Megawatt).

Come dichiara sempre Rossi della FIOM: “La nostra preoccupazione era comunque di capire se ci fosse un piano B; di capire, se il progetto di realizzare tutta l’operazione partendo da un termovalorizzatore non potrà essere realizzato , e questo metterà a rischio il futuro dello stabilimento.

Il piano B in realtà c’è eprevedrebbe di tornare a riaccendere, il vecchio Forno Asarco  ma in questo caso non sarebbero garantire le solite economie di gestione e nemmeno di raggiungere le stesse capacità produttive del piano che ha in mente l’azienda”.

Anche Giacomo Saisi, segretario della UILM Toscana Nord, definisce interessante quanto emerso dall’incontro. “Noi possiamo solo fare una valutazione a livello occupazionale e produttivo ed in questo i dati presentati sono interessanti perché qui si parla di ricreare occupazione e riportare produzione ed anche sviluppo a Fornaci.  L’azienda, sul discorso termovalorizzatore ci assicura che si rimarrebbe abbondantemente entro i limiti delle emissioni autorizzate. E’ difficile dire di no ad un progetto dove sulla carta di abbassano  le emissioni in atmosfera, si crea occupazione, si ridà sviluppo ad un territorio con il recupero del centro ricerche. Sarà chi di dovere a garantire la sicurezza di un impianto come quello previsto a Fornaci, e per quanto ci riguarda abbiamo il compito di vigilare e di verificare che tutto quello che l’azienda ci dice corrisponda alla realtà delle cose e che il progetto sia realmente fattibile senza mettere a rischio la salute della gente”.

Tag: ,

Lascia per primo un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.