KME e Fanin, i timori di sindacati e lavoratori oggi in sciopero per combattere le incognite del futuro

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Hanno incrociato le braccia per quasi tre ore i dipendenti di KME Italy, in protesta a Fornaci come a Serravalle, contro la ristrutturazione avviata ad agosto e che appare – a dipendenti e sindacati – affatto rassicurante. Assieme a loro i colleghi della Cooperativa FANIN, da decenni partner dello stabilimento fornacino e attualmente anch’essa in grande crisi.

Dopo un’ora di assemblea sindacale dalle 8.30 alle 9.30, le tute blu sono uscite su via della Repubblica per manifestare anche alla stampa e alla popolazione le loro preoccupazioni, assieme ai rappresentanti sindacali dell’azienda e della provincia, Mauro Rossi per FIOM CGIL e Narcisa Pellegrini per FIM CISL.

La crisi economica mondiale, l’aprirsi di nuovi mercati e il mutare delle necessità ha infatti già da anni cambiato gli assetti del mercato del rame e dei suoi derivati e l’ultima tegola che ha proposto il Gruppo, secondo sindacati e operai, è stata quella di “ristrutturare” finanziariamente gli stabilimenti, badando ai meri calcoli piuttosto che a volumi e tipi di produzione.
In questa nuova fase sono stati divisi i prodotti in “Special” e “Standard”. I primi sono prodotti come le lingottiere, per cui KME ha ancora ampio mercato e contatti in tutto il mondo. I secondi sono prodotti più comuni, realizzati anche da altre aziende come i laminati.
Spiega il delegato sindacale Emilio Cecchini:

“A quanto pare il gruppo – che “gruppo“ ormai non è più, avendo dismesso le aziende di Spagna, Francia, Inghilterra – ha intenzione di puntare tutto o quasi sugli “speciali” a capo della cui gestione è stato messo un dirigente tedesco.
A Fornaci si semilavorano lingottiere per acciaierie (ed attualmente c’è un accordo con un magnate per tre anni di fornitura), ma ciò impegna 70-80 persone. Tutte le altre sono impiegate in produzione di prodotti “standard”, quelli su cui l’azienda non ha più intenzione di investire.

Cosa si teme dunque?

che presto non abbia più senso mantenere una produzione che rende bene ma che impiega poche persone e che comporta trasferimenti dalla Germania all’Italia (non tutto il ciclo degli speciali si compie a Fornaci) e che quindi, in un clima di ristrutturazione finanziaria, si scelga di trasferire tutto altrove, dove sono già state spostate altre lavorazioni. In Germania cioè.”

Uno spettro che aleggia su Fornaci da anni, ma che ora è reso ancora più inquietante dalla ristrutturazione avviata da qualche settimana.
L’amministratore delegato di KME Italy Riccardo Bottura è stato infatti sollevato dal suo incarico, così come è stato rimosso il CEO Riccardo Garrè. Un uomo che era cresciuto nello stabilimento di Fornaci e che, insieme a Bottura, secondo i dipendenti, era un buon interlocutore per parlare di produzione e di operatività e, perché no, di rilancio.

“Adesso – spiega ancora Cecchini – ai vertici ci sono solo figure “finanziarie” e con loro sarà impossibile parlare direttamente di ciclo produttivo, di potenzialità e possibilità di potenziamento, di investimenti. I nuovi dirigenti penseranno solo ai conti, ed ogni richiesta e decisione dovrà essere presentata e discussa con il board, allungando i tempi e limitando di molto quell’autonomia che, alla fine, il gruppo aveva sempre lasciato.”

Eppure, sempre secondo i sindacalisti, lo stabilimento di Fornaci avrebbe ancora le carte in regola per restare sul mercato, con 99 anni di esperienza in certi tipi di lavorazioni e un costo del lavoro tra i più bassi in Europa. È anche vero, però, che se per motivi economici e logistici il gruppo continuerà a ristrutturare, tutto questo know-how potrebbe andar perso in pochi anni, magari trasferendo i reparti in Cina (sul cui mercato KME si sta affacciando) e Germania.
E le menti vanno alla revisione per prodotti che fu fatta ai tempi di Luvata, quando il redditizio ramo d’azienda dei super conduttori fu prima ceduto e poi smantellato del tutto in capo a tre anni; ricordo che ora fa aumentare la preoccupazione di sindacati e dipendenti.

Come procedere allora? Si attende il 23 settembre, data in cui, a Lucca, i sindacati incontreranno l’azienda dalla quale si aspettano un piano industriale che possa dare rassicurazioni e non parlare di lenta dismissione. La ricetta? Investimenti su ricerca e sviluppo per affacciarsi su nuovi mercati, politiche “aggressive” per piazzarsi.

E per la cooperativa Fanin cosa è possibile fare? anch’essa naviga in cattive acque e questa mattina i suoi dipendenti hanno preso parte all’agitazione dei colleghi di KME.
Ieri si è tenuto un incontro con gli amministratori del comune di Barga nel tentativo di smussare gli angoli ad un’aspra contrapposizione tra direzione e dipendenti. Il motivo? Un passivo che FANIN vorrebbe rifinanziare con il contributo di soci lavoratori e lavoratori semplici che però si oppongono:

“la crisi finanziaria della cooperativa non è imputabile a noi e per questo non vogliamo essere noi a risanarla con tagli sullo stipendio e diminuzioni di orario.” Dichiara il rappresentante Antonio di Natale.

Sindacati e azienda sono dunque ancora distanti, anche se si cerca il modo per incontrarsi. Importante sarà il prossimo incontro, ancora da definire nella data, in cui verrà messo sul tavolo quanto è disposta l’azienda e quanto i lavoratori a ripianare il “buco” e durante il quale andranno definite le garanzie perché non si ripresentino passivi come temono sindacati e lavoratori.

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