Lo sviluppo fornacino legato all’emigrazione (Prima parte)

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Quando dal 1840 in poi, quasi esclusivamente al Nord Italia, si iniziarono a sentire gli effetti della rivoluzione industriale già in atto in buona parte dell’Europa, nel Granducato di Toscana i mutamenti furono pressoché inesistenti. E ciò non fu dovuto soltanto alla mancanza di grandi capitali, che avrebbero innescato un processo di crescita industriale, ma anche dal consolidarsi di una linea economica liberistica sostenitrice della mezzadria. Al momento dell’unificazione con il Regno d’Italia, le attività industriali presenti nel Granducato erano ancora di scarso rilievo e gli effetti degli avvenimenti geo-politici che portarono all’unità, con ripercussioni negative su buona parte del territorio nazionale, fatalmente si riversarono sulla debole economia locale.
A Fornaci di Barga, oltre agli opifici per la produzione di laterizi, erano presenti anche alcunefilande da seta – quelle di Paolo Da Prato, Francesco Cheloni, don Pietro Verzani erano funzionanti almeno fino al 1850 – che davano un po’ di lavoro e un certo guadagno, ma il reddito della popolazione, derivante in maggior misura dall’agricoltura, era ancora alquanto scarso. A pochi metri dal Ponte della Loppora era stato scoperto anche un filone di lignite che fu sfruttato da una società della Garfagnana e pure questa attività dette lavoro e un po’ di profitti. Fu addirittura pensato di costruire nei suoi pressi una fornace, ma un bel giorno, gonfiato da piogge straordinarie, il torrente portò via ogni cosa e le due attività non furono riaperte. Sulla riva del Serchio, in località Catarozzo, di proprietà di Giuseppe Mazzoni, esisteva anche una fabbrica di polvere.
Data la scarsità di lavoro, così come avveniva per il resto della valle, anche i fornacini furono costretti ad intraprendere la via dell’emigrazione. Dal territorio barghigiano il movimento migra-torio era già diffuso durante il XVII secolo. (…) Dal Comune di Barga, nel periodo 1° settembre 1865 – 31 dicembre 1877, emigrarono legalmente 1.295 persone, mentre molti altri individui, signi-ficativi anche come numero, espatriarono clandestinamente… Intorno alla metà di quel secolo, barrocciai, renaioli, fornaciai, stallieri ed altri lavoratori, iniziarono a trasferirsi, anche se solo sta-gionalmente, nelle Maremme, all’Elba e in Corsica. In seguito, tuttavia, molti giovani si aggre-garono alle compagnie di figurinai itineranti esistenti sul territorio e, di conseguenza, iniziò un’emi-grazione verso l’Europa e la lontana America.
Tra il 1865 e il 1900, le partenze per un Paese straniero, riscontrabili dai registri della parrocchia barghigiana, furono di oltre 8.000 residenti: 2.713 nella cittadina e 5.532 nella campagna circo-stante. Durante l’ultimo decennio del XIX secolo, ovviamente nel frattempo si continuò ad espatria-re e ad esempio nell’anno 1890 dal Comune di Barga partirono in 259, numerosi emigranti intra-presero la via del ritorno.
Il movimento migratorio, almeno da inizio ‘900 in poi, proseguimento di quello precedente, fu maggiormente programmato, meno girovago e, per certi aspetti, pioneristico. In effetti era più facile che emigrassero famiglie intere o almeno una parte del nucleo consanguineo e che gli espatriati rag-giungessero destinazioni dove c’era già un gruppo di parenti, di amici o di conoscenti. Altri, invece, raggiungevano l’estero dopo una chiamata di lavoro.
Il fenomeno calò in modo significativo durante il primo conflitto mondiale e, progressivamente,dagli Anni ’30 del secolo scorso. Tuttavia dal 1901 al 1934 dal Comune espatriano ben 9.086 indi-vidui: 4.694 in Europa, in particolare Scozia e Inghilterra; 3.710 nell’America del Nord; 613 inquella meridionale; 69 in Africa e Australia. Più di un terzo, 3.376 persone, si recarono fuori dai confini nazionale dal 1906 al 1913.
Nel decennio 1935-1945, anche in seguito alle leggi restrittive dei Paesi stranieri, ma princi-palmente di quelle italiane, e più avanti per la guerra, l’emigrazione subì un vero e proprio tracollo: espatriarono in 56 (probabilmente qualcuno lo fece clandestinamente anche in questo periodo, ma non furono numeri significativi così come lo erano stati per le epoche precedenti). Dal 1946 al 1965, con punte massime nei primi anni del secondo dopoguerra e tra il 1955 e il 1957, i residenti che lasciarono le loro case e le loro abitudini raggiunsero le 2.414 unità.
…“sbarcati dagli ignoti mari
scorrean le terre ignote con un grido
straniero in bocca, a guadagnar danari
per farsi un campo, per rifarsi un nido”…
Giovanni Pascoli, “Italy”, in G. Pascoli “Poesie”.
Continua…

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