Scacco al re (quarta e ultima puntata)

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Come pietre miliari, le nostre partite del venerdì pomeriggio scandirono quella calda estate che, infine, cedette malinconicamente all’incalzare dell’autunno.
La temperatura si fece più fredda e il bicchiere di the venne sostituito dalla tazza di cioccolata fumante ma, nonostante i miei sforzi, di vincere almeno una partita non se ne parlava proprio.
Un paio di volte ero andato vicino a ottenere una patta, che per me a quel punto valeva come una vittoria, ma all’ultimo il mio avversario era riuscito a estrarre l’ennesimo coniglio dal cilindro lasciandomi a subire l’ennesima sconfitta.
Guido, però, non stava bene.
Faceva di tutto per dissimularlo, ma non potevo non accorgermi del suo sguardo velato, della pelle che sembrava assottigliarsi ogni volta di più e dei sempre più frequenti attimi in cui la sua mente sembrava vagare in luoghi a lui solo accessibili.
Anche il suo passo si era fatto più incerto e la sua mano era meno ferma mentre muoveva i pezzi sulla scacchiera.
Non lo davo a vedere ma ero preoccupato per questo inaspettato amico che, ostinatamente, continuava a darmi del lei facendomi sentire meno ragazzo e quasi uomo.
L’autunno della sua vita sembrava volgere rapidamente all’inverno e lui era come una foglia ingiallita che cercava di resistere al vento del nord che voleva portarla via con sé.
Il primo venerdì di dicembre suonai alla sua porta più e più volte finché, rassegnato, me ne andai a testa bassa e la stessa scena si ripeté nei giorni successivi.
Cadde l’ultima foglia e la prima neve imbiancò le montagne, ma le persiane della sua casa rimasero ostinatamente chiuse.
I miei diciotto anni mi regalarono l’illusione che fosse andato ad abitare dalla figlia e trovai conforto nel pensiero di lui al caldo e accudito con amore ma un giorno, passando davanti alla sua casa, vidi le finestre aperte e una donna che si aggirava all’interno tra mucchi di scatoloni.
Col cuore che batteva forte suonai alla porta e il volto tirato di lei sgretolò in un attimo anche le mie ultime illusioni.
«Lei deve essere il suo amico…»
mi disse fissandomi con gli occhi di chi non ha più lacrime da piangere.
«Si…» cercai di rispondere risposi con un nodo che mi serrava la gola.
«Aspetti qui!» e sparì, per tornare subito dopo con la scacchiera sulla quale avevamo giocato le nostre partite.
«Ha voluto lasciarle questa come ricordo. Sapeva di essere arrivato in fondo e me lo aveva detto per tempo di fargliela avere. La prego di accettarla»
Non so nemmeno se riuscii a balbettare qualcosa e ricordo che, come inebetito, stringevo quel regalo mentre la porta si chiudeva lentamente sul sorriso triste di lei.
Durante gli anni successivi ho dovuto traslocare spesso, ma in ogni nuova casa la scacchiera di Guido ha sempre avuto un posto d’onore e anche adesso è lì, con quei pezzi schierati in eterna attesa del tocco di quella mano sapiente che l’età aveva reso un po’ incerta e leggera.
Il mio sguardo la sfiora e ripenso con un sorriso al più caro e improbabile amico che abbia mai avuto.
Un amico che ogni ragazzo dovrebbe avere la fortuna di incontrare sul suo cammino.

FINE

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