Ricordi fornacini: i giochi in Fornaci vecchia

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Fornaci Vecchia, la mia Fornaci; sì, la mia. Io e la mia famiglia ci siamo trasferiti da Barga a Fornaci quando io ero ancora piccolo. I motivi  erano che il mio babbo lavorava alla S.M.I. e non avendo la macchina, forse perché a quel tempo non se la poteva permettere, doveva spostarsi con la Vespa e con tutti i tempi era dura. Comunque andammo ad abitare a Fornaci, Fornaci Vecchia. Per me il trasferimento non fu un grande trauma, ero un bambino, ma per la mia famiglia non doveva essere stato facile. A Barga abitavamo sotto l’ospedale, in campagna; mia nonna Alice e mio nonno Giovanni erano contadini, sempre nei campi o ad accudire le “bestie”. Ritrovarsi a Fornaci senza i campi, solo muri e cemento, senza più alzarsi presto per andare a lavorare la terra, per loro deve essere stata dura; ricordo che mio nonno morì di lì a poco. Lo ricordo vagamente, sempre a casa con la mia nonna seduto su di una poltrona a guardare fuori dalla finestra; forse sperava che un giorno avrebbe rivisto i suoi campi.
Abitavamo in un casamento in Fornaci Vecchia, vicino alla Chiesa e per me era una festa; non  misi tanto a fare amicizia con tanti ragazzi: la piazza della Chiesa era una specie di ritrovo, il nostro social, ma reale; conobbi Fabio, Antonio suo fratello, Mario, Marcello, due Mauro, Riccardo, Roberto, Luciano, Giuseppe, Gabriele, poi gli “stranieri” Claudio e Stefano.
Ci bastava poco per passare le giornate, un pallone e via partite infinite a porticina, così si chiamavano le partite che giocavamo a “Porticine”; una era la porta del campanile, l’altra dove ora c’è una porta secondaria d’ingresso, dove a quel tempo c’era solo una cornice con un crocifisso di metallo.  Poi c’era la porta della sacrestia, vicino alla saracinesca della misericordia con un piccolo e stretto corridoio… non vi dico quando la palla finiva lì, in 3 metri di stretto corridoio, due squadre, calci in qua e là e spesso non si vedeva il pallone… l’impresa era uscirne senza gravi conseguenze. Altri momenti, altri giochi: “rimpiattino”, “pum morto”, chi se li ricorda? Poi giocavamo con i fucili con gli elasticini: andavamo dal Michi
che riparava le biciclette e gli chiedevamo le camere d’aria rotte, poi tagliavamo dei cerchi fini e con quelli, intrecciandoli, facevamo i “proiettili “; alla fine prendevamo un pezzo di legno, rubavamo un chiappino per i panni alla mamma e lo fissavamo con gli elastici al legno; i proiettili erano fatti con gli elastici intrecciati:  mettevamo un capo dentro il chiappino e agganciavamo l’altra estremità alla fine del legno. Quando aprivamo il chiappino, l’elasticino partiva a razzo.
Ma non si poteva giocare a pallone in Piazza della Chiesa, forse era un po’ pericoloso, perché quando la palla finiva nella strada, non tutte le volte ci fermavamo a guardare che non arrivassero macchine che ci potevano arrotare… ma che ricordi io, non è mai successo niente, solo una volta una persona passava con una vespa e arrotò il pallone e guidatore e vespa finirono per terra… noi, in meno di 5 secondi, sparimmo  dalla piazza.

Non potendo giocare eravamo dei… “fuorilegge” e allora ogni tanto e sempre all’improvviso, arrivava la guardia, che di solito requisiva il pallone e avvisava i genitori, guarda caso sempre i miei, perché la “mi’ mamma” aveva la lavanderia vicino alla piazza e quando passava di lì, gli diceva che giocavo, ma la “mi’ mamma” mi diceva sempre solo di stare attento.

Giocavamo quasi sempre la sera, ma se giocavamo di pomeriggio, mettevamo sempre un paio di ragazzi più giovani a fare la guardia che se vedevano la famosa, per noi, “600 blu scura” del Baraglia, davano l’allarme; così  nascondevamo il pallone e tutti a sedere sulle scale della Chiesa… La 600 passava nella strada, rallentava e vedendoci buoni, buoni sulle scale, ripartiva, ma a volte ritornava… sempre a sorpresa…. Avevamo le nostre vie di fuga; nel caso di “pericolo Baraglia” una era scappare per la via Vecchia, un’altra verso piazza del Begnamino, e un’altra ancora verso casa delle mie nonne. Un pomeriggio mettemmo i giacchetti infilati nella ringhiera che andava verso piazza del Begnamino, arrivò la guardia e tutti in fuga da quella parte… uno di noi, scappando di corsa, prese al volo il giacchetto e mezzo rimase attaccato alla ringhiera.

C’era un altro pericolo, anzi due: uno erano gli spuntoni della recinzione, che non so quanti palloni ci hanno forato, ma noi avevamo trovato un rimedio: ci mettevamo i tappini delle penne e non si foravano più. Ma se i palloni cadevano oltre la recinsione, erano morti!  Non tornavano mai sani e salvi a noi, ma venivano massacrati, dal “Memmere”, nonno del Nilo Riani, il padrone del giardino. Aveva un bastone con cui raccoglieva le foglie a terra, con una punta e quando si giocava stava mezzo nascosto su una panchina, se il pallone cadeva nel giardino lui arrivava e… pufffff… il pallone era morto. Ma questo non ci scoraggiava: ormai si sapeva che per giocare una partita ci volevano 3/4 palloni “super tele”; prima di cominciare facevamo la colletta e andavamo dalla “Velia”, il tabacchino di Fornaci Vecchia e ne compravamo un bel po’; poi se avanzavano, avevamo un posto sicuro dove mettere i superstiti: la Velia era una di noi…
Quando, raramente, succedeva di trovarci il pomeriggio ed essere in pochi per una partita a porticine,  a volte decidevamo di fare una capatina in Fornaci nuova; eravamo in 2 o 3 e andavamo dove adesso c’è la Chiesa nuova; c’erano dei prati e  guardavamo giocare… poi un gelato, se avevamo i soldi, e un giro verso il Campone; a volte arrivavamo fino alle case operaie, poi qualche volta, non tante volte, per tornare in Fornaci Vecchia prendevamo  in prestito una bicicletta abbandonata, che, una volta arrivati,  parcheggiavamo alla periferia di Fornaci Vecchia.
Fornaci Vecchia era un mondo dove c’era tutto: una macelleria, la Brada, due alimentari, la Cecchina e la Casilda, un fruttivendolo, il Mirio, due ciabattini, il Piacentini e il Mutolino, il barbiere il babbo del Mirio, il Bar che noi chiamavamo Alfredina, la lavanderia della mi’ mamma, la merceria sali e tabacchi della Velia, fornitrice ufficiali dei palloni per le porticine.

Non c’era bisogno di uscire da quel mondo, se non per fare una girata e vedere cosa c’era oltre…

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