L’Antica Collocazione del pulpito del Duomo di Barga

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DAGLI APPUNTI STORICI DI MARIA VITTORIA STEFANI”L’ANTICA COLLOCAZIONE DEL PULPITO DEL DUOMO DI BARGA”INTRODUZIONEIl “superbo” Duomo di Barga – usiamo l’appellativo con cui definì il nostro maggiore monumento il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi quando venne in visita a Lucca – inseritò lassù al centro della Rocca dell’antico Castello di immemorabili origini, è senz’altro la più importante attrattiva turistica del luogo. Lo possiamo constatare dai tantissimi visitatori, che durante tutto l’arco dell’anno, da ogni dove muovono a visitarlo, anche perché al suo interno è conservato uno dei più bei pulpiti di marmo di tutta la Toscana. Questi, come nei tratti principali il Duomo, è opera di quelle maestranze comacine che nel corso 1100 e 1200 solcarono la nostra regione, le sue città, i borghi, lasciando in tantissimi luoghi l’impronta della loro affascinante e stupenda arte, come ieri, anche oggi sommamente ricercata.Per quei pellegrini in cerca delle loro memorie – sorta di moderni “comacini” senza scarpelli – Barga è tra le mete preferite, perché sanno che nel Duomo e nelle sculture che lo ornano, all’esterno come all’interno, possono trovare parte dell’anima di quelle maestranze.Cosicché, lasciata la macchina o l’autobus al di fuori del centro storico ed entrati per porta Reale – e così incamminatisi verso la meta – nonostante sappiano e abbiano già l’idea di ciò che li aspetta, giunti in piazza Ser Barghesano non possono fare a meno di restare già attratti, se non addirittura sorpresi, dall’immediata e improvvisa vista del maestoso monumento erto sulla cima del colle, il Duomo di Barga. Specialmente nei giorni di sole, quando quei pellegrini vengono investiti dall’alto dalla visione quasi abbagliante della sua facciata, alla cui destra si mostra il massiccio campanile fiero e geloso custode di armoniose campane e quel tutto, innalzato su di una fuga di tetti rossi in un lenzuolo di cielo azzurro solcato di cirri, gli si fa spettacolo sublime in bellezza e non di rado si può udire la loro meraviglia.Poi la via gli continua tra palazzi fascinosi di storia e di uomini scritti su muri in lastre d’arenaria e bronzo, ed anche loro sentono, per altre vie del cuore e del sentimento, che qui si vive in un sogno di pietre che sanno d’incenso e di armi che cozzano e cullati in preghiera dal suono di quelle immaginate campane or mute, che poi tocche da martelli, sentono scandir quel tempo che andò sino a noi e…. ricorda un canto, che un Poeta sentì fremere nella ospitale terra, e volle scriverlo! – messaggio che travalica ogni cosa e ogni tempo
-: … “piccolo il mio grande il nostro”. Sia pur piccola la mia casa e sconnessa, ma grande quella di tutti, il Duomo. Giunti poi “all’angolo più quieto della quieta Barga”, come quel Poeta dei sogni di culla sentì essere – ed è vero – eccoli laddove la via termina e sono all’ingresso della Rocca di Barga – “l’Acropoli Barghigiana” – ove racchiusi stanno quegli ideali di pietra che, tra obligue linee di grigi e chiari muri, gli si annunciano vicini, alla vista del campanile che sale al cielo.
La via che lasceranno dietro a sé è detta del Pretorio perché conduceva – sempre là in alto – al palazzo del Podestà fiorentino che amministrava la giustizia Barghigiana. Lassù, al palazzo e al Duomo, vi si sale rampicando una ripida salita e un tempo chi vi si accingeva, se reo di un sia pur lieve sgarro alla più che permalosa giustizia, era bene si facesse un primo segno di croce sotto il “Leone Fiorentino” o meglio il Marzocco, che Firenze poneva all’ingresso di ogni luogo in cui s’incontrava il suo potere; poi un secondo segno, gonfio il cuore di fatica nel salir e di timor divino, era bene farselo transitando sotto i leoni del Duomo.
Quei visitatori quando saranno saliti lo potranno vedere da vicino quel palazzo di giustizia. Sta nel fondo di un lungo prato, detto l’Arringo, sul cui fronte si apre la Loggia dei Podestà. Era la residenza di quegli uomini nobili – non sempre nei fatti – che Firenze inviava nella fedele Barga, le cui ombre vivono nei sussurranti stemmi logori dal tempo che lima ogni cosa, ma che non quieta quell’arcano sentire, un bisbigliar sommesso di voci prestate anche allo storico edificio, fratello minore in grandezza, ma pari in vicende e storia al gigante Duomo.
Lo calcheranno quel prato che è detto l’Arringo e l’erudito del giorno forse dirà che la parola viene da arringare perché qui si riunivano a parlamento…. ma tutti gli altri, tirando di lungo, accenneranno solo col capo di aver capito che quello è un luogo particolare.
Ma ci sarà qualche estraneo a loro che, colpito dall’insopportabile noncuranza al tentativo del sapiente, gliene prenderà la parte? Chissà! Però a volte se ne possono incontrare di queste persone un poco speciali – sorta di sacerdoti laici che custodiscono quel fuoco primo che generò l’impresa del luogo in cui vivono – le quali, per quel profondo amore per la storia e della loro in particolare, certamente sapranno andare in soccorso all’erudito, stoppando all’istante il tentativo di allontanamento degli amici da un importante aspetto da raccontarsi e che è stato solo accennato; ma sentiamolo: “perdonate signori; è ben vero ciò che diceva il vostro amico, questo è un luogo sacro alla storia, particolarmente a quella della nostra gente, perché qui si radunavano gli avi a Parlamento per le cose importanti della Terra – come discutere di pace o di guerra – a comando convocati dai maggiorenti del Castello, Podestà e Consoli, che chiamato il messo del Comune gli ordinavano il giorno stesso di andare con la tromba nei soliti luoghi del Castello ad annunciarne la decisione; mentre al campanaro salariato dal Comune di andare l’indomani, giorno di Parlamento, sul campanile del Duomo per il consueto avviso del radunamento, consistente nel lungo, solenne, ma lento suono della campana grossa. Oggi tutto è cambiato. La tromba tace. La campana del Parlamento pure; anche se animosi campanari, in barba ai moderni congegni elettrici, continuano a tirarla, anzi a tirarle come allora a corda per le funzioni liturgiche del Duomo e la sera, alle nove d’inverno e alle dieci d’estate, la mezzana per la “ritirata” – ciò che è rimasto immutato è la giustizia, sempre permalosa, ma non la si esercita più qui – quindi, quando oggi si sale per raggiungere il Duomo, l’Arringo e il palazzo del Podestà, l’animo nostro è unicamente soave e se non lo fosse lo sarà, perché quassù, in questo trionfo d’arte e natura che sorprende ogni giorno anche noi, il cielo è l’amico di tutti e l’occhio può spaziare, come disse tanto tempo fa il grande Indro Montanelli, in un panorama “incommensurabile” che anima e distende”.
Rimessici sui passi dei nostri visitatori eccoli ora sul piazzale antistante al Duomo; riprenderanno fiato appoggiati alle murelle e in un lento vagar con gli occhi nel catino di natura che gli si è aperto tutto intorno, circonchiuso tra le pietrose Panie e i viridi Appennini, inizieranno a indicare quei turriti paesi disseminati qua e là, beatamente appollaiati su tutte quelle pendici e gli parranno starsene lì, giorno per giorno, in attesa che il vento gli porti il soffio di vita.
Sospirata la loro nuova meraviglia, poi entreranno in chiesa e subitamente, nel silenzio “montanelliano” che odora di “borraccina e capelvenere”, in quell’immensità così medievale che sa d’ingegno costruttivo e di pio e laico sentimento, avvertiranno uno strano sentire, quasi come un ritmar sapiente di quelle “vagabonde” e antiche mani e le cercheranno nell’eco fantastica di un battere di lontani e perduti ticchettii.
Qui ad attenderli, sempre pronto ad ogni evenienza – odierna “marzulliana” memoria – gli si presenta subito il pulpito, coi suoi leoni tanto reali nel sembiante da farsi viepiù minacciosi. Sembrano quasi muoversi, ratti ratti, per compiere l’atto che ci inorridisce, senza vie di scampo, nell’ampio piano della chiesa.
Ma l’occhio è attratto e distratto dal pensiero di quella vastità che anche qui gli gira intorno, illuminata da chiari scuri di luce che filtra dalle monofore alabastrate e dal flusso abbagliante che entra dalla porta or ora varcata, se voltandosi cercano l’amico ritardatario.
Unitisi tutti ora si avviano, con passo quasi timoroso che sa di solennità, alle varie scoperte che l’interno prospetta.
Ma niente è più bello di quel pulpito, che nei colori, nel taglio delle suo marmo, gli si presenta come fosse stato scolpito nell’avorio.
Vi girano attorno, si domandano e si scambiano pareri, scattano foto al bimbo salito a cavalcioni, per il vero, del pazientissimo leone; l’altro piange e il babbo allora lo issa alla meta.
Si prova ora la vera pazienza dell’animale ponendogli nella bocca aperta la mano e vien fatto anche di carezzarlo, come a dire: stai tranquillo, staremo attenti ai nostri comportamenti e ci faremo anche il segno della croce.
Mentono? Sì! e lo sanno i leoni; li hanno visti che entrando non si sono recati alla pila dell’acqua santa, ma tacciono e stanno buoni, forse perché in tanti anni che sono lì ne hanno viste troppe da sentirsi sviliti nel compito ammonitore.

Pier Giuliano Cecchi

Ho terminato col pulpito per introdurre, come dal titolo, il motivo di questi “fogli”, il quale nasce dal desiderio di far conoscere agli amici barghigiani, poi a tutti quelli che vorranno collegarsi col sito Internet del “Giornale di Barga Online”, un appunto storico di Maria Vittoria Stefani.
Si tratta di una sua riflessione circa la possibile collocazione, in antico, del pulpito del Duomo di Barga.
Con queste parole me lo ha affidato:

Caro Giuliano,
come d’accordo ti mando le mie riflessioni sul pulpito. Scusa le numerose cancellature e la scrittura disordinata. Purtroppo ci vedo pochissimo e la mano non scorre più sicura.
Sono contenta di lasciarle in mano a chi certamente ne terrà conto. Fanne l’uso che vuoi, se credi ne valga la pena.

Maria Vittoria Stefani.

Viareggio 19 aprile 2009.

Certo che ne vale la pena. Se non altro per invogliare i nostri paesani, chi lo vorrà, ad interessarsi alla storia di Barga in genere e in particolare allo studio del nostro Duomo con tutte quelle sue belle e interessanti opere d’arte, nel caso il pulpito. Grazie.

Pier Giuliano Cecchi.

AVVERTENZA
Desidero solo avvertire chi leggerà queste note, che quando si parla del pulpito del Duomo di Barga, così per tutte quelle opere di un lontano passato che non hanno una presunta documentazione scritta, da intendersi riferita anche alla sia pur semplice e in tanti casi sconosciuta firma, si possono dedurre tante cose. Ovviamente, per le similitudini di esse e del pulpito con altre opere, resta ferma la collocazione in certi ambiti culturali riconosciuti dagli studiosi e consolidatisi nei tempi per certi.
Per il pulpito di Barga in quello di Guido da Como, maestro comacino che firmò il bel pulpito in S. Bartolomeo in Pantano a Pistoia, oggi in parte rimontato e in parte collocato in mostra su di un muro della stessa chiesa, appena dietro. Infatti, specialmente nelle parti poste in mostra come detto sopra, quelle del muro, vediamo che l’autore adotta disegni e soluzioni espressive in tutto e per tutto simili a quelle di Barga, salvo nel modo di scolpirle, a Pistoia più curate, ma forse perdendo quell’odierno fascino che suscita il pulpito Barghigiano. Nel senso che la maggiore accuratezza avvicina di più quel pulpito ai nostri tempi espressivi, togliendogli, appunto, quella sofferenza espressiva che ha il pregio di condurci più direttamente nei tempi delle loro imprese. Comunque, per scansare ogni equivoco, si faccia attenzione che il pulpito di Barga non soffre certamente in bellezza, tutt’altro.
Tornati al nostro inciso, alla presunta mancanza di fonti scritte che invece, sia pur tenui, esistono, bisogna dire che però niente sappiamo di come fosse stato collocato il pulpito di Barga in origine. La domanda, all’apparenza inutile, invece è pertinente e può essere posta da chiunque, maggiormente da chi conosce un minimo l’evolversi del complesso del Duomo che lo accoglie. Così è per quanto ci scrive Maria Vittoria Stefani.
Infatti in quei lontani secoli i Barghigiani pensarono di ampliare la loro chiesa, divisa tra una funzione sacra e civile. (Giova ricordare che nel corso del 1200 e forse anche prima, al suo interno si tenevano i parlamenti dei maggiori Comuni liberi della Garfagnana, fortemente avvinti nel desiderio di autonomia).
Domanda: gli ampliamenti, investirono nei loro lavori anche il pulpito che si presume esistente o costruito nel decennio che va dal 1250 al 1260? Chissa! Poi, andando a sfondare due volte la chiesa nell’odierna direzione – lavori che si collocano temporalmente e classicamente come avvenuti nell’arco di due secoli, il XII e XIII – durante i lavori del secondo c’era già il pulpito oppure no?
Al di là di una risposta è chiaro che quando si mette mano in questo modo ad un edificio restano ai posteri tante domande, impossibili nella loro risposta specialmente quando non si ha in mano un presunto e benché minimo documento, così come si vuole.
Quindi per Barga: pulpito e Duomo, si procede da sempre per induzioni e riferimenti ad altre opere similari. Ma non manca, in studi abbastanza recenti sul Duomo di Lucca, condotti su documenti originali dell’epoca da parte di Graziano Concioni e pubblicati nel libro “San Martino, la cattedrale medievale” del 1994, qualche riferimento all’impresa di Barga da parte dei “comacini” e più precisamente si cita: “1238, agosto 21: in Barga Magister Guido da Como chiede ragione di 3 lire dovutegli da certo Donato da Tereglio”.
Altri documenti pubblicati sempre da Concioni in “Arte e Pittura nel medioevo lucchese” invece portano ad analizzare, ponendo dubbi consistenti circa il presunto definitivo assestamento storico della realtà della pieve di Loppia in relazione a Barga. Per chiarire si citano due documenti del capitolo dei canonici della cattedrale di Lucca, uno del 1237 e l’altro del 1244, in cui, nel primo, si fa riferimento a due pievani, uno a Barga e uno Loppia: ” 1237- 3 settembre – Baldinello del fu Bene, nipote del defunto Buondi, pievano di Barga, intima il pievano di Loppia di consegnare e restituire a don Ermanno, canonico lucchese e pievano di Montecatini, il salterio continuo che ha in pegno e che era di proprietà del defunto Buondi. Questo perché tutti i libri del pievano di Barga suo zio sono stati lasciati, per testamento, allo stesso Baldinello ed a prete Guidone.” ; mentre nel secondo si cita la pieve di Barga: “1244 – 20 agosto – Testamento di don Opizzo, arcidiacono lucchese e rettore della pieve di Controne, che lascia alla chiesa di S. Cassiano di Cerreto una pianeta rossa, con tutto l’apparato sacerdotale che si trova presso la pieve. Alla pieve di Barga lega un salterio, ornamenti ecclesiastici e paramenti (sia argento che non, turiboli, croci, calice e libri) che vi ha già depositato. Lega, infine, una rendita annua di 12 staia di frumento alla chiesa di S. Cassiano per la sua costruzione e riedificazione”. Il tutto da collocarsi nel saputo di documenti ufficiali che danno a Barga un fonte battesimale indipendente dalla sua pieve di Loppia solo nel 1256. (Si osservi ancora, come io credo, che la Pieve di Loppia non è da intendersi svincolata da Barga. Nel senso che poteva nascere in un qualsiasi luogo nel raggio di tre o quattro chilometri al di qua del Serchio. Se nacque su una via per Barga e Sommocolonia mi pare ovvio pensare a qualcosa di significativo.)
Io non aggiungo altro. Chi ha orecchie per intendere intenda.
Per il vero tante orecchie sono state sollecitate, ma son di sordi, addirittura tanto da far ripetere l’adagio: “non c’è più sordo di chi non vuol sentire”. Infatti è già da tempo che evidenzio a tante persone, anche illustri e competenti, l’esistenza di questo tipo di documenti di una certa importanza per Barga e pubblicati da Concioni (personalmente non lo conosco, ma da alcuni me lo sono sentito qualificare come il massimo lettore in provincia di Lucca di documenti del periodo. Bene ho soggiunto: invogliatelo a venire a Barga per una conferenza sull’argomento, mi par di capire che in ciò che pubblica ci siano cose di estremo interesse!).
Io, che sono une semplicissima persona e come tale non esente da “difetti”, non oso parlare di quanto vi ho riferito direttamente a Concioni, per il semplice motivo che non sono in grado di passare alla fase due, ammesso che lo storico voglia venire a Barga, cioè il momento dell’accoglienza in tutti i sensi. Ma in tanti, influenti e con possibilità di promettere, si sono dimostrati prima attenti e poi, con altrettanta facilità, pronti a dimenticare tutto.
La storia di Barga merita invece che siano prese in considerazione queste persone, anzi, che siano ricercate, perché sono in grado di farne progredire lo studio.
Detto questo diamo la parola a Maria Vittoria Stefani.

APPUNTI SUL PULPITO DI MARIA VITTORIA STEFANI

Numerosi indizi fanno pensare che in origine esso fosse collocato dalla parte opposta, cioè alla destra dell’altare maggiore e a sinistra di chi entra dalla facciata principale e cioè:

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La posizione del piccolo leggio originario e costruito col pulpito.
Al momento della sua costruzione (pulpito) l’ingresso principale alla Chiesa era dalla facciata di nord-ovest che si apre sul prato (l’aringo) con la porta di San Cristoforo. Con il pulpito posto a destra dell’altare maggiore il leggio suddetto veniva a trovarsi rivolto verso il centro della chiesa, cioè verso i fedeli (non certamente verso la navata opposta e quindi verso il muro, come appare ora).

Il leggio più grande, sostenuto dai simboli degli Evangelisti, è stato evidentemente costruito in un secondo tempo, dopo lo spostamento del pulpito alla sinistra dell’altare maggiore, gioco forza sovrapposto all’adorazione dei Magi certamente già esistente.
Soltanto così, con la costruzione del nuovo leggio, il pulpito si potè spostare nell’attuale posizione e renderlo consono alla sua funzione evangelica. Infatti dal pulpito si leggeva il vangelo rivolti alla maggior parte dei fedeli che erano posti nella navata centrale, ora posandolo sul nuovo leggio, mentre il vecchio leggio andò a volgersi verso l’attuale e più piccola navata di destra.

L’accesso al pulpito, attualmente così contorto dopo lo spostamento, rese necessario l’appoggio di una quinta colonna diversa dalle altre, sia per la qualità del marmo, come per la lavorazione. Se il pulpito fosse rimasto dalla parte opposta l’accesso sarebbe stato più agevole e senza bisogno dell’appoggio di fortuna della quinta colonna.

La Cariatide che sorregge la colonna spezzata, cioè, quella figura maschile rattrappita (che stranamente i Barghigiani hanno per lungo tempo chiamato “la vecchietta di sotto il pulpito”) è di fattura molto più rozza delle altre – si può supporre quindi che la colonna ad essa appoggiata abbia subito un danno (forse per lo spostamento? Al momento del secondo ampliamento del Duomo?) e si sia rimediato con la Cariatide.

Le piccole sculture sul divisorio, che si susseguono numerose nella metà a destra di chi guarda e finiscono in gran parte nascoste dal pulpito, mentre l’altra metà dello stesso divisorio, dove era originariamente il pulpito ne è completamente priva.

Il susseguirsi delle scene narranti: l’Incarnazione, che appaiono rovesciate.
Infatti il profeta Isaia, che ne è la promessa, oggi si trova nel riquadro volto (e quasi nascosto) verso la navata destra. Col pulpito a sinistra il profeta occupava il centro della chiesa e di seguito “l’Incarnazione”.

Per fare una ipotesi plausibile sulla posizione del pulpito alla sua installazione è necessario tener conto delle dimensioni del Duomo in quell’epoca e cioè nel milleduecento (XIII secolo).
Ci sono d’aiuto i rilievi fatti in pianta al monumento al tempo degli imponenti restauri del secolo scorso (1927-1939) che permisero all’ing. L. Pera di individuare le molteplici fasi della sua costruzione nel corso dei secoli. [L. Pera – “Il Duomo di Barga”, in Monumenti Italiani, fascicolo XI- Libreria dello Stato – Roma]. Monumento tipico dell’arte romanica affermatasi in Europa dopo il Mille, il nostro Duomo, innestato sulla piccola chiesa già esistente, divenne una piccola basilica a tre navate, di cui quella centrale più alta delle laterali, con accesso laterale dall’Aringo. La dimensione in lunghezza dell’edificio in quella prima fase è indicata sul pavimento odierno con una striscia arcuata di marmo bianco che segna il punto in cui si trovava la sua abside.
Entro quella dimensione possiamo ipotizzare il pulpito, posto quasi sulla stessa linea di oggi, ma situato dalla parte opposta, cioè a destra dell’altare (alla sinistra di chi entra oggi dalla porta principale). In tale posizione il leggio originario, sporgente sopra la figura del profeta Isaia era ben visibile alla maggior parte dei fedeli e il racconto biblico appariva subito nella sequenza cronologica con l’inizio della profezia. Inoltre l’accesso dal presbiterio al pulpito, rispetto ad oggi, era molto agevole.
La successiva installazione del divisorio rese necessaria la rimozione del pulpito che, probabilmente nelle intenzioni avrebbe dovuto essere rimesso nella posizione precedente, ma la necessità di creare il nuovo accesso fece decidere lo spostamento alla parte opposta.

La figura in piedi con in mano il rotolo di pergamena, credo rappresenti il Narratore, come tale posto alla fine del racconto, quasi come una firma e penso sia Matteo, per il fatto che è l’unico evangelista che parla dei Magi.

(M.V.S.)

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