Faustina

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Ciao,
io mi chiamo Faustina e dicono che ho sei anni, anche se la mia vera età non la so e non la conosce neppure questa gente che mi ha accolta perché sono nata in Germania, che è un posto lontano lontano, da un babbo che vendeva le figurine di gesso e che non ho mai conosciuto.
La mia mamma, invece, è un angelo del paradiso e sono sicura che è bella come tutti gli angeli e veglia su di me perché mi vuole tanto bene.
Non so come ci sono arrivata qui perché ero troppo piccola, ma so che a un certo punto mi hanno separata dalle mie sorelline che non ho più rivisto e che, ogni giorno che passa, ricordo sempre meno.
Qui non ci sto male, ho un posticino dove dormire e alla grande tavola della cucina c’è sempre un po’ da mangiare anche per me.
Dopo cena mi mandano subito a letto perché devo portare le pecore al pascolo appena fa giorno ma qualche volta, coi piedini scalzi per non far rumore, scendo di nuovo la ripida scala di legno e mi rimpiatto per ascoltare quelle storie che vengono raccontate durante la veglia davanti al fuoco.
A volte sono belle perché parlano della vita dei Santi e di altre cose che mi garbano anche se le capisco poco.
Altre volte, però, parlano del diavolo e degli spiriti e allora, svelta svelta, torno nel mio lettino, mi rimpiatto sotto le coperte e dico le preghiere perché ho paura.
Su al pascolo passo le giornate tutta sola badando al gregge e stando attenta al minimo rumore perché il lupo può venire da un momento all’altro e mangiare le pecore e anche me.
Però penso anche alla storia di quella bimba che gridava sempre «Al lupo!» che mi hanno raccontato tante volte per farmi capire che prima di far salire dal paese la gente coi fucili e i bastoni devo pensarci bene, perché se vengono per nulla dopo non mi credono più.
Quante volte, col cuore in gola, stavo per chiamare aiuto e poi era solo un cane randagio o chissà cosa che non ho mai saputo!
Devo anche stare attenta a guardare il cielo perché quassù i temporali sono improvvisi e i lampi e i tuoni spaventano le pecore che scappano e dopo mi tocca andare a cercarle, sperando che non siano cascate in qualche burrone.
Ricordo che una volta, appena chiusi la porta del rifugio di pietra, si scatenò il finimondo coi tuoni che facevano tremare le pareti e i chicchi di grandine, grossi come le noci, che sembravano spaccare il tetto.
Le pecore belavano impazzite e io non avevo mai avuto così paura!
Allora strinsi al petto il mio agnellino preferito e cominciai a pregare tanto la mia mamma e Gesù che, alla fine, fecero passare la tempesta e tutto tornò calmo come prima.
Quando portai di nuovo fuori il gregge il cielo era così scuro che sembrava notte e tutto il mondo era imbiancato come d’inverno e brillava sotto i raggi di un sole caldo caldo.
Però quassù all’Alpe ci sono anche tante belle giornate e allora, mentre le pecore pascolano tranquille, mi metto all’ombra del grande albero e penso a tante cose.
M’hanno detto che un giorno dovrò andarmene da qui per raggiungere quel paese dove c’è una grande fabbrica che dà lavoro a tanta gente e che sposerò un uomo buono che mi vorrà bene.
Questo un po’ mi spaventa, ma poi penso che, magari, avrò dei bimbi che cresceranno e impareranno a leggere quei manifesti che vedo sui muri del paese e che non capisco perché a scuola non mi ci hanno mai mandata, e forse sapranno leggere anche il giornale così sapranno tante cose e si faranno strada nel mondo.
Chissà se tutto questo è già scritto nel mio futuro e succederà davvero?
Io non lo posso sapere perché sono ancora piccola.
Ma te come ti chiami?
Io mi chiamo Faustina…

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