Festival pucciniano (piccoli aneddoti)

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La recente conferenza che, in occasione del centenario della morte di Giacomo Puccini, il Maestro Massimo Salotti ha tenuto presso la biblioteca de “Gli Incartati” a Fornaci mi ha fatto tornare alla mente alcuni episodi ai quali ho avuto l’occasione di assistere durante il Festival lirico che si svolge ogni estate nel luogo caro al grande compositore e se avete un po’ di pazienza ve li racconto.

Il teatro all’aperto di Torre del Lago (prima del rifacimento), oltre che di spettacoli di indubbio valore artistico, è sempre stato luogo di aneddoti, scenette impreviste e gustosissimi fuoriprogramma che finivano per imprimersi nella memoria degli spettatori.
Ricordo che quando ci accingevamo a partire da Fornaci, sul pullman capitanato da Don Ferretti, per assistere all’opera prescelta ci guardavamo con scetticismo bisbigliando fra noi uno scaramantico:

«Mah! Speriamo bene…»

Ricordo con una punta di rimpianto l’allegria di quelle gite in cui durante il viaggio ridevamo e annaffiavamo con dell’ottimo vin santo le torte che le donne avevano fatto apposta per l’evento.
Ma torniamo a noi: a cominciare dagli eventi atmosferici, che essendo all’aperto potevano condizionare in modo determinante la serata, sapevamo che anche altre cose potevano andare storte.
Più di una volta mi è toccato partecipare al fuggi-fuggi generale causato da improvvisi acquazzoni e temporali estivi.
Ne ricordo uno particolarmente violento che fece crollare buona parte delle scenografie. Fu una vera notte di tregenda nella quale anche il placido Lago di Massaciuccoli aveva formato onde che s’infrangevano sul molo e sulle passerelle e le cui creste di spuma nebulizzate arrivano fino in fondo alla piazza.
Ma non solo la pioggia poteva rovinare la serata: il vento poteva soffiare a folate in direzione del palco, così sentivi le voci e la musica a intermittenza, come una radio che perde sintonia, oppure in modo costante, e in tal caso vedevi i cantanti che muovevano la bocca come tanti pesci in un acquario senza che si percepisse alcun suono.
Una sera, a causa di uno strano giro d’aria, c’era un solo punto alla sinistra del palcoscenico dal quale le voci arrivavano, bene o male, agli spettatori. I cantanti, che se n’erano accorti, contravvenendo al copione scenografico, si litigavano a spallate quel piccolo spazio nell’ilarità generale.

«E se il barometro segnava “bello stabile” andava tutto liscio?» Chiederete voi speranzosi.
Non era detto!
Uno dei ricordi più vivi che ho del Festival Pucciniano è l’insopportabile puzzo degli insetticidi coi quali la gente tentava invano di contrastare l’assalto dei nugoli di voracissime zanzare, grosse come aerei da caccia, che non davano tregua.
Potevi stare certo che l’indomani tutti i presenti avrebbero avuto numerose “medaglie al valore” sulla pelle a testimoniare il loro stoico amore per la lirica.
E poi, naturalmente, c’erano gli imprevisti, diciamo, tecnici…
A una rappresentazione di “Turandot” la scenografia, alquanto minimalista in ossequio alla tendenza del momento, era dominata da una grossa luna di cartapesta che spandeva il suo bagliore nella notte.
Come senz’altro sapete, la storia vuole che il principe Calaf annunci la propria volontà di cimentarsi nella risoluzione degli indovinelli percuotendo per tre volte un grande gong posto in cima a una scalinata.
Ebbene, saliti di corsa i gradini, Calaf afferrò la mazza e… il gong non c’era!
In effetti dalla platea avevamo notato la sua mancanza ma, sperando in un’apparizione scenografica dell’ultimo istante, non ci eravamo preoccupati più di tanto.
Invece, il gong non comparve mai e il povero principe, dopo lunghi istanti con la mazza in mano mentre la gente non voleva credere ai propri occhi e l’orchestra teneva il fiato sospeso, con un colpo di genio assestò una botta nella luna di cartapesta che si afflosciò miseramente spengendosi, mentre lui se ne andava su tutte le furie maledicendo pubblicamente lo scenografo!
La gente non riusciva a smettere di ridere, compromettendo la serietà della rappresentazione.
Oppure quella volta che, alla fine di una “Tosca” impeccabile, nel suicidarsi buttandosi giù da Castel Sant’Angelo, la protagonista mancò quasi del tutto il materasso che qualcuno aveva spostato e lasciò partire un moccolo con voce da soprano che lacerò la notte e increspò le tranquille acque del lago…
Un’altra volta, per la rappresentazione di “Boheme”, la soprano che doveva interpretare Mimì ebbe un improvviso abbassamento di voce e dovette essere sostituita da una giovane agli inizi della carriera che, intravista la possibilità di mettersi in luce, provò anche troppo a cogliere l’occasione.
La storia prevede che Mimì, malata di tisi, vada lentamente spengendosi e la grandezza di una cantante consiste anche nell’equilibrio recitativo: in poche parole, la voce deve lentamente andare di pari passo con le condizioni fisiche della poveretta che, alla fine dell’opera, dovrà affrontare il trapasso.
Il tempo passava e la salute di Mimì invece di peggiorare sembrava più salda che mai! Mentre avrebbe dovuto manifestare chiaramente i sintomi della malattia la novellina, per mettersi in mostra, continuava ad infarcire il proprio canto con trilli e gorgheggi nemmeno richiesti dalla partitura, fino a quando, improvvisamente, accadde l’irreparabile:
Spazientito, un corpulento signore con completo bianco di lino e giacca slacciata che faceva intravvedere un bel paio di bretelle bordò, si alzò in piedi dominando la platea e, brandendo un enorme orologio a cipolla, con voce tonante gridò all’indirizzo della povera Mimì:

«O CIALTRONAAA!!!… MA LO SAI CHE DEVI MORIREEEE???!!!»

Dalle risate venne giù il teatro!
In qualche modo, tra gli sghignazzi della gente, l’opera venne portata alla fine ma, mentre tutti tornavano alle proprie case, era ben chiaro chi fosse stato l’eroe della serata.
Intendiamoci, a confronto delle innumerevoli rappresentazioni di buon livello e andate a buon fine questi piccoli episodi sono poca cosa ma, chissà perché, non riesco a togliermeli dalla mente…

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