Fiattone – Storia di un piccolo paese garfagnino

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Caro Ivo Poli: Grazie! Per quelle significanti parole con cui hai voluto dedicarmi la copia di questo tuo libro:“Fiattone” (1), edito cinque anni fa, ma come ogni simile opera, sempre attuale e lo dico subito, da leggere! Per far capire maggiormente quanto abbia gradito quest’importante lavoro, nel leggerlo mi sono compiaciuto di fermare ciò che reputavo meritevole di evidenza con l’idea di scriverci qualcosa, così come ho fatto, perché è tempo speso bene parlare di quest’opera condotta in porto con non consueta sensibilità e volontà.  

Detto quanto sopra, ecco che ora ripenso a quando, nella mano il libro, arrivai a casa. Con calma l’ho sfogliai, poco più di un minuto, tanto per rendermi conto come fosse stato impostato, anche con l’idea di riceverne uno stimolo a leggerlo e devo dire che ciò non è mancato. Soprattutto quando ho incontrato quella bella poesia di Paolo Adami, che mi ha catturato e presoprofondamente: Fiattone. Precisamente là dove parla l’eterno spirito che ci anima e viene dal luogo che ci ha visto nascere,come un segreto svelato, che poi è di tutti in ogni lato del Mondo, non facile però a rendere con parola scritta:

…   …   …

La terra

dove avevo scavato

la mia tana

rivestita di sentimenti

della mia stessa pelle

tana dove volevo stare per sempre

e ogni sera

addormentarmi con il fervore

di una preghiera.

…   …   …

Saranno gli anni che fuggono veloci a rendermi più emozionabile in ogni cosa che me lo ricorda? Possibile! Anzi, mi par certezza e quella poesia, che forse “ieri l’altro” avrei letto con maggiore sufficienza, utile a non patire, oggi, invece, assai mi prende, arrivando dentro come una mano che volesse strapparti fuori l’anima. Di là da questa mia prima e positiva impressione del libro ecco che mi son detto: desidero proprio leggerlo.

Poi, ripreso a sfogliarlo, ho visto Angelo Moriconi, Renzo Lucchesi. Di ambedue ho in me un certo culto.

Il poeta Moriconi perché lo sento fratello in cultura. Come lui, anch’io ho pochi studi regolari, però non ho mai smesso di studiare sospinto dalla mia curiosità, voglia di sapere e poi di scrivere. Quale esempio per far capire come in me tutto ebbe inizio, cioè, la volontà di conoscere e sapere, ricordo l’idea in me bimbetto di arrivare a sapere cosa stesse dietro a quelle pietre serene di Barga Vecchia dove abitavo, belle lavorate e ammiccanti, che ogni giorno vedevo e questo sin da quando ne vidi una la prima volta e risento mia madre, tirandomi la mano,dirmi: Giuliano, ti sei incantato? Andiamo!

Non posso licenziare Moriconi senza rileggere alcuni passi che compongono la sua poesia “Fiattone”, titolo uguale a quello della poesia di Paolo Adami:

Col piede ancora valido, ma d’uomo

Già provato dagli anni e dalla vita,

salgo l’erta del colle, il mio paese

dei giovani anni a raggiungere.

…   …   …

Ombre di morti,

di persone ch’io ben conobbi, sbucano

da tutti i lati; anche miei coetanei …

Pur la fanciulla che per prima amai

D’ineffabile amore, giovinetto

In geloso riserbo nel candore

Degli anni miei lontani è morta. Un senso

Di tristezza mi prende …

…   …   …          

Che peraltro ha la sua vaga dolcezza.

Poi Renzo Lucchesi, di cui risento gli elogi di mio padre di moltissimi anni fa, io ero bimbetto, quando raccontava in casa di quell’allora giovanotto che agli esami universitari, forse alla discussione della tesi di laurea, riuscì a catturare l’attenzione dei professori che, ridotti al silenzio, furono costretti a imparare, per mio padre era una certezza, qualcosa da quello studente così animato di sapienza. Personalmente lo ricordo alle prese con i testi latini del libro “Il Territorio di Barga” (Pietro Magri), che lui, all’epoca della centenaria ristampa, il 1981, tradusse tutti in italiano e sono ancora lì a testimoniare della sua grande conoscenza del latino, che sentiva lingua da rivalutare anche religiosamente nelle messe; con la pensione studiò teologia e fuserio sacerdote. Aveva insegnato e diretti istituti scolastici e di lui, chi l’ha conosciuto, ne serba un importante e, umanamente, dolcericordo per la sua intelligente presenza terrena e anche per quel suo claudicante andare senza soste, se non alla sua cara Porta Macchiaia.

Pure Adamo Adami, personaggio raccontato nel libro, mi è simpatico per quella sua convinta adesione al nuovo che la Rivoluzione Francese stava propagando in Europa e della sua idea resta anche un libretto. Era l’anno 1799 e io ancora oggi parteggio per lui contro Jacopo Chelini che lo definì un pazzo, sol pensando oggi quanta strada nuova ha costruito quella rivoluzione, che unificò tutti gli uomini nel sentirsi “cittadini” e uguali, anche se s’impone e s’imporrà sempre il popolare Articolo Quinto. Cosa e qual è l’Articolo Quinto? Ecco: Chi ha i soldi ha Vinto!

Superlativo e poi il ricordo di quel “Memmo”, perché la sua storia, che si trascina con un laccio di corda ai pantaloni lo fa amare ma, anche perché, uno che in quelle condizioni non lesina niente di ciò che può al prossimo, lo accomuna con i santi e come uno di quelli, realmente, finì i suoi giorni: l’altro, seppur a fatica, ce la facesse a traghettar il Bambino, lui ce la mise tutta e se anche il bambino era molto più leggero, chissà, se la seppur debolecorrente dell’acqua del Serchio gli togliesse forza e fiato e … lo vinse?

Belli anche tutti i racconti, con le “ombre” viste dalle tre Brucciani sui muri prodotte dal lume delle candele e che, loro spaventate, parevano volessero prenderle, immagini di quel tetro mostro immaginario nato e avvertito in loro dall’essere state immerse a vivere la tragica differenza di vita tra la natia America e l’Italia maggiormente acuita nei nostri luoghi. Alle tristi note degli emigranti si affiancano quelle della guerra, con il ricordo dei partigiani del Gruppo Valanga, dei tedeschi e dell’idea degli stessipartigiani di minare il ponte di Campia che ce li fanno assomigliare agli stessi tedeschi che adottarono quel modo operandi per difendersi nella ritirata. Lo scontro tra partigiani e tedeschi, di quest’ultimi qualcuno rimanendo vittima, il fatto aprisse la porta al rischio di una rappresaglia, che non avvenne,che avrebbe visto nel mezzo i civili di Fiattone.

Questi sono parte dei racconti molto interessanti fatti, come fosse una sorta di diario di guerra, dal già citato Paolo Adami. Uno spaccato di quella terribile guerra in Valle che potrebbe valere per tutti quelli che l’hanno vissuta, raccontato senza cedere niente alla retorica, all’idea di trarne profitto ma solo come un continuo dolore graffiato sulla pelle. Storie che riprendono con Adamo Adami, altre e diverse pagine di guerra in Valle, tutte da leggere.

Brava la solita Duse Lemetti nel descrivere Campia, le sue storie umane che dettero vitalità al topico luogo di passaggio tra il Barghigiano e la “cosiddetta” Garfagnana. Campia che fu legata alla sponda sinistra del Serchio grazie al deputato Antonio Mordini che volle quella strada che oltrepassato il Ponte di Calavorno collegasse Lucca a Barga e da lì, per Castelvecchio di Barga, tramite il Ponte di Campia, la Garfagnana. A Firenze, per perorare la causa vi andava da Barga il consigliere avvocato Salvo Salvi. Per fare il Ponte si ricorse anche alle finanze di quei comuni che ne avrebbero tratto un vantaggio e tra questi mi resta in mente Castiglione ma non ho dati se concorse. Comunque ci fu un rapporto tra i vari comuni simile a quando si metteva mano al Ponte a Moriano, il cui restauro avrebbe giovato a tutti gli abitanti della Valle che esso consentiva di raggiungere.

Poi a un certo punto ritrovo Alcide Rossi, che rivedo seduto al tavolo della mia casa paterna quando veniva a trovare mio padre per la “Lega Navale”. Credo sia lui, piccoletto con i suoi occhiali e sempre molto educato e gentile. Aveva, mi pare tre figli, ma qui mi fermo. Portò un giorno a mio padre un suo libretto che ancora rivedo davanti agli occhi nella sua copertina bianca e ardesia “Il solitario delle Azzorre”.

Leggo ancora del “Lupo” pescatore a mano nel Serchio e mi sovviene il cinquecentesco Santucci di Gallicano che a giugno, prima di San Giovanni, portava a Barga le richieste trote del Serchio o della Turrite da aggiungere a quelle della Corsonna, affinché la stessa Barga ne avesse assai per renderle marinate e farne donativo a Firenze, appunto, per il patrono cittadino San Giovanni del giorno ventiquattro. Là erano condotte in ceste poste su cavalli, dove spiccasse ben pitturato e vistoso lo stemma della Comunità con la barca, un anno lo dipinse il giovinetto pittoreBaccio Ciarpi (Barga 1574 – Roma 1654). La “cavallata” di San Giovanni usciva da Porta Macchiaia prendendo la via dell’Appennino per Firenze. Quelle squisite trote, giunte a Firenze, forse in segno di umiltà erano poi donate quando a monache e quando a frati i vari conventi.

Andando avanti a leggere vedo che del Ponte di Campia ne parla assai Duse Lemetti e con chiaro discernimento. Avrai capito lettore che ho davanti a me il computer acceso e man mano che procedo nella lettura, annoto qualcosa, e allora mi pare interessante la pubblicazione in foto del quaderno su cui posero la firma, le persone presenti l’anno 1923 al funerale del soldato ritornato a casa da un campo di battaglia durante la Prima Guerra Mondiale: Dagoberto Fiori. Da Barga fu presente Benvenuto Nutini, medaglia d’argento in Libia, con il bersagliere ferito in quella guerra, Michele Tonini. Continuando a sfogliare e leggere il libro si trovano a seguire altri ricordi dellaseconda guerra mondiale ma anche lettere d’amore!

Più bel finale del libro non ci poteva essere se non con Giovanni Pascoli che il racconto di Giannino Zanelli rende visibile a noi in quell’incerto camminare del poeta gravemente malato e portato al“casello del Salice” per salire sul vagone del treno per lui arrivato sin lì. Era il 1912 e Pascoli ora guarda intorno e saluta con gli occhi la “sua Valle” che lo accolse, agli uomini agitando il suo cappello. Parte l’uomo che qui portò il soffio della grande Italiaculturale e ora la patria se lo riprende con sé nella speranza che guarisca, là a Bologna, la città della medicina.

Chiude Poli il suo libro con una cantilena: “Din, din, don, le campane di Fiatton” e allora io dico la mia con cui mi addormentavo al canto di mia mamma:

Sotto Perpoli c’è Fiatton

C’è una massa di birbon

C’è chi cuce

C’è chi taglia

C’è chi fa i cappelli di paglia …

E lì finiva e ricominciava da capo.

Termino come ho iniziato: Caro Ivo Poli, hai compiuto un bel lavoro! Non avevo mai letto niente di così importante circa Fiattone. Personalmente sapevo solo delle beghe tra Fiattone estense a Barga fiorentina, per mille cose, soprattutto per le frasche di gelso per dare da mangiare ai bachi da seta e che loro venivano a prendere di frodo a Castelvecchio e non gli era assolutamente permesso. Poi della barca sul Serchio con la tariffa applicata da Barga per i suoi cittadini. Il contrabbando tra i due stati era uno dei crucci che sfociò anche in un delitto compiuto a Castelvecchio da gente che veniva da lì, non ricordo se da Fiattone, Campo o altri luoghi, chissà, forse perché denunciati e incorsi nelle maglie della giustizia e nel modo detto trovarono la loro rivincita.

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