Passeggiando tra aspetti pubblici di Barga: arte e memorie collettive. Chiesa di San Felice Cappuccino. (quinta parte)

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Con il precedente articolo ci siamo lasciati appena si era virtualmente entrati nella chiesa di San Felice, dal 1835 entrata nelle cure della barghigiana Arciconfraternita di Misericordia, e allora vediamo di dire qualcosa, più che altro indagando per quanto possibile sulla sua genesi, ossia, come possa esser nata l’idea di costruire dentro il Castello di Barga un oratorio dedicato a San Felice Cappuccino da Cantalice (1515 – 1587), alla fondazione Beato. Sì, perché ci sarà un motivo per cui fu necessario un nuovo luogo di fede in Barga e non che un miracolo lo abbia fatto sorgere all’improvviso. San Felice era stato beatificato l’anno 1625, quindi allora si trattò di esaltare tra i barghigiani non un santo ma un beato, mentre la canonizzazione, cioè, la sua iscrizione nel novero dei Santi, arriverà solo nell’anno 1712. Rispetto a un santo, dedicare un oratorio a un Beato pensiamo non sia un’idea tanto comune.

In chiusura del precedente articolo si è già accennato al periodo in cui sorse l’oratorio, quello della peste di Milano, che a Barga e nel Comune fece fortemente sviluppare il già intrapreso culto in San Rocco. Per questo luogo di culto nel nome del beato Felice Cappuccino, la sua data approssimativa in cui nacque l’idea, si apprende essenzialmente da una delibera comunale dell’11 aprile 1638, con cui si decise di aderire alla richiesta che fece il predicatore a Barga della parola di Dio per la Quaresima, ossia, Fra Prospero Cappuccino. Questa era consistita nella sperata accettazione della sua espressa idea, ossia, che avrebbe rinunciato alla sua paga comunale di Scudi tre se lo stesso comune in cambio ne avesse aggiunto altri, decisi poi in Scudi quattro, il tutto da donare all’opera della costruenda chiesa di San Felice. In Consiglio fu messo al voto il partito dei sette scudi, circa cinquanta lire, e fu vinto all’unanimità.

 

Prima di andare avanti con la nostra storia, vediamo che il Cancelliere nel redigere l’Ordine del Giorno, fatto tra il Podestà e i Consoli del Comune, era il 10 aprile 1638, circa il punto da trattarsi in Consiglio il successivo giorno 11, la richiesta del Frate, annotandola ci fa conoscere che intorno alla fabbrica dell’oratorio ci sono delle persone, cioè, una Compagnia di uomini raccolti intorno al culto del Beato Felice:

Vincere li quattro scudi soliti à donarsi al Prete Predicatore della quaresima, oltre li tre soliti, et concedergli all’oratorio della Compagnia del Sacco, sotto la protezione del Beato Felice.

 

In seguito la Compagnia del Sacco, composta da persone di ambo i sessi e delle maggiori famiglie del Castello, sarà anche appellata dei Cappotti, che nel secolo XVIII ebbe anche la facoltà di seppellire nell’oratorio i propri confratelli. Probabilmente entrambi i modi di appellarla fu suggerita dall’uso di una tonaca bianca o biancastra di tela pesante tagliata al modo dei cappuccini con cordone e cappuccio.  Comunque la Compagnia era in pratica e propriamente, di San Felice e risaliva all’anno 1636, confermata tale per bolla dal Vescovo di Lucca Guidiccioni. La data 1636 ci fa capire che in quell’anno l’oratorio era già un’idea concreta.

 

L’oratorio nel 1638 fu soggetto alla sua prima Visita Pastorale del vescovo di Lucca Marcantonio Franciotti e così per ogni altra visita del Presule lucchese al vicariato di Barga, che durarono oltre alla profanazione del 1784-5, epoca delle Riforme Leopoldine che investirono il Granducato di Toscana. Infatti, per un breve periodo che va dal 1785 c.a. al 1802, seppur diventato un oratorio privato di padronanza della famiglia del dott. Cristofano Verzani, che da tempo e in parte ne curava già le sorti, quindi, seppur possessione laica, il sacro luogo poi rientrò o forse si mantenne l’uso di tenerlo nel percorso delle visite pastorali dell’Arcivescovo di Pisa. (Barga dal 1789 entrò a far parte della Diocesi di Pisa, prima era in quella di Lucca.)

 

Tornando indietro, ecco che dall’Ordine del Giorno per il Consiglio del 1638, in cui si parla dell’elemosina da concedere all’oratorio, apprendiamo due cose molto interessanti che ci inducono a delle riflessioni storiche. La prima è quella che mise in evidenza anche lo storico Pietro Magri, cioè, che in quei 1638 la fabbrica della chiesa era già iniziata ma non ancora conclusa e forse si era anche inceppata per mancanza di fondi. Inizio della chiesa, origine, che più avanti analizzeremo con varie intuizioni che non pensiamo lontane dal vero, anzi, molto calzanti. Una eventuale pagina di storia barghigiana che trae inizio quando mi accinsi a parlare dell’allora Beato Felice raffigurato nella tela che è all’altare centrale, definendone l’Autore, fino ad allora sconosciuto, grazie a notizie certe pubblicate dal Prof. Franco Paliaga. (21)

L’altra cosa da osservare è che il frate proponente al Comune di Barga l’offerta per l’oratorio di San Felice sia un cappuccino. Da questo importante particolare partiamo per un’approfondita disamina circa la genesi dell’allora Oratorio partendo da ciò che scrisse Mons. Lino Lombardi, in un articolo accolto sul giornale di Barga La Corsonna, 10 marzo 1935, in cui parla della chiesa in oggetto, soffermandosi sull’idea che qui i Cappuccini volessero istituirci un qualcosa di simile a un loro convento, un intento che però non riuscì tale. Comunque siamo perfettamente d’accordo con ciò che dice il Lombardi, altrimenti, aggiungiamo noi, come spiegare un così forte impegno di Fra Prospero cappuccino, che in pratica rinuncia alla paga comunale che sarebbe andata al suo Ordine? Tra l’altro questo è un segno che ci rivela come il Frate avesse avuto l’ordine di farlo, in più, con l’incarico di stimolare il Comune a fare altrettanto a favore dell’oratorio. (22)

Poi, altra via di indagine è suggerita dall’interrogarsi su chi avesse introdotto in Barga l’idea dei Francescani Cappuccini, perché è inevitabile accorgersi che l’allora oratorio al Beato Felice Cappuccino da Cantalice, sia dedicato alla memoria della santa persona come anche a diffondere l’Ordine, senza dimenticare che in Barga erano già presenti i francescani nei Minori Osservanti raccolti nel convento di dedicato al Poverello d’Assisi. Allora, forse aiuta il rifarci all’autore del quadro di San Felice (la prima opera d’arte che entrò nell’oratorio), esattamente al suo autore, Giovanni di Alfonso Navarretti o Navarrette (Pisa 1605-1651) che indagai nell’articolo pubblicato sul Giornale di Barga del gennaio 2014, quando annunciai la grande novità per Barga e per la stessa chiesa, quella del ritrovamento dell’autore della tela. (23)

 

Interroghiamoci allora su chi fosse stato il pittore Navarretti? A cosa ci può introdurre la sua persona? Chi ci potrebbe essere dietro di lui che gli richiede il quadro del Beato Felice per l’oratorio della Compagnia a lui intitolata? Bene! Partiamo per questa indagine e intanto diciamo che Navarretti era un pittore pisano che aveva frequentato la bottega del pittore Giovanni Maruscelli (1582-1653), colui che per Barga farà la Santa Lucia per il Duomo che oggi è al Museo Civico. Navarretti nel 1637, a trentadue anni, sposa Virginia Lavelli, e avranno dieci figli maschi ma a noi, per la nostra indagine, interessa quel cognome della moglie: Lavelli.

Infatti, il cognome Lavelli di Virginia ci porta a riflettere su chi fosse suo padre. Era questi un personaggio di Castelnuovo Garfagnana che l’anno 1643 fu fatto “Homo di Bargha” e per esserlo doveva abitare nella stessa Barga da almeno dieci anni. Si tratta di Giovan Battista di Jacopo Lavelli, entrambi furono insegnanti all’Università di Pisa. Una facoltosa famiglia, che con il ricordato Jacopo Lavelli, nonno di Virginia, in qualche misura aveva fatto il suo documentato ingresso in Barga. Infatti, Jacopo aveva sposato la nipote del celebrato poeta Pietro Angeli il Bargeo, cioè, Ermellina Santini Angeli (24)

Da Jacopo Lavelli ed Ermellina nacque, appunto, Giovan Battista Lavelli che con la sua e a noi sconosciuta moglie, tra i figli, dette vita a Virginia (il nome era anche della bisnonna Virginia figlia del poeta Pietro Angeli). Virginia Lavelli, che abbiamo ricordato prima, è la moglie del pittore Giovanni Navarretti, autore del quadro di San Felice che è nella omonima chiesa di cui stiamo trattando. Di seguito il ricostruito ed essenziale albero di ciò che si è detto e che ci interessa nel nostro discorso:

 

Pietro Angeli Bargeo (Poeta Umanista) e Pellegrina di Santino d’Arli

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Virginia di Pietro Angeli e Giovanni Santini Angeli (Notaro)

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Ermellina di Giovanni Santini Angeli e Jacopo Lavelli (Prof. Medicina nello Studio Pisano)

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Giovanni Battista di Jacopo Lavelli (Prof. Diritto Canonico Studio Pisano – Homo de Barga) e (?)

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Virginia di Giovan Battista Lavelli e Giovanni Navarretti 

 

A noi interessa Giovan Battista Lavelli che è il personaggio che in Barga potrebbe avere avuto un ruolo importante a favore dell’oratorio di San Felice, infatti, il genero e pittore Navarretti sappiamo essere l’autore del quadro di San Felice. Questo è un primo punto che ci porta a ciò che segue.

Giovan Battista Lavelli era un fervente francescano con una particolare predilezione per i Cappuccini. Ciò si apprende dal suo devoto attaccamento al convento dei cappuccini di San Giuseppe di Castelnuovo Garfagnana che si andò fondando l’anno 1634  grazie a Francesco I d’Este duca di Modena e Reggio. (si faccia attenzione che siamo negli anni della fondazione dell’oratorio del beato Felice di Barga.) Francesco I aveva ricevuto il ducato dal padre Alfonso III che dopo un solo anno di reggenza 1628-29 aveva abdicato per vestire l’abito francescano nel nome di padre Giambattista da Modena che dopo qualche tempo e varie vicissitudini si ritirò nel convento garfagnino, qui morendo l’anno 1644.

Che il Lavelli fosse un devoto francescano si fa chiaro con il sapersi che per il detto convento di Castelnuovo spese una certa cifra per renderlo più interessante. Infatti, lo volle abbellire con un’opera di Barbieri Giovan Francesco detto “Guercino da Cento” (1599-1666); un quadro espressamente commissionato per l’ex duca, ora padre Giambattista da Modena. Si tratta di un “San Francesco che riceve le stimmate con San Ruffino”. Quest’opera, poi, rimase ai Cappuccini di Castelnuovo sino al 1783, dopo finendo al Palazzo Ducale di Modena e nel 1796, trafugata dai francesi, fu poi ritenuta dispersa per riapparire al Mittelrheinisches Landesmuseum di Magonza:

(Lavelli G. Battista il 26 marzo 1641) Dà una caparra di 100 Ducatoni per un San Francesco che riceve le stimmate con San Ruffino e fu posta nella chiesa, in una cappella dei Cappuccini di Castelnuovo Garfagnana. (25)

 

Crediamo non resti difficile tirare un primo filo circa la chiesa dell’allora Beato Felice a Barga dedicata all’idea dei francescani cappuccini, senza dimenticare che, la stessa chiesa sin dai tempi più lontani e stranamente per tutti erano verniciate di marrone, il colore dei francescani. Questo sino agli ultimi restauri delle suppellettili interne avutisi negli anni ‘90 del Novecento e primi Duemila, compresa la bussola alla porta d’ingresso. Il filo potrebbe tirare direttamente dentro la storia anche Giovan Battista Lavelli che da fervente ammiratore dei cappuccini e mosso dall’idea di contribuire a diffonderli anche a Barga, nella terra fiorentina, lo si può vedere chiedere o commissionare un quadro al genero pittore Giovanni Navarretti per l’oratorio che stava sorgendo nella terra di Barga a San Felice Cappuccino.

 

Che la chiesa di San Felice contenga una forte memoria francescana lo dimostra sia il titolare San Felice, come la presenza del culto con altare e quadro di Francesco di Paola dell’Ordine francescano dei Minimi, autore Giovan Battista Tempesti (1729 – 1804). Questo altare in precedenza era dedicato di San Francesco, dove è possibile si riferisse una Compagnia delle Stimmate di San Francesco con un proprio quadro, ancora esistente sulla parete destra entrando, che raffigura il miracoloso evento. Probabile che questa compagnia fosse un tutt’uno con quella del Sacco, detta anche dei Cappotti. Tra l’altro, per dire del carattere francescano dell’attuale chiesa, si pensi a quando l’anno 1868 morì il cappellano della Misericordia don Focacci, con la stessa pia istituzione, che non trovando altri preti con cui sostituirlo, fece ricorso ai neo Cappuccini da circa due anni entrati all’ex convento dei Minori Osservanti. Il padre Guardiano accettò, incaricando nella funzione di cappellano della Misericordia un frate che già disimpegnava anche l’incarico di cappellano all’Ospedale San Francesco.

 

Altro filo da tirare, ma ce n’è anche un altro che poi vedremo, per quanto riguarda la genesi di questo oratorio, va ricercato in un importante fatto accaduto in quegl’anni in Barga. Era l’anno 1624, quando grazie al pittore barghigiano operante in Roma, Baccio Ciarpi, qui arrivò una reliquia di San Filippo Neri, da due anni santo (1622), che in solenne processione fu portata nel Duomo. Uno potrebbe dire: e allora? Presto detto, senza dimenticare che il Ciarpi era in Roma uno dei maggiori devoti a San Filippo Neri, un “filippino” che ben seppe ciò che andremo spiegando.

In Roma, morti da non molto San Filippo +1595 e San Felice +1587, quindi ben ricordati,  questi erano stati due grandi amici e il riferimento primo per tanti giovani cui davano speranza perché ascoltati e aiutati. Due religiosi bizzarri che in pubblico, con gran divertimento degli astanti,  bonariamente si stuzzicavano a vicenda con battute che finivano per far capire a tutti la bontà della loro missione.

 

Avere in Barga la reliquia di San Filippo e facile pensare che ciò, mentalmente inducesse il pensiero all’amico Felice, anche perché il pievano della parrocchia era Domenico Ciarpi, fratello di Baccio il pittore. Tra l’altro la fede nei due ottimi religiosi poteva essere anche ricercata, nel senso che poi, in fin dei conti, forse c’era bisogno di due santi così popolari da pregare in luoghi a loro dedicati e vedremo subito il perché. Infatti, sia Filippo, che ora si poteva pregare al suo altare in Duomo e Felice all’oratorio, davano una grande speranza al barghigiano circa la salvezza dei propri bambini, tanto amati in vita dai due religiosi, poi divenendone protettori, pensando a quei tristi tempi in cui, debolissimo il soccorso della scienza, la mortalità dopo il parto e dei giovani ragazzi in genere era molto e purtroppo frequente. Insieme, Filippo e Felice, dal cielo avrebbero potuto tanto!

Eccoci anche all’ultimo filo da tirare, un aspetto non indifferente per Barga, centro produttore della seta con diverse filande attive nel Castello e nel contado. Ecco allora che possiamo vedere arrivare in Barga il culto del Beato Felice anche come protettore dei bachicoltori, culto nato dal suo miracolo dei marciti bachi da seta che ternarono alla vita. Tra l’altro non abbiamo mai sentito dire di una chiesa o un santo in Barga cui fosse affidata la speranza di un buon anno di seta e allora, adesso sappiamo, che è qui presso San Felice che venivano a pregare.


In questo oratorio, poi detto chiesa, come si è già detto e spiegato, arrivò l’anno 1835, esule forzata dal SS. Crocifisso, l’Arciconfraternita di Misericordia, tempo in cui il vecchio oratorio era stato soppresso l’anno 1785 a seguito delle Riforme Leopoldine del Granducato di Toscana e da subito acquistato dalla famiglia Verzani. Questa famiglia, appunto, l’anno 1835 lo rese disponibile per ospitare la Misericordia e poi glielo concesse in padronanza con una vincolante clausola, che se un giorno la chiesa non ospitasse più la Misericordia, questa tornerebbe in possesso degli eredi di questi Verzani. La chiesa è guardata sin d’allora da un custode che svolge l’incarico, con altri impegni, in cambio del libero uso dell’appartamento annesso a tutto il complesso di proprietà della Misericordia.

Abbiamo detto tanto di questa chiesa in cui siamo entrati, però, innanzi di uscire incontriamo sulla sinistra una lapide, di cui nessuno, forse sa chi sia quel nome che li si legge: Pilade Caccialupi.

Lo scrivente, fra tanta storia raccontata, però sente il dovere, per essere Vice Governatore della beneficata Misericordia, di dire qualcosa di questo benemerito personaggio, oltre a quello che già recita la lapide, ossia, che prima di partire da Barga, era il 1915 e aveva circa 63 anni, fece un lascito all’Ospedale di £ 10.000 e di £ 5.000 all’Arciconfraternita di Misericordia che dal 1835 era qui raccolta. I due Enti, vista l’ingente somma donata, gli fecero una lapide, di cui questa è una. (Vedi immagine)

Pilade era nato a Napoli da un certo Flavio e in questo 1915 lasciò Barga, che lo considerava un figlio adottivo, per riunirsi a dei familiari, però, prima di fare il passo che lo vide commuoversi di fronte ai bei panorami di questa terra, volle beneficarla non solo con le ricordate donazioni ma anche con altre. Non lo sappiamo ma, forse, chissà se venne a Barga per ricoprire qualche pubblico incarico presso la Pretura o altro, ma è solo una supposizione e ora che la lascia è conosciuto come un pensionato che abita in una casa prima della curva a gomito di Bellavista scendendo verso Loppia. Morì nel marzo 1919, circa a 67 anni, e sul giornale La Corsonna, doverosamente, se ne tesserono gli elogi, veramente meritati, con parole di grande stima e non poteva essere diversamente.

Prima di uscire un ultimo sguardo e dal cuore si muove un pensiero che ci porta agli inizi del secolo XX, quando di fronte a San Felice i giornanti della Misericordia avrebbero dovuto recitare la preghiera che gli aprisse la strada al bene del prossimo. La rileggiamo insieme:

 

Onore e Gloria alla Santa Istituzione della Misericordia, Madre di carità e di soccorso della misera umanità languente.

O Sommo Iddio Onnipotente, ti offriamo quest’opera nostra che siamo per fare in espiazione dei nostri falli, fidenti, che Tu ci sarai di conforto; aiuto e difesa da ogni male. Così sia. 

 

Qui chiudiamo questo nostro presente racconto, cui tenevo moltissimo di farlo, per riprenderlo con il prossimo articolo quando saremo scesi a Porta Macchiaia e da qui, facendo un salto a palazzo Guidi, per osservare la lapide che ricorda la fondazione della Fratellanza Artigiana e lì davanti parleremo un poco di cosa fu questa istituzione.

 

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(21) Franco Paliaga: Pittori, incisori e architetti pisani nel secolo di Galileo. Felici Editore, 2009.
(22) Mons. Lino Lombardi: La chiesa di San Felice. All’ombra del Duomo di Barga. L’Ora di Barga; Tip. Gasperetti, Barga, 1986.
(23) Pier Giuliano Cecchi: L’Autore del San Felice Cappuccino di Barga. Il Giornale di Barga, n. 766, gennaio 2014.
(24) Qui occorre chiarire cosa voglia dire quel doppio cognome: Santini Angeli. Accadde che certo Santini Giovanni sposasse Virginia, l’unica figlia che il Poeta Pietro Angeli il Bargeo ebbe circa il 1555 con la serva, sposata in tarda sposata, Pellegrina d’Arli. Probabilmente per ragioni di una successiva eredità familiare, i coniugi Santini, Giovanni e Virginia Angeli, unirono ufficialmente i due loro cognomi.
25) G. Campori: Gli artisti italiani e stranieri negli stati estensi – Catalogo storico. Modena, Tip. R. D. Camera, 1855.  Pagg. 33 – 44 dove si tratta del Guercino e si cita la commissione di Giovan Battista Lavelli, esattamente a pag. 42 e 43.
Per maggiori informazioni sulla chiesa di San Felice, la sua storia e su quella dell’Arciconfraternita di Misericordia, rinviamo il lettore al libro qui a fianco:
L’Arciconfraternita di Misericordia di Barga compie 200 anni

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