Il Canonico Enrico Marcucci riposa nella sua chiesa.

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BARGA – Domenica 13 settembre 2020 si avrà a Barga, alla chiesa del Sacro Cuore, la commemorazione di don Enrico Marcucci (Barga 1871 – Barga 1960), “Il Dorme”, un soprannome che suona abbastanza strano ma che sin dall’ottocento fu attribuito al nonno dello stesso canonico e così rimase a tutti i Marcucci del ramo del Canonico.  L’appuntamento è alle ore 17,00 per il Rosario, cui seguirà una solenne Messa celebrata dall’Arcivescovo di Pisa mons. Giovanni Paolo Benotto e così prenderà avvio la commemorazione di don Enrico Marcucci, che da qualche giorno e per sempre, è tornato nella sua chiesa. Prima era sepolto al cimitero urbano di Barga, in un forno donato all’epoca dall’Arciconfraternita di Misericordia alla famiglia del defunto.

I suoi resti dopo sessant’anni dalla morte di don Enrico finalmente sono arrivati nella sua chiesa e questo fu il pio desiderio del proposto di Barga mons. Lino Lombardi (1886-1965), espresso nel suo discorso funebre proferito in fronte alla sua salma nel Duomo di Barga. L’idea la espresse con il rammarico che non fosse stato possibile seppellirlo nella chiesa che lui aveva fondato, al Sacro Cuore, però con l’augurio che un domani ciò avvenisse: che un giorno possa essere tumulato nella chiesa voluta, in mezzo a tante difficoltà, dal venerando sacerdote.   

Mons. Lombardi, e questo va detto, era già in età avanzata e da lì a cinque anni ci lasciò anche lui, portando con sé quel pio e sensatissimo desiderio. Oggi, a sessanta anni di distanza, ciò si è potuto avverare grazie all’Arciconfraternita di Misericordia di Barga.

Per l’occasione della cerimonia commemorativa è stato approntato anche un piccolo libro curato dallo scrivente, che ritesse momenti efficaci della memoria che si è mantenuta tra noi del personaggio morto in odore di santità, curata da tutti, in primis dalla santa sorella suor Marianna che morì nel 1972, i sacerdoti del vicariato di Barga, ma laicamente e specialmente da parte del maestro Gualtiero Pia.

Prima di andare avanti occorrono due parole circa questo libro, questo per far capire cosa potrà trovare lì dentro il lettore circa don Enrico. Infatti, il libro inizia con le parole introduttive dell’Arcivescovo di Pisa Mons. Giovanni Paolo Benotto, che già dal titolo Mettersi in gioco per servire Dio, si capisce che ben disegna lo spessore del personaggio.

Ci sono persone speciali che continuano ad essere presenti nella vita di una comunità anche a distanza di molti anni dalla loro morte … Una di queste persone speciali è sicuramente don Enrico Marcucci, Canonico della Collegiata di San Cristoforo di Barga, deceduto nel 1960, che ancora oggi suscita ricordi di benedizione a Dio e di riconoscenza per il tanto bene da lui compiuto nella sua lunga vita sacerdotale …

Gli interventi introduttivi continuano con le importanti parole del sindaco di Barga dott.ssa Caterina Campani, seguendo con le efficaci dell’attuale proposto di Barga Mons. Stefano Serafini che ha posto sotto il titolo Eucarestia e Carità, per venire al Governatore dell’Arciconfraternita di Misericordia di Barga Enrico Cosimini, che sunteggia tutto l’iter che domenica 13 settembre si concluderà alla chiesa del Sacro Cuore e che ha visto impegnato da un anno a questa parte tutto il Magistrato del Pio Ente che presiede. Infine l’Autore del libretto Requiem tuam in ecclesia. Per altro possiamo dire che dentro il libro ci sono ricordi, testimonianze molto importanti, come quella che fece nel 1981 Suor Placida Biagioni, raccontando di un evento che accadde a una consorella prima che fosse suora, Madre Scolastica Pierotti, che rimandiamo il lettore a leggerla nel libro. Il libro principalmente tende alle memorie del personaggio dopo che Egli ci lasciò.

Tornando a Gualtiero Pia, ai “Fioretti del Dorme”, va detto che quel libro fu pubblicato nel 1980 a tutte sue spese. Il titolo ci riporta ad accostarci a un grandissimo Santo, San Francesco, ma ciò si volle sia per dare la subitanea idea di chi si stava parlando ma anche perché don Enrico Marcucci era stato un Terziario Francescano che aveva capito e stava cercando di emulare il suo immenso messaggio d’amore.

Si è detto che era l’anno 1980, cioè il ventennale della dipartita del canonico Marcucci, e Pia, la cui famiglia aveva vissuto molto da vicino l’elemento ecclesiastico di Barga e aveva conosciuto molto bene ed anche molto apprezzato “Il Dorme”, con quel libro intese fermare nero su bianco, con dei racconti, episodi della sua vita, totalmente dedicata e diretta verso i poveri, dei veri e propri e dolci fioretti e quanti ne fece! Nei fatti, Pia sentiva che il tempo, con la scomparsa delle persone, stava consumando il ricordo del Dorme, delle sue virtù da continuare a portare ad esempio tra la sua gente. In altre e più precise parole che continuasse il suo messaggio d’amore e perché ciò avvenisse occorrevano contributi per farla continuare, che si scrivessero quei ricordi. (1)

Gualtiero Pia, però, ebbe anche l’intuizione di fermare nella seconda edizione del libro che avvenne l’anno 1993, il ricordo che aveva mantenuto del Dorme il suo successore nell’Oratorio del Sacro Cuore, don Francesco Pockaj. Altro momento importante per una biografia di don Enrico Marcucci, che senza la volontà di Gualtiero Pia, oggi non avremmo e non sapremmo cosa avesse pensato del canonico Marcucci don Francesco, quel grande personaggio che animò e fece crescere quella bellissima creatura che fu l’Oratorio, di cui tutti noi che abbiamo una certa età ne serbiamo un giovanile e bellissimo ricordo (e qui si può capire la grandezza dell’idea di don Enrico).

A seguire ecco come don Francesco ricordò a Gualtiero Pia il canonico Marcucci, il tanto caro “Dorme”:

Le Pietre della Corsonna

Nella canonica della chiesa del Sacro Cuore di Gesù, nel Piangrande, ascolto l’avvincente racconto dell’infaticabile e amato don Francesco Pockaj, meritatamente nominato Monsignore per le sue opere encomiabili.

Venga, venga; le voglio far conoscere il Canonico! Mi diceva il Commendatore Morando Stefani, operaio dell’Opera del Duomo.

Eravamo alla fine di marzo del 1950 ed ero appena arrivato a Barga. Espulso dai comunisti jugoslavi dalla mia città natale di Fiume, fui portato qui dal mio Arcivescovo Ugo Camozzo perché mi riposassi (ero stremato di forze e coi nervi a pezzi) e perché almeno temporaneamente officiassi la chiesa del Sacro Cuore.

Cominciai a fare la conoscenza con i miei confratelli del Barghigiano. Venga; le voglio far conoscere il Canonico! … Canonico? … D’istinto pensai alla mia città, ai miei amici canonici: bei roccetti con ricca trina, mozzetta paonazza, ma soprattutto la croce pettorale, non la solita croce dei vescovi “a croce latina”, ma “a croce di Malta”. Avevano qualche cosa di particolare, di distinto: sembravano un senato di cavalieri.

Canonico, le presento don Francesco, il nuovo Rettore del Sacro Cuore! Oh! Bene, bene! Sono tanto tanto contento che lei sia venuto qui. Lo ha mandato la Provvidenza! E gli brillavano gli occhi di letizia.

 

Per un attimo rimasi perplesso. Avevo davanti a me un prete in abito dimesso, quasi sciatto, scarpe alla buona, alla contadina; ma … quegli occhi, quella voce, quei gesti … Non c’era bisogno di essere professori di psicologia: avevo davanti a un’anima di sacerdote candida, semplice, che senza neanche volerlo coinvolgeva con la sua bontà chi gli stava d’intorno.

Così poco alla volta venni a sapere tutto di lui: la sua origine, i fatti e gli aneddoti della sua vita e, soprattutto, il suo particolare impegno per realizzare la chiesa e l’oratorio del Sacro Cuore. Chi dei Barghigiani anziani non ricorda le sfacchinate per portare in spalla le pietre dalla Corsonna, destinate alla costruzione della chiesa del Sacro Cuore? Avevano voglia certi benpensanti a sorridere, ma la gente seguiva lui, il Canonico, che in testa alla colonna portava il suo carico. E fu costruita la chiesa del Sacro Cuore, là nel lontano Piangrande, praticamente ancora tutto campi di grano.

E poi fatta la chiesa, l’inizio dei lavori per fabbricare l’oratorio dei ragazzi. Fu in quel momento che io arrivai a Barga. D’accordo con il Comitato riprendemmo i lavori, che dopo qualche anno furono portati a termine. E il Canonico era tutti i giorni da noi e gioiva di ogni piccola novità, come un fanciullo.

Canonico, il campo di calcio era troppo piccolo e così ho fatto levare quei filari di viti e il campo delle patate … Oh, bene, bene; io non osavo dirlo, ma è proprio bello così. Canonico, ho fatto recintare con la rete zincata tutto il campo di calcio. Sa, il pallone andava sui campi di grano e i contadini protestavano. Ha fatto veramente bene. Quei poverini faticano tanto.

Quando morì il comandante Leonetto Cola, grande amico del Canonico e dell’oratorio, la famiglia volle fare un regalo all’oratorio e chiesero a me cosa avrei desiderato. In ricordo di un soldato una bandiera ci stava bene e i ragazzi dell’oratorio non l’avevano ancora. Comprai così un bel tricolore grande, di seta, con i nastri azzurri e la scritta ricamata “Oratorio Sacro Cuore – Barga”. Il Canonico era più felice dei ragazzi al vedere quella bandiera.

E poi i grandi presepi nella sala grande dell’oratorio! Era lì felice e non riusciva a staccarsene. Fu in quella circostanza che una volta ripresi, a sua insaputa, la sua voce col registratore, ma poi, e me ne dispiace tanto, inavvertitamente la cancellai. Ma per me lui è ancora qui, in mezzo a noi. Se oggi lavoriamo per realizzare i nuovi impianti sportivi, lo facciamo sui terreni donati a lui, al buon Canonico e se fosse qui fisicamente chissà con che gioia direbbe “Oh, bene, bravi, bravi!”

E se un giorno dovremo ingrandire la chiesa da lui voluta, perché oggi troppo piccola, le parti vive della chiesa – l’altare, il fonte battesimale, il leggio, la colonna del tabernacolo – le vedo costruite con le pietre d’allora. “Siamo le pietre della Corsonna, portate a spalla dai fratelli di Barga, per costruire la casa del Signore, fondamento e gioia delle nostre cose”.

Ecco: potrei continuare a ricordare un’infinità di fatti e avvenimenti forse di poca importanza, ma che erano sempre per lui e di riflesso per noi motivo di gioia. Per ben dieci anni è durato questo mio incontro con lui e non lo potrò mai dimenticare. Quando non poté più muoversi, andavo io da lui. Cominciarono a mancargli le forze, non si alzava più dal letto: era chiaro che si avvicinava la fine e lui lo sentiva con molta chiarezza.

Non ebbi il conforto di essergli vicino fisicamente al momento del trapasso. Quel giorno 14 settembre 1960, ero partito molto presto con la mia prima 500 per un’opera di bene, da lui desiderata, molto lontano da Barga, fuori dalla Toscana. Quando ritornai, alla sera, seppi che era spirato.

Quante volte chiudendo gli occhi, lo rivedo e lo sento ancora vicino: “Oh! Bene, bene; mi fa tanto piacere; quanto sono contento!” Forse neanche a saperlo, ho vissuto qui al Sacro Cuore tutti questi anni all’ombra di quella voce, di quel sorriso, di quegli occhi lucenti.

 

(1) L’anno 2000, sulla scia delle onoranze al Beato Michele da Barga nella ricorrenza dei seicento anni dalla nascita, riprese avvio la volontà, tramite la Parrocchia, di fermare nero su bianco le memorie del Canonico Enrico Marcucci, ciò che di lui ricordava chi l’aveva conosciuto, con l’idea di ricercarne la sua beatificazione. Lo scrivente ne raccolse una alle sorelle Bruna e Liliana Notini di Ponte all’Ania, che è nel libro che oggi si presenta.
Altro importante momento fu quello, sempre della parrocchia,  di fermare la memoria del Canonico tramite un libro che pubblicato nel 2010, che ha il grande pregio di aver fissato fotograficamente e con scritti ciò che di lui è rimasto in Barga. Il titolo è: “Il Canonico Don Enrico Marcucci, il Santo di Barga”. Opera fondamentale per la sua memoria, molto utile per chi volesse approfondire la vita del personaggio.

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