Cenni sull’arte della scagliola nelle chiese di Barga

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Qualche giorno addietro arrivò al Giornale di Barga un messaggio con una richiesta di notizie circa due personaggi che in loco ebbero a che fare con l’arte della scagliola, che sarebbe il modo di imitare il marmo con un finissimo gesso tirato a lucido e pitturato a fresco con disegni geometrici o di altra natura, come varie immagini sacre o più semplicemente imitanti le venature del marmo; in genere opere di un vero e proprio valore artistico.

Chiesa San Francesco:

Altare della Madonna delle Grazie.

 

Come forse si è già capito, la scagliola è in pratica una tecnica che imita il marmo anche intarsiato e di vari colori e se il lavoro eseguito è stato ottimo, per la bella ed efficace marmorizzazione raggiunta, non al solo vederlo ma al tatto si può capire e distinguere la diversità. Va detto che solo una ventina di anni prima del ritorno al pratico uso dell’artistica scagliola che più avanti vedremo, il Granduca di Toscana Ferdinando I dei Medici aveva fondato l’Opificio delle pietre dure con maestranze addestrate all’intarsio dei marmi, un’attività per molte ragioni complessa da portare avanti, con un costo finale proibitivo, tanto da far decidere molti, per certi lavori da eseguirsi nelle chiese, a chiamare chi lavorava di scagliola.

 

Crocifisso: paliotto dell’altare di Sant’Antonio da Padova. (1)

 

Tornando al messaggio ricevuto, questi due personaggi, che ora diremo, si pensano operanti assieme di scagliola in alcune chiese di Barga durante il secolo XVII, abbellendole con quei lavori che abbiamo detto, che più che altro riguardavano altari, ma anche le arcate e altri finimenti. Uno è Carlo Gibertoni mentre l’altro, però a onor del vero ritenuto un possibile e non certo compagno dello stesso Gibertoni, era Lorenzo Bonuccelli. Va detto però che per ora, così come si è fatto noto al richiedente le notizie, lo scrivente non ha in mano alcun documento che provi la presenza in loco nel sec. XVII, sia di Gibertoni e tanto meno di Bonuccelli.

Comunque va detto che, anche volendo fare una ricerca, gli archivi delle chiese locali non sono molto forniti di notizie seicentesche e non ci può neanche soccorrere la pubblicistica locale, perché la scagliola è un argomento scarsamente trattato circa le nostre opere d’arte. Infatti, fatto salvo cose che possono sfuggire allo scrivente, pochissime sono le volte che si trova censita e se lo è, solo di sfuggita, senza indagarne le motivazioni, i presunti pregi e più che altro, interesse del presente articolo, gli Autori.

Di là da quanto detto però la curiosità culturale di sapere è stata tanta ma, purtroppo, non essendo il momento propizio per le ricerche fuori di casa, totalmente non praticabili, grazie a internet e alla buona volontà qualcosa si può argomentare e lo faremo citando alcune scagliole che sono presenti in alcune chiese del Comune di Barga e che per la prima volta, forse, saranno poste all’attenzione. Questo per invogliare chi di buona volontà, affinché si possa dire un domani qualcosa di più preciso in merito, così iniziando a inquadrarle in una situazione culturale che localmente e per ora è quasi assente. Parlare di queste scagliole, seppur argomenti che nell’attimo potrebbero essere assorbiti come un modo minore di fare arte, per converso si può dire che hanno pur sempre un forte impatto emotivo e una sua cifra artistica.

 

Crocifisso: Altare con parti in scagliola dedicato a San Vincenzo De Paul.

 

Intanto va detto che l’arte della scagliola è antica ma fu rispolverata alla grande a Carpi (Mo) agli inizi del secolo XVII, momento in cui si ha il passaggio dal Rinascimento al Barocco.  Il primo a riprendere quest’arte fu l’architetto decoratore Dal Conte Guido detto Fassi (1584-1649). Questi alleverà o indurrà altri del suo luogo a proporsi nell’arte, tra cui Carlo Gibertoni che si vuole il primo che iniziasse a dipingere la scagliola, oltre a essere chi la introdusse in Toscana dalla confinante Emilia.

 

 

Questo Gibertoni è un nome che da ora inizia a entrare direttamente nell’arte di Barga e il merito spetta tutto al sito internet: Pro Loco Castiglione di Garfagnana, là dove parlano delle loro chiese, in particolare di San Pietro. Qui, infatti, si cita un importante lavoro di Gibertoni, un paliotto per l’altare della Madonna dei Sette Dolori, eseguito nel sec. XVII e firmato dall’Autore. Nel descrivere la bella opera che nel 2002 fu soggetta a un restauro conservativo, vediamo che si ripercorre la presenza in Valle di quest’artigiano-artista ed ecco allora apparire anche Barga, dove avrebbe fatto almeno due lavori alla chiesa del SS. Crocifisso e altri alla chiesa di San Francesco. Nel sito, Alessandra Marzocchini, ci parla anche di lui, dicendo che arrivò in Garfagnana, a Castiglione allora detto Lucchese, per il forzato esilio dalla sua terra a seguito di un commesso omicidio, seguitando con l’indicazione di altri luoghi in Valle dove ha lasciato le sue tracce, per poi raggiungere Lucca e anche Firenze.

Per quanto riguarda Barga, alla chiesa dello SS. Crocifisso sappiamo esserci segni che ci possono riportare all’arte Gibertoni, si dice in due altari ma potrebbero essere anche tre, intesi come paliotti: Sant’Antonio da Padova, San Vincenzo De Paul e quello della Madonna di Lourdes, però non sa dire di più lo scrivente, perché occorrerebbe recarsi sul luogo per esaminare da vicino i lavori e di questi tempi gli è negata la visita per le misure restrittive antivirus, anche perché la chiesa è chiusa.

 

San Francesco: Arcata marmorizzata a scagliola alla cappella della Madonna delle Grazie.

Diverso il discorso per la chiesa di San Francesco, perché avendo tra le mani delle immagini di repertorio, tutto è più semplice e diremo che di scagliola intarsiata e dipinta ci sono le belle arcate e quasi il tutto dell’altare della cappella della Madonna del Soccorso; di queste opere alleghiamo alcune immagini. Inoltre, due arcate nell’aula grande dove sono le terrecotte dei Della Robbia, e qui si scorgono ancora frammenti di scagliola alle dipinte finestre in alto a sinistra, quelle che stanno di fronte alle vere finestre, qui fatte finte su di un muro che non poteva ospitarle se non, appunto, disegnate e realizzate per dare una visione omogenea alla chiesa.

 

 

Chiesa di San Francesco: incrocio delle vele al soffitto, con residui di scagliola che abbelliva ogni stessa vela.

Continuando, si scorge ancora la scagliola sui cordoli rialzati che racchiudono le vele che formano il soffitto della chiesa San Francesco, così tutta una fascia che corre intorno all’aula della chiesa. Va detto, però, che di questi ultimi lavori citati si ha una traccia o poco di più. Per le vele del soffitto va detto ancora che ci sono frammenti che ci portano a capire che le stesse fossero state interamente marmorizzate a scagliola, che ci immaginiamo avessero conferito a tutto il complesso del soffitto e chiesa, un aspetto straordinario e affascinante. Quanto detto, forse, non è mai stato mostrato da nessuno.

 

Chiesa di San Francesco: accesso alla cappella della Madonna delle Grazie. Arcata, con altre tracce di scagliola.

Quelli ricordati or ora sono i lavori che secondo quanto ci dice il sito Pro Loco Castiglione Garfagnana si possono attribuire al Gibertoni, però ce ne sono anche altri e questi sono alla Pieve di Loppia. Di questi siamo ancora in attesa di avere un minimo riscontro circa l’autore, comunque li riportiamo e commentiamo per fermarli un attimo nel nostro articolo.

Si tratta dei tre altari che sono nel transetto della chiesa e che hanno l’altare di scagliola sia nel paliotto come sui suoi fianchi. Di questi altari sappiamo poco e quel qualcosa ci viene da un articolo che scrisse nel novembre 2018 Sara Moscardini per il Giornale di Barga, la direttrice della Sezione di Barga dell’Istituto Storico Lucchese: Altari della Pieve di Loppia.

Nel complesso dei tre altari il più vicino al nostro excursus e avvicinabile all’intrapreso discorso parrebbe essere l’altare centrale che cosi Sara Moscardini ci definisce:

 

Pieve di Loppia: Altare maggiore con mensa e paliotto di scagliola.

L’attuale struttura dell’altar maggiore, intitolato a S. Maria Assunta, risale al 1646, data riportata sul uno dei plinti, anche se la sua esistenza è già documentata un ventennio prima. Così viene descritto nel 1679: ha lo scaffale tutto indorato, sopra del quale stanno due angeli, candelieri e vasi con fiori falsi. Nel mezzo all’altare vi è un gran tabernacolo tutto indorato, dentro del quale vi è una statua della SS. ma Vergine di stucco molto decente, et è benissimo adornata di vesti (si parla della statuetta conosciuta come “Madonna di Loppia”). Dopo l’altare vi è la tribuna dipinta, e vi è espresso il mistero dell’Assunta. L’altare era mantenuto dalla Confraternita dell’Assunta; di maestranze toscane, è in legno intagliato e dorato, con mensa dipinta in pietra con la tecnica della scagliola (gesso tirato a lucido e dipinto a fresco). Il paliotto è da far risalire a questo altare, sia per la corrispondenza di misure che per l’affinità dei motivi decorativi. L’altare nel 1922 subì gravi danni da un incendio, i cui segni sono ancora visibili sul retro.

 

 


I tre altari con la mensa di scagliola della Pieve di Loppia.

Gli altri due altari, paliotto e mensa, seppur di scagliola, nella detta ricostruzione si definiscano come appartenenti al sec. XVIII.

Sempre la stessa Autrice, nel libro “La Pieve di Santa Maria Assunta di Loppia”, del 2008, nell’articolo “La Pieve di Loppia nel suo archivio parrocchiale”, così ci dice ancora dell’altare maggiore della chiesa: “La mensa formata di stucco lustrato a mano e dipinto con fiori di vari colori”.

La scrivente spera vivamente che quest’articolo possa smuovere un poco la ricerca e che un prossimo domani si possa dire di più su questi lavori che hanno una loro espressività e un significato che va di là dal mero gesto artistico. Solo pensando a quel Gibertoni che in ogni e qualsiasi chiesa toscana in cui aveva lavorato, a contatto con Dio e i Santi, ognora rimuginava tra se la pena del perché della sua lontananza da casa che era là in Emilia, dietro a quei monti Appennini che gli si mostravano belli ma ben più alti del vero, così chinando la testa sul suo lavoro, solo e unico conforto.

 

(1) Per la foto del paliotto dell’altare Sant’Antonio da Padova che è al SS. Crocifisso, si ringrazia Barga in Fotografia.

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