L’etica e l’ignoranza degli onnivori digitali

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La nostra società è decisamente in fibrillazione, in sospeso tra un sistema economico e sociale basato sulla crescita illimitata e una possibile decrescita felice, tra innovazione e tradizione. Accade così che ci si possa smarrire e perdere qualche punto di riferimento. E’ normale.

Già… la nostra società ha anche un macroscopico privilegio: non ha bisogno di utilizzare troppo tempo alla ricerca del cibo. Questo fa si che ci sia molto tempo per fare altro. Qualcuno, come me, la sera scrive un articolo su un giornale on-line, qualcuno gioca con i videogames, qualcuno legge un libro (decisamente la categoria che preferisco), qualcuno si inventa un modo per fare impazzire il mondo (questi proprio non li sopporto) e così via.

Capita che l’avvicinarsi della Pasqua porti qualcuno a riflettere e che qualcuno cerchi di opporsi ad una tradizione di cui si è profondamente appropriato il consumismo: quella di mangiare l’agnello. E’ così che nei giorni scorsi mi è capitato per le mani un volantino relativo ad un flash mob contro il consumo della carne di agnello. Niente di male: noi onnivori possiamo scegliere una dieta in cui certi alimenti hanno un peso più o meno grande. Il volantino mi ha incuriosito e ho deciso di leggerlo anche se aveva un testo molto lungo. Ben presto, però, sono nate in me delle perplessità.

“Ogni anni centinaia di migliaia, forse milioni, di agnelli vengono uccisi per finire sulle nostre tavole”: il tenore del messaggio era più o meno questo, anche se non sono certo che le parole fossero queste. Dunque, non sono un campione di logica ma il concetto è decisamente ribaltato rispetto alla realtà: quegli agnelli vivono per finire sulle nostre tavole. Se noi non li comprassimo nessuno li alleverebbe, quindi non vedrebbero mai la luce del sole. Si, perché non stiamo parlando di caprioli, cinghiali o tordi che vivono in stato di naturale libertà e che di tanto in tanto, forse troppo spesso, finiscono per morire sotto i colpi dei fucili di chi poi se li mangerà. Caprioli, cinghiali e tordi vengono al mondo naturalmente (beh, anche qui forse si dovrebbe specificare qualcosa…) e chi li uccide li priva della vita, ma gli agnelli no, quelli vengono al mondo per una precisa volontà di chi li alleva in risposta alle esigenze di chi li mangia. Quindi l’affermazione di chi promuove il flash mob è del tutto falsa. Forse più che falsa è falsata dall’ignoranza di quegli onnivori digitali che vedono negli animali allevati l’equivalente di un animale selvatico.

Sia ben chiaro, non mi sto schierando né con chi mangia gli agnelli, né con chi non li mangia, ma ho difficoltà ad accettare l’ignoranza e la mancanza di logica. Parimenti non accetto tutto ciò che legandosi a questa tradizione pasquale può determinare sofferenza negli animali che, anche se vengono allevati per uso alimentare, meritano il rispetto di cui è degno ogni vivente.

Voglio, però, andare oltre e tentare un collegamento con un’altra lamentela tipica degli onnivori digitali: ad ogni alluvione o frana si lamentano perché c’è abbandono del territorio, perché nessuno lo custodisce più. Già, forse perché gli agnelli che ci mangiamo vengono da troppo distante? Forse i nostri allevamenti sono scomparsi a favore di quelli in terra straniera? Forse i “viaggi dell’orrore” dei poveri agnelli sono dovuti al fatto che consumiamo agnelli allevati all’estero ma che possiamo pagare meno o  che rendono di più a qualche intermediario? Se davvero fosse così, un onnivoro digitale potrebbe porre la questione in tutt’altro modo invitando chi vuole mangiare agnello a scegliere un agnello di filiera corta e a chilometri (quasi) zero. In un colpo solo si avrebbero una serie di vantaggi: possibilità di un maggiore rispetto per gli animali allevati, meno impatto per il loro trasporto, più terreni gestiti tramite l’agricoltura (magari non intensiva) e meno dissesto idrogeologico. Infine, l’onnivoro digitale vedrebbe gli agnelli al pascolo, anziché su uno schermo touch screen e potrebbe imparare di più sulla loro vita, potrebbe più facilmente confrontarsi con chi li alleva e saperne di più. Intanto gli onnivori che mangiano l’agnello avrebbero modo di affezionarsi a qualche agnello, anche solo incontrandolo, e forse assumerebbero un atteggiamento più responsabile nelle proprie scelte di mercato pre-pasquali.

Prima che mi dimentichi, voglio aggiungere un tassello: io adoro i fagioli lessi conditi con un filo d’olio buono. Li mangio voracemente ma non manco di comprendere che sono embrioni di una pianta che, ancora vivi, vengono gettati nell’acqua bollente per essere cotti. Questo gesto non è meno crudele del consumo della carne se sono rispettate le regole di benessere per gli animali d’allevamento. Entrambi, però, hanno un impatto sull’ambiente e le nostre scelte alimentari dovrebbero prima di tutto tener conto di questo.

Lo spreco, l’alimentazione eccessivamente improntata sul consumo di carne, le scelte che facciamo in merito al tipo di alimento e la sua provenienza condizionano, in una direzione o nell’altra, i riflessi sull’ambiente dei nostri stili alimentari. Questo determina azioni e conseguenze sugli ecosistemi e sulle comunità. Anche questa è una riflessione di carattere etico. Io sono convinto che su questo gli onnivori digitali debbano investire delle energie perché è da queste riflessioni che può scaturire un futuro migliore per loro stessi e per gli altri ospiti di questo fantastico pianeta.

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