Professione reporter: “dare la caccia alla verità”

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Intervista con Frank Viviano realizzata da Stefano Elmi per la sua tesi di laurea in storia del giornalismo.Già inviato per Pacific News Service, RTS (Registrer and Tribune Service), San Francisco Chronicle, Far East Economic Review, National Geographic e attualmente impegnato per CBS News e per la rivista A Far, Frank Viviano vive e lavora tra gli Stati Uniti e Barga dove ha una sua abitazione.

Bernardo Valli ad una mia domanda circa le caratteristiche che deve avere un reporter di guerra mi ha subito fermato dicendomi che questo mestiere non esiste. Poi ha precisato dicendo che il reporter è tale indipendentemente se si muove in zone di guerra o meno. Allora questo reporter chi è effettivamente?
Il reporter è colui che da la caccia alla verità. E’ l’unico scopo di questo mestiere. E’ l’importanza di essere testimoni diretti degli avvenimenti.
Se scrivo qualcosa a cui ho assistito direttamente quasi sicuramente la destra me lo contesterà e lo stesso farà la sinistra, per il semplice fatto che l’avvenimento descritto non corrisponde a nessuno dei loro modelli interpretativi.
Io vado e descrivo ciò che vedo, indipendentemente dalle idee politiche, questo però non vuol dire che io non analizzi i fatti dandogli poi successivamente una loro interpretazione. E’ importante essere testimoni diretti di certi avvenimenti, facendo ciò penso anche ai lettori, che avendo magari più di un inviato e quindi più di un reportage, possono farsi un’opinione più completa in merito. Ma evidentemente ciò si è perso, perché il mercato dell’informazione è in crisi ed esige minori costi, per cui ci si accontenta di un solo reportage su una certa situazione, tutto ciò va a discapito della formazione dell’opinione da parte dei cittadini.
Senza informazione non c’è democrazia e quindi senza cittadini che si formano un’opinione i governanti sono più forti?
Esatto. Io conosco bene la Cina e vi è l’opinione comune che sia un paese molto chiuso, abitato solo ed esclusivamente da schiavisti senza scrupoli che non fanno altro che produrre sulla pelle di povere persone considerate alla stregua di schiavi. Ciò non significa che tutto proceda per il verso giusto, vedi repressioni in Xinjiang e Tibet, però si deve ammettere che rispetto a venti anni fa la Cina sia totalmente cambiata, nel bene e nel male. E a chi mi pone il problema della democrazia io rispondo: siete proprio sicuri che nel vostro paese tutto funzioni bene? Direi che ci sono dei grossi problemi anche qui in Italia, o no?
Beh in effetti. Ma dal punto di vista etico come si dovrebbe porre un reporter? Nel senso il suo lavoro di testimone coincide necessariamente con una partecipazione attiva ad una causa piuttosto che ad un altra o si può essere obiettivi?
Diciamo che la realtà è più complessa. Il reporter è mosso dalla curiosità e come ogni persona inevitabilmente si forma le sue opinioni e viene attirato da particolari che magari ad altri non dicono niente. Insomma è difficile tradurre la complessità anche di un singolo avvenimento in un articolo per un quotidiano o rivista, manca lo spazio fisico.
Internet può aiutare?
Si e no. Internet è un invenzione strepitosa per quanto riguarda la comunicazione. Il poter comunicare in tempo reale con una persona dall’altra parte del mondo a costi molto bassi è una cosa che sino a qualche anno fa era inimmaginabile, e quindi ha facilitato il lavoro di questa professione. Dall’altra parte ha creato una tale dose di informazioni delle quali non è più possibile verificarne l’attendibilità.
Ad esempio se parto per la prima volta per un paese del quale conosco poco ho nulla, con internet molto velocemente e facilmente sono in grado di reperire una dose massiccia di informazioni in merito; da qui a capirne l’affidabilità, a volte ce ne corre.
Ero poco più che ventenne quando sono partito per la Cina. Non conoscevo niente di quel paese, non avevo fatto studi in merito, insomma niente di niente. E per quattro mesi non ebbi contatti con nessuno a casa, solamente di tanto in tanto tramite il telex riuscivo a mandare qualche articolo a qualche agenzia o rivista in America, ma per il resto non avevo contatti col mondo esterno. Fu una grande avventura! Ora però non è più così. La professione è sensibilmente cambiata e questo spirito se vogliamo un po’ romantico è andato perduto. E poi il guaio di internet è che ha messo in crisi i quotidiani stampati, sempre più in calo di vendite e quindi i loro investimenti come nel campo degli inviati in giro per il mondo hanno subito una drastica riduzione.
Quindi il futuro è molto triste?
Penso di sì, se i maggiori quotidiani del mondo non formano una federazione che in qualche modo possa arginare lo strapotere di internet, magari anche facendo pagare per le notizie diffuse sui loro siti, il crollo delle vendite delle maggiori testate del mondo rimarrà inevitabile.
Ma per quanto riguarda la professione, vedo nei giovani d’oggi, una ripresa della curiosità. Rispetto alle persone fra i trenta e quaranta anni che si sono trovati nel mezzo del cambiamento, i ventenni di oggi sono cresciuti con le nuove tecnologie e hanno le conoscenze per utilizzarle al meglio, e ciò potrebbe trasformarsi in una soluzione della crisi.

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