Il grande sogno

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IL GRANDE SOGNOItalia 2009di Michele PlacidoNel 1968 un giovanissimo Michele Placido vestiva la divisa della polizia per potersi permettere gli studi all’accademia d’arte drammatica: con questa pellicola l’oggi affermato regista intende tornare indietro e riproporre, attraverso l’esperienza personale, gli anni della contestazione studentesca e delle lotte sociali che hanno rivoluzionato il XX secolo.Nicola Casella (Riccardo Scamarcio), ingenuo ragazzotto originario della Puglia, approda a Roma sognando il teatro e il cinema; in attesa dell’esame d’accesso alla scuola di recitazione, vivacchia alla caserma Castro Pretorio. Con il deflagrare della rivolta universitaria il giovane, date le sue doti artistiche, è mandato alla Sapienza dal comandante della caserma (cameo straordinario di Silvio Orlando) come infiltrato per raccogliere dati, nomi, immagini degli studenti contestatori. Tra questi, guidati dal carismatico Libero (Luca Argentero) studente operaio della FIAT, Nicola è
subito colpito dalla cattolica e borghese Laura (Jasmine Trinca), presenza insolita e decisa nel folto gruppo di rivoluzionari; da subito se ne innamora anche se la ragazza manifesta una spiccata attrazione nei confronti di Libero. Ai primi violenti ed ingiustificati sgombri ad opera della polizia, Laura scopre la vera identità di Nicola e si rifiuta di rivederlo, partendo assieme a Libero per diffondere le idee di cambiamento fuori dalle mura universitarie, tra braccianti ed operai. Nicola, che nel frattempo è riuscito ad entrare all’accademia di drammaturgia grazie all’aiuto – non disinteressato – di un’insegnante (Laura Morante), non abdicherà mai ai tentativi di ritrovarla. Ma a quel punto, forse, arriverà il momento di accorgersi che tutte le loro speranze e le loro lotte non erano altro che un grande sogno.
Ciò che è assente nel film è la vera aria rivoluzionaria del ’68: la rivolta studentesca, partita sui banchi, si riduce ad un’infinità di discorsi politico-retorici (che costituiscono il punto debole della sceneggiatura) e a qualche sventolio di bandiere rosse. Manca un vero ideale, una spinta plausibile di lotta: minimamente per esempio si accenna ad una volontà di cambiamento nel carente, classista e antiquato sistema universitario (quando Laura ne parla al primo comizio studentesco viene subito freddata da Libero in quanto non si tratta di ideali di prima necessità) così come, più avanti, nel mondo del lavoro e della classe operaia. Addirittura la voglia rivoluzionaria di questi giovani è buggerata dalla Morante che, di fronte ai propri studenti che propongono di cambiare i termini troppo agé dei testi di Checov da lei proposti, se ne va sbattendo la porta: “Certo ora è molto di moda contestare. Ed è infinitamente più facile”.
È più convincente in questo senso lo sguardo stranito del protagonista (corrispondente a quello del giovane Placido) che finisce per convivere con questo mondo di azione senza comprenderlo fino in fondo, ricordando di quando il nonno bracciante, dopo le lotte contadine del ’48, affermava “… poi tutto è finito ed è stato come risvegliarsi da un grande sogno”; è anzi semmai proprio il personaggio di Nicola il solo a riuscire ad impegnarsi e realizzare i desideri e la vera rivoluzione personale, sia dal punto di vista professionale che sentimentale. Scamarcio vive con particolare emozione il proprio ruolo, unendo sottili note di cafonaggine e sensibilità e dando una prova di inaspettata bravura. Non si può dire lo stesso di Argentero cui manca l’occasione di confermare la propria bravura, prigioniero di un personaggio cui manca un vero spessore, un carattere sacrificato dalla parte più verbosa e anonima della sceneggiatura. Una citazione a parte va fatta per Massimo Popolizio, grande attore teatrale e anche qui interprete eccezionale nel ruolo del padre di Laura, uomo dell’alta borghesia che non riesce né vuole comprendere il desiderio di cambiamento dei propri figli (gli inespressivi Trinca, Marco Iermanò, Marco Brenno). La famiglia aborra e ostacola le scelte dei ragazzi: lo fa però con immenso dolore, con la sensazione onnipresente dello sfaldamento del nido e la commovente e sofferta necessità di assicurare sempre e comunque il proprio affetto.
La parte conservatrice della società è comunque principalmente ravvisata, al di là dell’università e della famiglia, nelle forze dell’ordine, accanite e sorde nella repressione, nell’inganno e nella sopraffazione nei confronti dei giovani. L’interpretazione conclusiva, amara di Placido è che, al di là dell’utopia e della riuscita del grande sogno sessantottino, vi erano almeno all’epoca ideali per i quali lottare, al contrario della desolante desertificazione della società odierna.
La straordinaria colonna sonora unisce canzoni d’epoca ai motivi orchestrati per la pellicola dal maestro Nicola Piovani.

Commenti

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  1. COME IO L’HO VISTO.
    COMPLIMENTI SARA PER IL LAVORO CHE SVOLGI PRESSO QUESTO GIORNALE TENENDOCI SEMPRE INFORMATI SULLE NOVITà CHE LE SALE CINEMATOGRAFICHE PROPONGONO DURANTE L’ANNO. HO VISTO UN FILM TROPPO POLITICIZZATO E INCENTRATO SUGLI IDEALI (DA NON TRALASCIARE QUANDO SI TRATTANO QUESTI ARGOMENTI) E POCO SULL’ARIA CULTURALE CHE SI REPIRAVA IN QUEGLI ANNI COME MUSICA, NUVELLE VAGUE, LA CINA COMUNISTA ECC… E PERCIO’ PREFERISCO IL SESSANTOTTO OVATTATO IN “THE DREAMERS” DI BERTOLUCCI. COME SI PUO’ NOTARE, E MI RICOLLEGO A QUANTO ANCHE TU HAI DETTO, IL SOGNO, L’UTOPIA E LA VOGLIA DI CAMBIARE ERANO TROPPO FORTI E DIFFUSI IN QUEGLI ANNI RISPETTO ALLA VOLONTà DI CONCRETIZZARE QUANTO PENSATO. PLACIDO, SECONDO ME, HA INTELLIGENTEMENTE PROPOSTO IL SUO FILM IN QUESTO PARTICOLARE MOMENTO DELLA STORIA POLITICA E SOCIALE ITALIANA.

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