Milk

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MILKdi Gus Van SantUSA 2008 —La vera storia di Harvey Milk (Sean Penn) che alla soglia dei quarant’anni abbandonò il grigio mestiere di assicuratore ed andò ad abitare assieme al fidanzato Scott (James Franco) a Castro, quartiere alternativo e hippie di S. Francisco. Da qui intraprese una lunga, sofferta campagna elettorale che lo portò nel 1977 alla carica di consigliere comunale, primo omosessuale dichiarato a ricoprire un incarico istituzionale negli Stati Uniti; postazione da cui combatté decisamente contro la Proposition 6 che mirava a licenziare gli insegnanti gay dalle scuole di ogni ordine e grado. Contro di lui non solo repubblicani e fanatici religiosi, ma anche il collega conservatore Dan White (Josh Brolin), prima amico e poi suo rivale.
Gus Van Sant è un regista anomalo nel panorama americano, alternando film di sicuro impatto (Will Hunting – Genio Ribelle) a pellicole ricercate e introspettive (Elephant, Last days) e comunque ottenendo abitualmente ottime critiche e premi. Il gioco sembra essere riuscito anche con Milk che agli Oscar 2009 è in corsa con ben otto candidature tra cui miglior film, miglior regista, miglior attore protagonista, miglior attore non protagonista e miglior sceneggiatura originale.
Quello che manca in Milk è il cuore. Non c’è passione nel narrare la storia, ridotta ad una serie di scene teatralizzanti e didascaliche; gli espedienti sono poco originali (in primis il Milk che racconta al registratore le proprie vicissitudini nel caso rimanesse vittima di un attentato) e l’andamento della trama è piuttosto prevedibile. I fatti raccontati sono interessanti ed utili per evitare oggi gli errori (gli orrori) di ieri, colpendo in particolare la discriminazione degli omosessuali oltreché una certa mentalità conservatrice e retrograda, arroccata sulle sue posizioni suffragate da indegni personaggi che pretendono farsi portavoce di un ideale religioso. In questo senso la pellicola è tipicamente americana: il mondo gay non è tanto valorizzato in sé stesso (alcuni degli interpreti sono a dir poco macchiettistici) ma piuttosto in quanto società libertina ed alternativa al chiuso e tradizionalista mondo di un’America moralmente rimasta al tempo dei Padri Pellegrini. Emblematico dello scontro il rapporto tra Milk (Sean Penn non è così bravo come si favoleggia), uomo tranquillo ma deciso, astuto ma buono, entusiasta e sincero, e Dan White (un discreto Brolin), supervisor proveniente dal quartiere cattolico ed irlandese di San Francisco. White, a differenza dell’ambiente da cui proviene, non discrimina immediatamente Milk ma si comporta da vero politicante: lo studia, stringe una parvenza di collaborazione, cerca di usarlo, quando si accorge che non gli sarà utile lo abbandona, lo combatte cocciutamente per salvare il proprio posto e le propria dignità di ex poliziotto sino ad arrivare al tragico gesto finale.
Queste scelte si affiliano ad una sceneggiatura in odor di esercitazione di retorica che però non sfodera mai apertamente e in cui la costruzione psicologica dei personaggi è sacrificata all’ambiente e alla mentalità che li circonda. Un argomento così sensibile ed una storia così importante e poco conosciuta come quella di Harvey Milk avrebbe meritato di più.

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