Il papà di Giovanna di Pupi Avati

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IL PAPÀ DI GIOVANNA
Italia 2008
di Pupi Avati

A differenza dei suoi ultimi lavori (La seconda notte di nozze, La cena per farli conoscere) questo è un buon Avati. Bologna, 1938. Il professor Michele Casali (Silvio Orlando, Coppa Volpi a Venezia per questo ruolo), artista fallito, vive un rapporto intimo e simbiotico con la figlia diciassettenne Giovanna (Alba Rohrwacher) ragazza timida e problematica; rapporto da cui escludono sistematicamente la madre Delia (Francesca Neri). Un giorno la migliore amica di Giovanna viene trovata morta a scuola; l’ispettore di polizia Sergio Ghia (Ezio Greggio), amico dei Casali, arresta la ragazza che in poche ore confessa il delitto. Il drammatico evento sconvolge la famiglia: Giovanna viene dichiarata inferma di mente e internata in manicomio; Delia rinnega la famiglia rifiutandosi di rivedere la figlia e avvicinandosi a Sergio, che da sempre ha amato. L’unico a rimanere accanto a Giovanna è il padre, che abbandona il lavoro e la città per accudire costantemente la ragazza negli anni di detenzione, mentre fuori si consuma la guerra. I due riusciranno a ricostruirsi una vita?
Il duetto Orlando – Rohrwacher è l’impalcatura che sostiene il film. L’attore regala un’interpretazione, come nel suo carattere, intensa e misurata, sincera e convinta; la Rohrwacher, dalla bellezza irregolare, è la vera luce della pellicola: sgraziata, insicura, follemente disperata e infantile, è una Giovanna perfetta. Il rapporto tra padre e figlia è di una vitalità e di un realismo sconvolgente: lui, premuroso, deciso, cerca in ogni modo di proteggerla, di guidarla in un mondo ostile, ignorando le conseguenze del proprio comportamento ossessivo (porterà il peso di una notevole parte di responsabilità nel delitto); lei lo seguirà sempre con devozione filiale e fiducia cieca. Si può notare in tal senso un prima e un dopo: prima e durante il processo Giovanna ha bisogno di Michele. È una ragazza sempre ombrosa, dal viso severo e triste; solo col padre riesce ad aprirsi, a trovare la fiducia in sé stessa che Michele le dà attraverso un amore incondizionato, una stima illimitata. Dopo la condanna e l’internamento in manicomio (scene girate nel vecchio istituto psichiatrico di Maggiano) Giovanna fiorisce in una progressiva regressione infantile: ride, balbetta scherzi da bambina, accompagna il padre decine di volte lungo la recinzione che li divide. Michele, sopraffatto dalla stanchezza, non vive ormai più che per trascorrere quei momenti con la figlia, senza neanche più parlarle, rimanendo in silenzio accanto a lei e acconsentendo ad ogni sua richiesta.
In questo rapporto apparentemente non c’è posto per la madre. Sin dall’inizio appare come una figura estranea, disaffezionata (alla figlia ansiosa per il primo appuntamento non dice una parola); per lei il delitto è solo la conferma di un senso di inadeguatezza e rifiuto per il proprio ruolo genitoriale. L’allontanamento da Giovanna è vissuto dapprima con sofferenza, e poi come una liberazione, mentre parallelamente in manicomio la ragazza per anni porta e consuma i guanti che è convinta le abbia mandato la mamma. L’interpretazione della Neri e di Greggio (che può legittimamente o meno suscitare più curiosità) è misurata e corretta.
Ciò in cui difetta il film sono certe forzature che si possono riassumere sotto due profili: per primo, tanti inutili, orpellosi riferimenti autobiografici, frequentemente presenti in Avati; per secondo la ricostruzione storica. La vicenda privata in primo piano (l’ambiente piccolo borghese, i personaggi umili, dai sentimenti forti, reali, non stereotipati –grande pregio-) è trattata in maniera eccelsa ma Avati è tentato talvolta di far prevalere gli eventi bellici, risultando esagerato e forzoso (la servetta che attacca gli articoli di giornale con le notizie principali, i bombardamenti) e lasciando la sensazione di voler dare una lezione scolastica.
Nel complesso comunque il film è buono e merita il successo che ha avuto; grande lavoro le musiche di Riz Ortolani, articolate in un movimento vivace, perfettamente d’epoca, e da una melodia più sentimentale, dal forte impatto emotivo.

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