Vallanzasca – Gli angeli del male

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VALLANZASCA – GLI ANGELI DEL MALE
di Michele Placido
Italia 2010

Michele Placido riparte narrando la vita del celebre bandito Renato Vallanzasca (Kim Rossi Stuart), dai furtarelli con gli amichetti già da bambino, alla costituzione della Banda della Comasina che tra gli anni ’70 e ’80 terrorizzò Milano e l’Italia intera in un crescendo di innumerevoli azioni criminose tra rapine, sequestri, omicidi. Il tutto inanellato da incarcerazioni, isolamento, angherie e altrettante spettacolari evasioni che condurranno a condannare il bel René a un totale di 260 anni di reclusione.
Placido rifà propri gli argomenti e i toni che l’avevano portato a creare sei anni fa il bellissimo “Romanzo criminale”, e con Vallanzasca riesce a dimostrare nuovamente quanto essi gli siano congeniali. Viene continuamente spontaneo un paragone tra le due pellicole: se la prima era essenzialmente un film corale, Vallanzasca ha come unico, dominante protagonista il bandito milanese. E, a pieno servizio del regista, si presta un Kim Rossi Stuart a s
traordinari livelli interpretativi: impersona Vallanzasca non solo nell’accento e nei modi, ma anche nel fascino, nella galanteria, nella spacconeria, nella spietatezza, nella perversa incoscienza con cui conduce i suoi oscuri disegni. Difatti, se la Banda della Magliana aveva costruito un’industriale organizzazione dedita allo spaccio e all’omicidio con l’obiettivo fondamentale del guadagno, Vallanzasca sembra invece agire come un cane sciolto, guidato confusamente da oscure forze che lo spingono a commettere crimine su crimine senza apparentemente guardare ai frutti, come un giocatore d’azzardo che agogna a mettere la posta del gioco sempre più alta. Lui stesso ha una giustificazione per questo male insito: “Non sono cattivo. Ho soltanto il lato oscuro un po’ pronunciato” (parole del vero Vallanzasca). Questa connotazione malvagia è uno degli elementi che lo porta ad assumere il vero e proprio ruolo di leader all’interno della propria banda: mentre in Romanzo criminale tutti i membri dell’organizzazione sono alla pari (e ciò conduce alle lotte intestine e alla mattanza), Renato è capo carismatico dei suoi e a lui tutti fanno riferimento, nel bene o nel male; parallelamente lui stesso tende a comportarsi non solo come leader, ma come vero e proprio giudice: è palese la sofferenza nella perdita dei compagni, ma altrettanto inflessibile la sua ostinazione (basti vedere la fine che sceglie per chi ritiene averlo tradito). Vallanzasca infatti sembra seguire rigorosamente una propria etica: bandito ingegnoso e galante che invita i rapinati alla calma, diventa sempre più feroce e animalesco con il degenerare delle sue azioni criminose e con la costrizione nelle istituzioni carcerarie. Infatti, mentre in Romanzo criminale lo Stato appariva perennemente e vergognosamente colluso coi fatti della Magliana, Renato Vallanzasca lo ha invece contro: appaiono durissime le sue condizioni di prigionia, costellate di pestaggi e di continui tentativi di sommosse ed evasioni. L’evasione per Vallanzasca costituisce la suprema realizzazione del proprio costante anelito alla libertà, intesa non solo come status, ma soprattutto come concezione di vita, ognora presente nei suoi atteggiamenti smargiassi e decisi. Atteggiamenti che, se erano impensabili negli ambienti romani della Magliana, sono invece tollerati nel milanese: mentre in Romanzo criminale le bande seguono la filosofia pesce grosso mangia pesce piccolo, a Milano i malavitosi sembrano tentare di convivere senza pestarsi i piedi od attirare attenzioni, in base ad uno sballato codice etico (tanto che in carcere matura l’amicizia tra Renato e il boss avversario Francis Turatello, ben interpretato da Francesco Scianna). L’ambientazione milanese inoltre si rispecchia in una fotografia livida ed efficace, in una colonna sonora incalzante (firmata dai Negramaro), in un soggetto più asciutto, essenziale e in una sceneggiatura caratterizzata da un trend narrativo dagli ottimi ritmi, in un’industriosa escalation di azione che lascia in disparte l’aspetto più privato della vita del bandito che in alcuni momenti sembra annullare sé stesso per cucirsi addosso l’esclusiva immagine di personaggio pubblico (si pensi al ruolo molto marginale che viene riservato all’elemento femminile nel film, con interpreti non proprio all’altezza).
Vallanzasca si candida insomma ad essere per il momento la migliore pellicola di questa stagione: a ciò va apposta una piccola appendice riguardo le polemiche suscitate dall’uscita di questo film. È pur vero che il punto di vista assunto da Placido è proprio quello di Vallanzasca (quindi pro domo sua), e l’ottima interpretazione di Rossi Stuart rende il bandito un personaggio bello e accattivante (inoltre le istituzioni giudiziarie e militari fanno tutt’altro che una bella figura); tuttavia chi è in possesso di un minimo di materia grigia riuscirà a discernere dove finiscono il fascino e la simpatica faccia tosta del bel René e dove iniziano la sua sanguinarietà e la sua malata e perversa concezione di libertà.

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