Capitan Galletto, chi era costui?

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Iniziando a salire via Borgo, l’erta strada che dal ponte Lombardini conduce alla piazza del Comune, dopo circa 10 metri, di fronte alla sede del Giornale di Barga, alzando gli occhi, su di una casa possiamo leggere una targa indicante: Piazza Galletto.

Premesso che un’indicazione di siffatta natura svia chiunque dal reale significato di ciò che quella targa voglia dire e non mancano gli esempi, come un giorno che udì alcuni ospiti di Barga disquisire sul fatto che nel luogo della piazzetta si fosse tenuto in antico uno speciale pollaio dove, forse, un galletto la faceva troppo da padrone…

Ammesso pure che ci siamo nel concetto, però quel Galletto non era un volatile bensì un uomo in carne ed ossa, un capitano d’armi di parte francese, il quale, sì, volle farla da padrone nel pollaio della Barga fiorentina e repubblicana degli anni 1527-29 ma, caduto in minoranza e rifugiatosi nel suo possente Castello di Sommocolonia, poi dovette soccombere e lasciare la Terra di Barga quando nella capitale Firenze finì il sogno della libertà repubblicana sorretta dalla Francia.

Successe allorché, dopo il tragico e vincente assedio imperiale di Carlo V ? autore del sacco di Roma del 1527 ? nella Città del giglio tornarono i Medici, giustamente osannati dalla storia ma che però spensero nell’allora Italia quel sogno anelante di autonomia dal giogo straniero.

Infatti, a Firenze si giocò l’ultimo sforzo dell’Italia prima del suo adagiarsi alla servitù, appunto, straniera e che solo l’Unità d’Italia riscattò.

Era l’anno 1529-30 e su quegli spalti fiorentini, esattamente di Porta a Prato, i soldati inviati dalla Barga repubblicana con a capo Francesco Turignoli, detto capitan Ceccone, seppur vedessero Firenze piangere lacrime amare per la presagita sconfitta da parte degli imperiali e loro collegati, dettero tutto di se stessi meritando in premio, così i loro morti, il solo elogio della storia di uomini da sempre animosi e fedeli alla sorte della patria.

Restaurati i Medici ci furono moltissimi indulti per coloro che avevano combattuto per la Repubblica di Firenze, questo anche in Barga, ma non per Capitan Galletto, alias Matteo di Pieruccio Bartoli che con i figli Simone e Pieruccio, già fuggiti dalla ritorsione, furono poi banditi per sempre dalla Terra di Barga e le loro case abbattute, con i beni confiscati e posti all’asta. Con loro diversi di Sommocolonia e di Barga, i quali, come detto, poi beneficiarono dei sopraddetti indulti.

Il 6 luglio 1530 dal podestà di Barga Cosimo Bartoli – che non era parente del Bartoli Galletto – furono inviati agli Otto di Firenze i nomi dei ribelli che, oltre ai già citati, erano: Altobello di Francesco da Barga, Domenico di Pellegrino di Bonanno, Nanni di Ser Francesco di Ser Manno detto Barletta (qui mi pare chiaro il riferimento alla disfida di Barletta del 1503), Giuliano di Menco detto Castagnino, Toto di Bartolommeo di Pieruccio detto Bargiacca (cugino del capitan Galletto da Barga), Francesco d’Antonio Mozzo detto Mondone, Antonio di Mastro Augustino, Matteo di Jacopo di Bartolino.

La fede repubblicana del Galletto da Barga la rileviamo da una lista che stilò il podestà di Barga Rondinelli nel 1528, dove sono elencate le famiglie appartenenti alle due fazioni politiche: Italiana, quella facente capo a Papa Clemente VII, cioè Giulio dei Medici ed alla sua famiglia; Francese o Franciosa, quella facente capo all’idea repubblicana appoggiata dalla Francia di Francesco I.

In Barga la maggioranza delle famiglie erano di parte italiana: Ciarpi, Bertacchi, Mazzolini, Sermanni, Pieracchi, Simoni, Bonaccorsi, mentre le famiglie di parte francese erano quelle dei Bartoli del Galletto, Nutini, Caratti, Angeli, Mozzi, Tallinucci, Pancrazi, Salvi, Mazzanga.

A Sommocolonia era in maggioranza la parte francese, che annoverava le famiglie Francia, Mazzolini, Badiali, Baldini, Marganti, Mori, Marchini. Di parte Italiana erano i Salvi, i Feducci, i Ligi, i Pinelli. (vedi Francesco Salvi: Il Galletto e la guerra di Sommocolonia -1907).

La parte Francese in Firenze era la maggioranza sin dal 1527 della cacciata dei Medici e da loro governata in forma di Repubblica indipendente.

Nel giugno del 1529 i francesi di Francesco I vengono sconfitti a Landriano e nel novembre di quell’anno al Congresso di Bologna fu ribadita la servitù dell’Italia a Carlo V, che accordatosi con Papa Clemente VII dei Medici, ristabilì a Firenze quella casata nella persona di Alessandro dei Medici. Il governo repubblicano di Firenze rifiutò l’imposizione del rientro dei Medici e si preparò da sola a reggere il conflitto contro il Papa e l’Imperatore.

Infatti, contro Firenze fu mandato un esercito di 40.000 uomini al comando del principe d’Orange, che prima dell’assedio sottomise Perugia, Arezzo, Cortona, mentre Prato, Pistoia, Volterra si dettero spontaneamente a Papa Clemente VII. Intanto il 14 ottobre 1529 ebbe inizio l’assedio a Firenze.

Nella podesteria di Barga il cambiamento di rotta politica dette adito al ribaltamento amministrativo che si concretizzò con l’uscita dalla carica di podestà del repubblicano Saladino Adimari e con l’ingresso di Cosimo Bartoli eletto da Clemente VII. Adimari fu uno dei sostenitori del partito della libertà sia a Firenze come a Barga e con il ritorno dei Medici, perché proscritto, dovette prendere la via dell’esilio.

Però va detto che Sommocolonia aveva un suo podestà, che seppur sottoposto a quello di Barga, resse ancora la parte repubblicana: Guido Baldovino.

Nel dicembre del 1529 – podestà Adimari – il Galletto, già eminente personalità del Consiglio, fu nominato Capitano Generale della milizia barghigiana e iniziò a rinforzare Barga con nuove strutture militari per il pericolo di incursioni nella terra da parte delle truppe imperiali di Carlo V che si dirigevano all’assedio di Firenze. In questi frangenti i Consoli di Barga pagarono 12 lire un certo Strilgia del Sillico perché andasse a vedere “in Lombardia se si faceva gente per darci briga”. (A.C.B. -Saldi 1528-52).

Il Galletto era stato comandante della fortezza di Livorno, nominato nel 1523 da Clemente VII e – stranezza della sorte? – costretto a lasciarla allorché il partito repubblicano nel 1527 iniziò a dirigere Firenze. Senz’altro pesava su di lui, nonostante fosse repubblicano, quella nomina da parte del papa mediceo. In cambio gli furono dati parecchi soldi e il comando in perpetuo della Rocca di Sommocolonia, che elesse caposaldo della sua fede repubblicana.

Con lui era a Livorno il figlio Simone, poi accusato di aver ridotto in misere condizioni il locale ospedale di cui era rettore. Con l’ingresso in Barga del nuovo podestà Cosimo Bartoli, eletto nel gennaio 1530 da Papa Clemete VII dei Medici, il Galletto fu costretto a lasciare i suoi incarichi barghigiani e a rinchiudersi nella sua Sommocolonia, da dove faceva delle sortite per tentare di ribellare Barga al papa mediceo.

Barga già da tempo aveva indirizzato il suo futuro che, al di là delle posizioni politiche, non poteva essere visto se non con molta attenzione alle sorti della Terra, predisponendo per tempo le idee ad una sorta di limbo in attesa del vincitore della guerra tra repubblicani e medicei. Questo sin da quando ci fu la sconfitta francese a Landriano in Lombardia – giugno 1529 – poi con l’assedio di Firenze dell’ottobre di quell’anno, consapevoli che l’intervento di Carlo V legava ad un esile filo le sorti della libera Repubblica di Firenze.

Contro una simile e concreta scelta non poteva avere successo l’idea di Capitan Galletto, il quale e comunque non perdeva occasione per molestare Barga onde ridurla al sovvertimento della scelta.

Intanto il Podestà di Barga Cosimo Bartoli chiese aiuti al Papa per debellare la minaccia repubblicana che gravava su Barga con le azioni del Galletto ed il 16 giugno del 1530 giunsero a Barga 400 cavalieri mandati da Alessandro Corsini capitano delle milizie di Pistoia che, uniti alla milizia di Barga, andarono all’assedio di Sommocolonia, conquistandola e distruggendo il paese ma senza poter avere la possente rocca in cui si era asserragliato il Galletto, il quale successivamente la lasciò ai medicei in cambio della libertà sua e dei suoi seguaci.

I soldati imperiali ormai solcavano ogni lembo della Toscana e le ultime speranze di Firenze assediata e ridotta allo stremo, erano affidate nelle mani di Francesco Ferrucci, Commissario Generale delle milizie fiorentine, il quale nel tentativo di soccorrerla, il 3 agosto 1530 a Gavinana si scontrò contro Filiberto di Chalons, il principe di Orange, il quale rimase ucciso nella battaglia. A sua volta anche il Ferrucci fu ferito a morte e così ridotto portato al cospetto di Fabrizio Maramaldo che vilmente lo finì. Celebri le ultime parole del valoroso condottiero: Vile, tu uccidi un uomo morto!

Parole che al tempo del nostro Risorgimento suonavano come l’ultimo scatto d’orgoglio dell’Italia prima di soggiacere allo straniero e che ispirarono a Goffredo di Mameli un passaggio dell’Inno d’Italia, allora chiamato Il Canto degli Italiani: Dall’Alpe alla Sicilia / Dovunque è Legnano / Ogn’uom di Ferruccio / Ha il core e la mano… cioè, ogni italiano degno di questo nome ha il cuore e la mano del capitano Francesco Ferrucci, strenuo difensore della libertà di Firenze assediata nel 1530 dall’esercito imperiale di Carlo V.

Negli anni repubblicani di Barga (1528-29), nei Saldi del Comune troviamo diversi pagamenti a persone dirette ad incontrare il Ferruccio: “Per le fatiche che ferno el Menchella del Pierazzino e il Bernardino del Pretaccio (un Nutini) con un garzone del Commissario che andorno ad incontrare el Ferruccio -£ 12”. Questo in diverse occasioni, tra cui a Fiumalbo e in Val di Lima.

Come non rilevare che ogni italiano risorgimentale certamente aveva anche la mano di ognuno di quei difensori della Repubblica di Firenze, tra cui Capitan Galletto da Barga, che nel 1537, dopo la cosiddetta definitiva disfatta a Montemurlo dei repubblicani fuorusciti da Firenze per mano di Cosimo I, seppe della sorte toccata a suo figlio Capitano Pieruccio, al quale fu tagliata la testa in piazza della Signoria a Firenze, assieme a Baccio Valori e altri condottieri.

Matteo di Pieruccio Bartoli alias Capitan Galletto, per cause a noi sconosciute in quei frangenti si salvò. In una lettera del podestà di Barga Vieri Cerchi diretta a Firenze il 28 aprile 1548 si apprende che: “si dice qui a Barga che il Galletto sia stato ammazzato a Ferrara, il come e da chi non si sa” ma invece ricomparse al tempo dell’assedio di Siena del 1554, quando l’esercito francese guidato da Piero Strozzi solcò la nostra Valle per soccorrerla e con lui era, appunto, il Galletto, il quale tentò di far ribellare Barga ai Medici confidando nel supporto dei suoi silenziosi seguaci rimasti nel Castello, in altre parole si tentò una congiura, che lo storico barghigiano Gaetano Verzani definì in un articolo scritto per La Corsonna nel 1915 “la congiura dei Galletti”.

Infatti, nel Castello di Barga erano ancora presenti affiliati alla causa repubblicana, tra i quali dei suoi parenti istruiti per vie occulte sul da farsi per dare corpo alla congiura: “Sarianno per i fuorusciti quella parte parenti e amici di Camillo Gratiani di Barga, gl’amici et parenti di Galletto”. (Paolo Simoncelli: “Fuoriuscitismo repubblicano fiorentino”, 1530-54″, vol. 1, 2006).

I parenti diretti del Galletto erano i Bargiacchi e i Pierucci, i quali avevano casa lungo le mura vicino alle porte di Borgo e il segreto accordo consisteva nel prestare attenzione ad un particolare segnale del Galletto, poi sarebbero dovuti scendere in strada armati con tutti gli altri aderenti per aprire le Porte di Borgo e consentire alle truppe dello Strozzi di entrare in Barga per occuparla.

Purtroppo la congiura inciampò nel poco silenzio dei congiurati e saputo i Consoli della Terra di Barga quanto si stava tramando presero gli opportuni e severi rimedi, imprigionando i congiurati, a cui seguì l’atterramento delle loro case come ribelli, che essendo a ridosso delle porte di Borgo probabilmente suggerirono l’idea di intitolare la piazzetta lì vicina in Piazza Galletto, timorosamente in ricordo del fervente repubblicano.

Certo in epoca repubblicana quale è la nostra occorrerebbe invece uno scatto d’orgoglio e così rifare quella targa scrivendoci sopra: Piazza Capitan Matteo di Pieruccio Bartoli alias Galletto da Barga e sentir cantare in quel giorno l’Inno Italiano con le parole inneggianti all’eroico esempio di Francesco Ferrucci.

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