A-22

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Nel tratto che va dal Passo del Brennero a Bolzano l’autostrada A-22 è una lunga picchiata fatta di gallerie, curvoni veloci e viadotti altissimi spazzati da un vento che spesso soffia a raffiche micidiali.

Il mio amico Maurizio è un signore dalla gentilezza squisita, ma è anche uno tosto quanto possono esserlo i bergamaschi tosti, e ora è qui davanti a me e mi sta mettendo alla frusta!
Veniamo da Monaco di Baviera, abbiamo fatto rifornimento a Innsbruck e, appena passato il confine italiano, ha iniziato a tirare come un demonio mostrando di considerare i limiti di velocità alla stregua di fastidiosi consigli non richiesti.
«Avrà fiutato aria di casa? Vorrà dimostrarmi qualcosa?».
Non lo so ma, qualunque sia il suo motivo, siamo qui a sfidare le leggi della fisica rischiando la vita tra le lame di questi guard rail assassini.
Più di una volta mi sono accorto di aver giocato il jolly e so che nel mazzo non me ne restano molti, ma so anche che se perdessi la sua scia non lo riprenderei più.
Così tengo il gas spalancato, mi raccomando a San Valentino da Tavullia e spero per il meglio.
A queste velocità il nastro d’asfalto si restringe in modo drammatico, le distanze tendono a zero e tutto accade maledettamente in fretta.
Non c’è più tempo di pensare ed è tutta una questione di quel mix di colpo d’occhio, istinto e coraggio che molti definiscono sbrigativamente “manico”.
Appiattito dietro il plexiglass, sballottato dal vento e col casco pieno dell’urlo del motore non potrei andare più veloce di così, non potrei rischiare di più; ma lui è sempre lì davanti che nemmeno si cura di guardare negli specchietti per vedere se ci sono ancora.
«Beh, mi spiace per lui, ma ci sono, perdio!»
Così, mentre lo riempio di accidenti, che tanto il dio dei motociclisti non li prende mica sul serio, continuiamo a duellare col cuore in gola in questo pazzo videogame in cui schiviamo il culo maligno di auto e TIR che sembrano venirci addosso, impostiamo traiettorie azzardate, ci attacchiamo ai freni e acceleriamo rabbiosamente cercando di non commettere errori perché a questo gioco per chi sbaglia non c’è rivincita.
Qualcuno penserà:
«Ma chi te lo fa fare? Lascialo andare e che si ammazzi pure, se vuole!»
Non potete capire…
Non esiste un motociclista che, per quanto tranquillo sia, possa lasciar cadere un guanto di sfida.
Non sarò mai il primo ad iniziare una bagarre e non ho alcun problema a lasciar passare chi mi raggiunge lungo la strada perché, per motivi propri, ha una velocità di crociera superiore alla mia.
Ma se una sfida c’è, va accettata! E questa, anche se non dichiarata ufficialmente, lo è di sicuro.
Costi quel che costi, quel signore là davanti non avrà la soddisfazione di dire agli amici
«… e poi giù per il Brennero l’ho perso!».
A questo ritmo indiavolato i km corrono veloci e, oltrepassato Bolzano, l’autostrada inizia ad adagiarsi dolcemente nella valle dell’Adige, il vento si placa e, finalmente, pare calmarsi un po’ anche quel satanasso là davanti.
Al primo autogrill Maurizio mette la freccia, parcheggiamo le moto ed entriamo nel bar indossando le migliori facce da poker del nostro repertorio.
Lui zitto… io zitto…
Al momento di pagare mi fa
«Ti saluto qui perché ho un po’ fretta di arrivare a casa»
Appena gli rispondo, guardandolo negli occhi
«Potevi anche dirlo, che si tirava un po’…»
esplodiamo in una sonora risata liberatoria, due pacche sulle spalle e ripartiamo veloci.
Dopo aver costeggiato quei contrafforti prealpini che celano ai nostri occhi il lago di Garda, il mio amico imbocca l’uscita per la Serenissima, l’autostrada che lo porterà a Bergamo e, alzato un braccio in segno di saluto, inizia a rimpicciolirsi in lontananza.
Alla mia sinistra, pigro, scorre l’Adige con le sue infinite anse, ognuna delle quali sembra una nuova scusa che s’inventa per rimanere aggrappato alle proprie montagne e ritardare ancora un po’ il suo annullarsi nell’Adriatico.
Ridacchiando nel casco, penso anche alla possibilità che il suo incerto e serpeggiante incedere dipenda dal fatto che lambisce troppi vigneti per rimanere sobrio.
Entro nell’Autostrada del Sole e, oltrepassata Modena, mi ritrovo in quella zona che Guccini definì “già quasi Romagna e in odor di Toscana” mentre il disco rosso del sole tramonta dietro gli Appennini riscaldandomi la schiena.
Ho ancora un bel po’ di strada da fare ma, adesso, il motore gira rotondo come un gattone che fa le fusa.
La botta di adrenalina è scomparsa del tutto, i muscoli sono rilassati e guidare è un vero piacere.
In breve calano le ombre della sera, le luci dell’autostrada si accendono e presto la magia della notte, con le sue infinite possibilità, giungerà a spodestare il mero pragmatismo del giorno.
Penso che le facce di alcuni automobilisti che ho schivato oggi non le dimenticherò mai e mi dico che non ho più l’età per queste cose ma, poi, ruoto la manopola del gas godendomi il rumore che aumenta, la spinta nella schiena e la lancetta del contagiri che s’impenna ancora una volta.

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