La linea viola

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Per tutto il mio primo anno scolastico le cartine geografiche dell’Italia e della Toscana affisse alle pareti dell’aula calamitavano il mio sguardo di bimbo curioso e, mentre il maestro parlava, molte volte mi perdevo a fantasticare sui contorni di quelle che per me erano molto più che forme bizzarre separate da una marcata linea viola.
Per qualche misterioso motivo sono sempre stato affascinato dai confini e da quelle dogane con tanto di sbarre a strisce bianche e rosse e severi doganieri in divisa che vedevo sui fumetti del Corriere dei Piccoli; e anche adesso, quando con la moto vengo fermato dalle guardie di confine di qualche nazione, invece d’innervosirmi mi trovo ad avvertire il fascino di quei luoghi che separano culture diverse, lingue diverse e, in definitiva, gente diversa.
Era uno di quei mesi di Giugno di una volta, quelli dalle mattine di cristallo in cui la Primavera irrompeva, prepotente, in classe dalle finestre aperte e gli sguardi vagavano a inseguire le acrobazie delle rondini o il ronzio di un moscone che non trovava più la via per uscire.
Stare attenti alle lezioni, quando sapevi già di essere stato promosso e le tue gambe, in preda alla smania di correre nei prati, non riuscivano più a star ferme sotto il banchino era una tortura.
Finalmente la scuola finì e venne l’Estate con le sue belle giornate che invitavano a stare all’aperto e a fare gite al mare ed escursioni in montagna, così una bella domenica mi ritrovai precettato a forza nella scampagnata che i miei genitori e alcuni loro amici avevano organizzato per andare a piedi sul monte Rondinaio.
«Sveglia alle cinque e mangiare al sacco: sai che gioia!..»
Invece di starmene a giocare coi miei amici, mi toccava questa scarpinata lunga, barbosa e, dal mio punto di vista, assolutamente inutile.
«Ma che me ne frega di fa’ tutta ‘sta fatica per anda’ in cima a questo stupido monte e poi torna’ indietro?»
Mi ripetevo mentre, di malavoglia e col viso imbronciato, facevo da fanalino di coda all’allegra comitiva impegnata in un’ascesa che mi sembrava senza senso e senza fine, quando una voce là davanti disse
«Forza che tra un po’ si mangia sul crinale, a cavallo del confine tra Emilia e Toscana!»
Di colpo cambiò tutto! Le mie gambette presero a mulinare impazienti e in breve tempo mi portarono in testa alla fila indiana che, lasciata la faggeta, avanzava sulla nuda, arrancando tra i bassi cespugli di mirtilli che sarebbero spuntati di lì a poco.
Mentre i raggi del sole iniziavano a scaldarci le spalle io, impaziente di arrivare, staccai tutti e col cuore in gola raggiunsi per primo la cima del Rondinaio, urlando di gioia.
Ripreso fiato, mentre gli altri si sistemavano per il meritato riposo con annesso robusto spuntino, presi a guardarmi intorno con grande eccitazione.
Mi aggiravo avanti e indietro esplorando attentamente il crinale in ogni roccia che affiorava e scostando col bastone ogni cespuglio d’erba finché qualcuno mi urlò da lontano:
«Sembri un cane da tartufiii… Ma si po’ sape’ che cerchiii!»
E io, a squarciagola: «La linea violaaa!!!»
Scoprire che a segnare il confine tra le due regioni c’erano solo degli stupidi picchetti di legno che, ogni tanto e a malapena, s’intravedevano tra l’erba mi riempì di una delusione che richiese del tempo per passare del tutto.
Fu quel giorno che cominciai a capire che la realtà non è sempre come te la dipingono i grandi.

P.S.
Tra gli altri famosi personaggi a fumetti, le pagine del Corriere dei Piccoli ospitavano anche le avventure di Ambrogio e Gino: padre e figlio che, pur lavorando come idraulici nella propria ditta di Milano, venivano spesso coinvolti in peripezie che prevedevano lo sconfinamento in Svizzera tramite le dogane.
Sembra incredibile, ma decenni prima dell’avvento di Supermario c’erano già degli idraulici che facevano gli eroi!

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