Al Pronto Soccorso

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Quel giorno di aprile, poco prima di Pasqua ’22, in casa, entrando nella stanza da bagno, non mi accorsi che uno scatolone sporgeva lungo l’apertura della porta: ci inciampai; e, perdendo l’equilibrio, rovinai giù per terra. Faticosamente mi rialzai: ero ancora stordito per l’infortunio subìto, in particolare per un forte colpo alla testa; indi mi feci vedere da mia figlia, Marisa, che, impressionata, immediatamente mi fece salire in macchina, e via di corsa verso il Pronto Soccorso di Castelnuovo. Lì giunti trovammo che alcune persone stazionavano fuori dell’entrata, quindi dovemmo attendere il nostro turno onde accedere nell’interno; poi fui adagiato da un infermiere su un lettino mobile, mentre mia figlia è dovuta uscire, per le note norme anticovid.

Pur spaesato, mi accorsi che pur nell’apparente caos c’era tanto ordine; e tutto si svolgeva con comprensione con precisione, direi con bontà. Mi accorsi che con calma, con sicurezza, si accertano delle priorità, dando risposte esaurienti agli ospiti, che poi vengono ricevuti nell’ambulatorio di entrata, al loro turno all’accettazione.

Così pure, anche a me, l’infermiera che mi ricevette preparò la ‘cartella’ con i miei dati e con ciò che accusavo. Dopodiché, sempre sul lettino mobile, venni fatto entrare nell’ambulatorio medico vero e proprio, visitato dalla primaria della struttura medica che, cortesemente, volle parlare al telefono con mia figlia, che era lì fuori, onde acquisire maggiori informazioni su me, sul mio caso.

Ed ecco che cominciano gli accertamenti: analisi del sangue; poi, trasportato in radiologia per la Tac alla testa; indi in quello per radiologie a varie parti del corpo e di un braccio e della mano. Qui si presentò un problema: era necessario per potere eseguire la ‘lastra’ toglier l’anello, la ‘fede’; ma non riuscivo a sfilarla, che il dito era gonfiato: che fare? Allora intervenne benevolmente un radiologo che, con ‘santa pazienza’, usando sapone liquido, piano, piano riuscì a toglierla: finalmente!

Fortunatamente, alla fine degli accertamenti, non risultò alcuna frattura; bensì molte contusioni, escoriazioni, traumi e moltissimi ematomi sulla testa, sul viso, e su buona parte del corpo, causati nell’urto della caduta, e molto aumentati per la terapia, che ho in corso da anni, di anticoagulante. Infine mi comunicarono che mi avrebbero trattenuto fino all’indomani, in osservazione.

Al momento della cena due infermiere mi sistemano a sedere sul letto; mi posizionano la mensola mobile  per prendere il cibo col braccio buono, pur anche quello un po’ occupato con il terminale del tubetto dell’ipodermoclisi, in corso.

Lì ricoverato, ho constatato che tutto il personale sanitario, in poco numero rispetto al bisogno di tanti pazienti, pur oberato di lavoro, è sempre premuroso con i degenti, senza dare segni di impazienza. Un grazie quindi ai sanitari, donne ed uomini, di cui ne ho così bene apprezzato l’ottimo comportamento: dico volutamente ‘donne ed uomini’, e non ‘uomini e donne’, come normalmente viene detto perché, a differenza di com’era fino a circa un mezzo secolo fa, le infermiere e dottoresse oggigiorno sono in numero preponderante rispetto ai loro colleghi dell’altro sesso; ed è per questo che la donna dolce e paziente per natura più dell’uomo, ha ingentilito tutto il modo di operare in detta nobile professione. Dico nobile perché, a differenza di qualsivoglia altre professioni, mestieri, arti; che operano su cose inanimate o astratte, i medici ed infermieri curano persone viventi, dotate di anima e, rasserenando i degenti, li predispongono ad essere calmi e buoni, portando nelle loro famiglie una ventata di ben vivere. Qui il mio pensiero prende un’altra piega: parlando di spirito, considerando che siamo cristiani, dovremmo accettare eventuali dolori, infortuni, che capitano nel corso della vita di ognuno, ed offrirgli a Gesù, in sconto delle nostre mancanze; com ‘Egli, innocente, ha sofferto per le colpe di tutti. Un’ultima riflessione, che mi balza in mente: San Paolo, nella sua seconda lettera ai Corinzi, capitolo dodicesimo, 7-10, dice: “Perché non montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne…A causa di questo per ben tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. Ed Egli mi ha detto; ‘Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza’. Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze perché dimori in me la potenza di Cristo”.

Concludo come mia figlia, che mi aveva accompagnato al ‘pronto soccorso’, alla mia dimissione mi venne a riprendere; ed ecco che ricevetti dal personale sanitario un’altra prova della loro disponibilità ad aiutare i pazienti: un infermiere mi accompagnò, sulla carrozzella, nel locale interno dove vanno e vengono le autoambulanze; e, già d’accordo con Marisa, mi aiutò a salire in macchina.

E finalmente rieccomi a casa, in gioia con tutti i miei cari di famiglia.

Ma da questa esperienza faccio proposito, per il futuro, di fare molta attenzione a transitare alle porte: che non ci siano scatoloni per terra, lì appresso!

 

 

 

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