Coi lavoratori del Corsonna al Primo Maggio

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Valentino, un amico che lavora nello Scatolificio Corsonna mi ha detto che per la Fiera del 1°Maggio a Fornaci di Barga, tutti i dipendenti assieme ai sindacati faranno un presidio lungo la via principale del paese.

Così, nonostante il cielo che promette acqua e armato di scarpette tecniche, decido di percorrere a piedi la vecchia strada che collega Barga a Fornaci. Oggi, questo tracciato si alterna fra strade secondarie, mulattiere e sentieri. Una volta, la via che passa dalla località di  Giuvicchia e arriva sin dentro Fornaci Vecchia, era la via principale per giungere a Barga. Qui antiche testimonianze scritte narrano di come la Giuvicchia fosse stata adibita a luogo d’impiccagione, sino all’abolizione della pena di morte nello stato fiorentino. Da qui sono passati eserciti, granduchi di Toscana, nobili di varia caratura, briganti, viandanti, partigiani, nazisti e alleati.

Scendendo, su di un tornante, il bosco svanisce e si materializza la fabbrica metallurgica costruita dalla famiglia Orlando, con cui s’identifica Fornaci da poco più di 100 anni. Il colpo d’occhio, tutte le volte rimane sempre notevole. Dall’alto si capisce ancora meglio come tutto sia stato costruito in sua funzione.

Arrivo a Fornaci e mi immergo nella expo del “Primo Maggio”. Fra le numerose auto esposte, trattori di tutte le taglie e fiori variopinti, ci sono anche loro: gli operai. Tutti con la maglietta verde con la scritta Corsonna, e le bandiere dei sindacati, resta difficile non riconoscerli.

“Certe aziende che stavano meglio di noi, anche un anno fa avevano già iniziato a fare dei periodi di cassa integrazione, magari per ammortizzare, noi no. Noi abbiamo chiuso di colpo, da un giorno all’altro, quando i creditori hanno detto basta. E non è che non avessimo lavoro, eravamo in produzione, in maniera regolare”. Questo è ciò che mi spiega Enrico Mucci, rappresentante RSU dell’azienda, che prosegue “attualmente, secondo le normative vigenti, i circa 70 dipendenti sono in carico all’azienda per due mesi, visto che la cassa integrazione è scaduta il 12 aprile scorso e nessun accordo sulla mobilità è stato firmato. L’unica soluzione che si vede all’orizzonte” conclude Mucci “è quella legata all’interessamento di un azienda locale che dovrebbe attivare una produzione nello stabilimento, almeno con una quindicina di posti inizialmente. Speriamo inoltre che gli incontri con le istituzioni locali accelerino questo iter”

Dopo aver ascoltato questa storia di pessima lungimiranza imprenditoriale, faccio un giro e m’incammino sulla via del ritorno e naturalmente comincia a piovere. Ripensando alla storia della strada che sto percorrendo, mi torna in mente che qui, molto più modestamente, è passata anche mia nonna Maria che andava a lavorare alla vecchia SMI (Società Metallurgica Italiana), l’odierna KME. Era il 1936, e all’età di 15 anni, durante la guerra d’Etiopia, fu la prima volta che mise piede nella fabbrica. Costruiva bossoli, e la manovalanza era in prevalenza femminile. Durante il secondo conflitto mondiale, vi ritornò finché la produzione non si fermò, in concomitanza con l’attestarsi degli eserciti sulla vicina Linea Gotica. Ogni mattina percorrendo quel tragitto che la portava a lavoro, si portava dietro delle bottiglie di latte che vendeva alle varie case che incontrava lungo il percorso. Nonostante fosse operaia, alla mattina presto era pur sempre contadina.

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