Quel giorno per la festa della Libertà

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Era la prima domenica dopo Pasqua e splendeva un bel solicello primaverile, ma l’aria era ancora frescolina perché soffiava un venticello fastidioso che arrivava a scompigliare i capelli e far volare le foglie secche dopo il lungo inverno.

“Una volta, come oggi, si andava alla Libertà alla Pieve!” disse la nonna Lisetta a tavola durante il pranzo. “Era una festa grossa, una di quelle che aspettavamo tutto l’anno. Si rincontrava tanta gente. Com’era bello!”. “Noi, nonna, invece oggi andiamo a l’Angeletti” le risposero i miei figli.

“Roberto ci aspetta! Vieni anche te, così potrai giocare a carte!”

Alla nonna non pareva vero di andare a l’Angeletti, dove era nata e aveva vissuto fino a quando non si era sposata e dove abitava suo cugino Peppetto, padre di Mirella, che era per lei come un fratello. Quando si ritrovavano insieme, se non giocavano a carte, cosa che facevano volentieri entrambi, parlavano della loro infanzia confrontando i loro ricordi.

Avevo già programmato con la mia amica Mirella che avremmo lasciato i nostri bimbi a casa sua, in compagnia dei babbi e dei nonni, per andare insieme a fare una passeggiata, facendo come diceva lei “l’orto”. Per noi l’orto è un percorso ad anello. Nello specifico questo prevedeva partire dall’ Angeletti, raggiungere Pianaccio, attraversare la Corsonna, salire al Colle per poi riscendere verso Merizzacchio e risalire all’ Angeletti da Montebono.

Dopo aver dato tutte le consegne con le dovute raccomandazioni, partimmo per la nostra impresa. Prima tappa la Madonnina dei Rondoni dove c’ èra (e c’è ancora) una piccola statuina di gesso posta dentro una ciocca di castagno. Davanti c’era una “pettelinga” con le bacche arancioni che sembravano piccoli fiori. Il sasso piatto posto davanti sembrava un piccolo inginocchiatoio e invitava a fermarsi per fare almeno il segno della croce.

Più avanti, lungo il sentiero, raggiungemmo una bella staccionata nuova, costruita sopra una grotta (detta la Grotta della Serpa) per protezione, in vista della gara di mountain bike, organizzata dal Comitato di Pegnana.

In località Pianaccio, nelle case ormai da tempo abbandonate, ci soffermammo a fantasticare sulla vita dei “nostri nonni”. Notando i resti di un bellissimo pozzo posto sotto un ampio loggiato fra le due case, elogiammo l’ingegnosità e la ricerca delle comodità anche nella povertà in cui si trovavano i nostri avi.

Scendemmo lungo la strada trattorabile e raggiungemmo il corso della Corsonna. Sui cigli della strada erano presenti diverse buche fresche e foglie smosse, segno del passaggio recente di qualche cinghiale. Ben presto mi resi conto di non avere le scarpe adatte per attraversare il torrente. Così Mirella, forte dei suoi stivaletti, mi propose di trasportarmi prendendomi a cavalluccio sulla schiena.

Tutto bene, ma quando eravamo proprio in mezzo all’acqua, Mirella esclamò: “Pensa un po’, se qualcuno ci facesse una fotografia o ci vedessero i nostri ragazzi?” Cominciammo a ridere così forte che arrivare dall’altra parte, senza finire dentro l’acqua, fu una vera impresa. Ridendo sempre, raggiungemmo il Fosso dei Rimaioli. Lì, qualcuno, attraversando prima di noi, aveva creato un passaggio, mettendo ravvicinati grossi sassi piatti. Così l’attraversamento fu molto più facile.

Il cammino riprese tra una chiacchiera e l’altra e arrivammo a Ceragioli di sopra , meglio noto come “Al Feruccio”. All’ora c’era soltanto un grande muro con tante finestre, a testimonianza di una grande casa ormai abbandonata. (Oggi questi immobili sono stati recuperati e trasformati in un complesso residenziale).

Giunte a Gemina, il cane di Ayala fiutando da casa il nostro passaggio, cominciò ad abbaiare forte, ma fu prontamente richiamato e zittito dal padrone.

A Merizzacchio sostammo davanti alla mestaina sul poggio, opera compiuta negli anni ‘60 dalla Forestale, durante i lavori di costruzione della strada rotabile, abilmente scalpellinata dal bravissimo Leo Gonnella.

Il problema dell’attraversamento dell’acqua si ripresentò al Rio di Montebono, ma non volli approfittare di Mirella e mi inzuppai per bene i piedi. Questo ci indusse ad affrettarci senza passare dalla chiesa e così, accelerando il passo, arrivammo a l’Angeletti.

“Qui, bisogna che si decidano a fare il ponte” dissero prontamente la nonna Lisetta e il Peppeto, quasi all’unisono, mentre Mirella mi dava un paio di scarpe e calze asciutte. “Anche don Cola ha appoggiato le nostre richieste per avere il ponte. Qui se uno non ha la macchina, quando c’è l’acqua nel Rio, non può andare neanche alla messa!”.

Da anni erano state avanzate richieste per la costruzione di un ponte sul Rio che mettesse fine al problema dell’attraversamento dell’acqua, durante i periodi di pioggia. Nonostante le continue sollecitazioni, eravamo sempre in alto mare.

Solo diversi anni dopo, nel 2005, il sogno dei due anziani si avverò. Avevamo il ponte! Il giorno dell’inaugurazione tantissima gente arrivò a Montebono. Fu celebrata una bellissima messa preceduta dal suono delle campane e accompagnata dal coro con l’organo. Dopo il taglio del nastro , con la presenza di autorità civili, religiose, della banda e dell’associazione Alpini, gli abitanti del posto offrirono un maestoso rinfresco.

Il ponte fu intitolato al pittore Umberto Vittorini, originario della Val di Corsonna.

Alcuni giorni dopo, una goliardica compagnia di amici pose affettuosamente una targa in legno, denominandolo “Ponte al Caciotto”.

Fu davvero una bella festa, che la nonna Lisetta ha ricordato per tanti anni, come faceva per quella della Libertà alla Pieve.

L’inaugurazione del ponte il 2 giugno 2005

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