Andar per funghi ed altre boscherie barghigiane (parte 2)

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Quello che vi presentiamo è un manuale pratico dei funghi che si possono raccogliere nelle nostre terre.

Il progetto di un manuale sui funghi, nasce dalla trasposizione degli appunti del diario di campagna di Brunella Ponzo, che nel 2005 ha acquistato e ristrutturato un fienile nei castagneti che lambiscono la Garfagnana, ad 800 mt di altitudine, in Frazione Renaio, sull’Appennino Tosco Emiliano.

La passione per il bosco e per la scrittura ha dato vita a simpatici racconti e a spiegazioni sugli habitat dei funghi, con particolare attenzione ai funghi minori e al loro uso in cucina.

Grazie alla disponibilità dell’autrice, ci è possibile presentare questo interessante testo per i lettori del Giornale di Barga. Ogni settimana pubblicheremo un capitolo del lavoro di brunella, ringraziandola fin da ora per l’attenzione e l’onore che ha riservato al nostro giornale.

Vi auguriamo una piacevole passeggiata nei boschi della montagna Barghigiana con il secondo capitolo.

ANDAR PER FUNGHI E ALTRE BOSCHERIE BARGHIGIANE

Manuale pratico per chi vuole iniziare la ricerca dei funghi ed avventurarsi nei boschi

Come raccogliere e cucinare i funghi dell’Appennino Tosco Emiliano

Di Brunella Ponzo

CAPITOLO 2 – I FUNGHI

2.1. Cos’è un fungo?

Il fungo è una strana creatura. Lunare e umida. Così mi dice il cuore. Mentre la scienza la definisce un macromicete, cioè dotato di un corpo fruttifero voluminoso, detto carpoforo. Vi ho intimiditi? No, i carpofori possono essere molto belli e saporiti. Per la scienza è un vegetale, per il dietologo è una via di mezzo tra una bistecca e una carota, per uno chef è la quintessenza del sapore. Ma quello che dovete sapere sul fungo è che si presenta come un frutto contenente le spore, che sono i suoi semi. Semi che, nelle giuste condizioni di terreno e di clima, in gergo condizioni pedo-climatiche, daranno vita a nuovi esseri. Ecco perché la busta di plastica per la raccolta dei funghi è vietata, in quanto non consente la caduta a terra delle spore. Ma toglietevi ogni illusione, se una volta a casa andrete a scuotere il cestino sotto un albero, non crescerà alcun fungo. Lui cresce quando vuole e si mostra a chi vuole e quindi, ragionando con il cuore, confermo che si tratta di una strana creatura.

E’ interessante sapere che i carpofori sono frutti che si nutrono in tre modi differenti: di organismi vegetali morti, di piante vive, di radici. In gergo i primi si chiamano saprofiti, i secondi parassiti, i terzi micorrizici o simbionti. Quando vediamo un bel gruppo di prataioli o di mazze di tamburo, ci stiamo imbattendo nel primo gruppo; gruppo molto utile in quanto accelera la decomposizione delle parti morte delle piante, restituendo sostanze utili all’ecosistema. Quando invece ci imbattiamo in una bella famiglia di chiodini, siamo in presenza del secondo gruppo. Studi scientifici hanno dimostrato che, come per il leone della savana è più semplice attaccare la gazzella più debole del gruppo, tali funghi privilegiano piante malate, assumendo la funzione di selettori del regno vegetale. Infine, se sul nostro sentiero compare un bel porcino, lo abbiniamo al terzo gruppo, così come anche il suo temuto antagonista, l’Amanita phalloides. E qui si aprirebbe tutto un discorso sullo scambio tra la pianta e il fungo che sintetizzo in questo modo: le micorrize portano nutrimento alla pianta ed è per questo felice scambio tra i due soggetti che i funghi di questo gruppo si chiamano anche simbionti, perché vivono felicemente in simbiosi con la pianta che li accoglie.

Altre importanti nozioni di micologia le troverete nei libri specializzati. Ma il poco che vi ho detto farà di voi un conoscitore di funghi quando affronterete l’argomento con gli amici. Senza contare la buona impressione che susciterete quando, trovando un prataiolo, ne declamerete l’importante funzione all’interno della catena biologica.

2.2. La vestizione

Se decidete di dedicarvi alla raccolta dei soli funghi, superando il periodo delle fragole di bosco, dei lamponi, dei mirtilli e delle castagne, sono qui per darvi alcuni consigli. Prima di tutto vi chiedo: chi di voi conosce i funghi? Ai principianti dico che la maggior parte dei funghi sono commestibili, alcuni buoni, altri eccellenti. La minoranza sono tossici e davvero un’infinitesima parte sono mortali.

Studiatevi per bene l’argomento sui libri specializzati o scaricate materiale da internet, parlatene con un amico fungaiolo o, meglio, frequentate un corso amatoriale di micologia.

Ai neofiti consiglierei di iniziare dalla famiglia dei boleti. Più avanti parlerò anche delle mazze di tamburo e di altre specie meno note, che raramente i fungaioli raccolgono. Di queste ultime ne troverete quindi in abbondanza. Finirete con l’apprezzare quelle specie fungine che nei negozi non troverete mai. La cosa quindi si fa interessante e, mi auguro, stimolante. Non si vive di soli porcini…

Il libro

Uno dei primi micologi fu Plinio, che riportò nella sua Naturalis Historia le caratteristiche di alcune varietà facilmente riconoscibili, a me molto gradite e familiari, quali i Boletus, l’Amanita cesarea, la Fistulina e la Lepiota. Se dopo duemila anni siamo ancora qui a raccoglierli, dobbiamo riconoscere a questi funghi una certa longevità storica.

Che sia la curiosità a spingervi, anche su specie meno note, per imparare, confrontare, comprendere ed apprezzare la diversità in tutti i suoi aspetti, anche nelle manifestazioni più umili e discrete. Se accanto ad un porcino trovate un Boletus elegans, non snobbatelo, raccoglietelo. E se non volete prenderlo, non rompetelo, lasciatelo vivere. Quante volte vedo funghi spezzati, girati a testa in giù, fatti rotolare lontano, solo per il gusto di staccarli. E’ un pessimo gusto. Se li conoscete e li apprezzate raccoglieteli, se volete portarli a casa per confrontarli con quelli del libro, prendeteli con la stessa cura. Se non vi interessano, lasciateli stare. Mi fa molta tristezza vedere i segni del passaggio dei Lanzichenecchi nel bosco. E’ un luogo così quieto e sensibile, che un fungo capovolto mi inquieta profondamente. Subito lo rimetto per il verso giusto, cercando di rimediarne almeno la dignità. E se ho un dubbio sulla presenza di lamelle, non lo stacco, mi chino e lo accarezzo come faccio con la gatta: sotto il mento, esplorandolo con i polpastrelli. Se non è quello che penso, saluto e proseguo. Con il vostro libro di micologia in mano sarete insuperabili. Rivolgetevi anche al gruppo micologico del luogo se nutrite dubbi su un fungo raccolto oppure se intendete approfondire l’argomento.

Il bastone

E qui inizia la prima parte della vestizione, di quella preparazione pragmatica a cui accennavo prima. Procuratevi un bastone, non si va mai nel bosco senza bastone. Vuoi per alzare foglie e rametti, vuoi per batterlo sulle pietre e, attraverso la creazione di onde sonore, allontanare ospiti indesiderati. Vuoi semplicemente per cadenzare il passo e sfruttarne l’appoggio. Al proprio bastone si finisce anche per affezionarcisi. Non è il caso di comprare un bastone, a meno che non lo desideriate. Per procurarsene uno, basta andare nel bosco e farselo. A volte i rami caduti, purché non secchi, costituiscono una facile possibilità, rotti al punto giusto per adattarli alla vostra altezza. Ma se volete farvi un bel bastone, ecco il mio consiglio. Cercate un nocciolo, circondato dai suoi polloni basali, che in estate raggiungono il giusto diametro. Sceglietene uno ben dritto e tagliatelo alla base con un paio di forbici da pota. Quindi, mondato delle foglie e regolato nell’altezza, iniziate a sbucciarlo. Potete farlo con le unghie, ma sarebbe meglio farlo con un qualsiasi coltellino, del tipo svizzero, tascabile. La corteccia viene via facilmente e il bastone apparirà bianco ed umido, in tutto il suo splendore. Con il tempo diventerà duro e resistente, ma potete usarlo sin da subito. Molti pastori utilizzano questo tipo di essenza arborea per farne bastoni, facendoli asciugare all’ombra. A parte Giulianetto che vedo sempre andare appresso alle pecore con l’ombrello. Avendo diversi noccioli nel nostro podere in montagna, ogni anno colleziono una bella quantità di bastoni, che regalo e impresto agli amici che ci vengono a far visita. Dovrei trovare il tempo di inciderne i manici per farne veri e propri bastoni da passeggio.

L’abbigliamento

Passando all’abbigliamento, preferite pantaloni lunghi e scarponcini. Non si va nel bosco con le scarpe da tennis. La suola deve essere a carrarmato, per fare presa sul terreno ed evitare di scivolare. La maggior parte degli scivoloni su foglie e pietre è provocata da calzature inadatte.

Penso che ognuno di voi preferisca passeggiare nel bosco col bel tempo, ma specialmente in montagna, i nuvoloni compaiono all’improvviso. Siate prudenti, portatevi un k-way. Tiene poco posto e vi ripara dalla pioggia battente. Se si tratta di una fine pioggerella primaverile, le foglie degli alberi vi ripareranno, ma se si tratta di un acquazzone, vi farà comodo.

Dell’acqua da bere, ho già detto prima, per voi e per il vostro cane.

Il bosco da funghi è umido. Se vi alzate in una bella giornata ventosa, fate a meno di cercarli. Sarà piacevole la passeggiata nel bosco, ma dedicatela ad altre esplorazioni. Quelli che troverete, nati prima del vento, saranno asciutti e screpolati. Il vento è nemico dei funghi.

Il contenitore

Il cestino è di rigore. La busta di plastica non consente la caduta a terra delle spore dei funghi, in alcune zone è vietata e potrete incorrere in una multa. Ma per i più scaramantici un cappello di paglia basterà. Io per esempio raramente mi avventuro nel bosco con il cestino, vorrebbe dire che sono sicura di trovarne. Preferisco metterli nel cappello, coltivando la speranza di trovarne. Anzi, i primi funghi li tengo tra le cinque dita di una mano, dato che con l’altra mano impugno il bastone. Come se i primi funghi potessero chiamarne altri, ne infilo uno tra il pollice e l’indice, quindi un secondo tra l’indice e il medio. Avrete capito che non sono una fungaiola. Sono un’appassionata di funghi. Qual’è la differenza? La stessa che può esserci tra un allevatore di cani e chi ne possiede uno.

Sull’Appennino Tosco Emiliano i fungaioli vanno nel bosco con la gerla sulle spalle, percorrendo chilometri in poche ore.

Consigli: l’osteria e le informazioni

Se vivete lontani dal bosco e decidete di mettere in pratica quanto state leggendo in questo manuale, dovete organizzare l’uscita prevedendo di fermarvi un paio d’ore. Tra i preparativi e il percorso in auto, vi servirà una mattinata o un pomeriggio.

Se scegliete di partire verso le nove del mattino, vi troverete affamati verso mezzogiorno. Strategica sarà quindi una sosta, sulla via del ritorno, presso l’osteria del luogo, accertandovi che abbia funghi nel menu. Scambiate due parole con l’oste e chiedetegli se il periodo è giusto per le nascite. Chiedetegli se li stanno trovando, oppure se, al contrario, la fungata fosse finita. Insomma, date inizio ad una conversazione da iniziati. Scoprirete che ci sono i funghi segnalatori dei porcini, e che i funghi si dividono in buoni e cattivi, questi ultimi detti nel Barghigiano anche matti. Potreste imparare che la loro crescita dipende dalla luna e che se siamo indietro di una luna e il bosco è asciutto, non troverete niente; oppure che se c’è una forte escursione termica tra giorno e notte i funghi buoni non cresceranno; e, ancora, che esattamente dieci giorni dopo una pioggia copiosa arriverà la fungata. Insomma, imparerete che esiste il bollettino meteomicologico.

Raccogliete tutti gli spunti e, dopo pranzo, tornate nel bosco a mettere in pratica quanto appreso. Dovete anche acquisire lo sguardo del cercatore di funghi: vale a dire, fisso a terra come quello di un segugio. E vi pare possibile che anche nel periodo in cui lo sguardo potrebbe essere posato su qualcos’altro, finisca invece per cascare su funghi nati prima di una nevicata? Può accadere, quasi come se chiamassero dal loro cappuccio bianco: “Ehi tu che passi di qui, guardaci!”. Un capodanno riuscii ad intravedere, ai margini dell’abetaia, una famiglia di Lepiste nude spuntare dalla neve. Non volevo crederci. Raccolsi quei meravigliosi esemplari, considerandoli il regalo di Babbo Natale, anzi, della Befana, visto che poco distante dal mio bosco vive l’autorevole Befana di Pegnana, in quel di Barga. Una volta a casa tagliai via i gambi, non senza dispiacere, ed affettai i cappelli delle Lepiste, mettendoli ad essiccare sopra una rete sospesa sulla stufa a legna. Il giorno dopo le invasettai, scrivendo con estremo orgoglio sull’etichetta : “31 dicembre 2009”.

Le regole

Prestate sempre attenzione ai cartelli di divieto di raccolta funghi se non ai soggetti autorizzati. Certo se ne raccogliete uno non succederà niente, ma se uscite dal bosco con un bel cestino pieno, rischiate una multa piuttosto salata. Da residente io posseggo un’autorizzazione annuale per la raccolta dei funghi epigei e prodotti del sottobosco, che riporta puntigliosamente il Regolamento valido nel Demanio Civico di Barga che si estende per 730 ettari sul versante Toscano dell’Appennino a quote comprese tra i 1200 m e i 1991 sul ldm. Una bella fortuna! Approfittare di tutti questi ettari per raccogliere funghi e mirtilli.

Non in tutti i comuni ci sono regolamenti e tessere, ma fateci caso. Spesso compaiono cartelli con la scritta “vietata la raccolta se non ai soggetti autorizzati”. I tesserini vengono rilasciati anche ai non residenti, dietro pagamento di una quota annuale o giornaliera per un massimale di chili di funghi. Ad esempio 10 euro al giorno per non più di 3 kg. Inoltre possono essere stabiliti i periodi di raccolta, come da metà maggio a metà novembre e solo in alcuni giorni della settimana.

Le Regioni hanno infatti approvato leggi specifiche sulla raccolta dei funghi, a cui i regolamenti comunali si ispirano. Tra le norme di carattere generale riporto questa: la raccolta può essere esercitata solo nelle ore diurne, da un’ora prima del sorgere del sole fino ad un’ora dopo il tramonto…ora, non prendete tutto alla lettera, basatevi sulla luce. Invece tenete bene a mente questa misura: per le specie del gruppo boletus è vietata la raccolta degli esemplari con dimensioni del cappello inferiori ai 4 cm. Questo perché non maturano le spore necessarie per la preservazione della specie, oltretutto non presentano neanche il piacere organolettico, non rivestendo un esemplare fuori misura il sentore di fungo tipico che ognuno di noi si aspetta.

Per gli amanti della ricerca storica, andatevi a leggere il regio decreto n. 332 del 26 febbraio 1928.

Osservate i regolamenti locali, sia per non incorrere in sanzioni, sia soprattutto per partecipare in modo consapevole al mantenimento della capacità di autogenerazione dell’ecosistema.

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Da qui inizia la descrizione dei funghi che ho trovato e che ho cucinato. Per ogni fungo troverete una o più ricette. Sono frutto delle mie sperimentazioni, che mi auguro possiate condividere.

Buona lettura e buon lavoro!

(fine seconda parte)

Brunella Ponzo

mezzocolle@gmail.com

facebook Nellis Mezzocolle

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