Andar per funghi ed altre boscherie barghigiane (parte 1)

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Quello che vi presentiamo è un manuale pratico dei funghi che si possono raccogliere nelle nostre terre.

Il progetto di un manuale sui funghi, nasce dalla trasposizione degli appunti del diario di campagna di Brunella Ponzo, che nel 2005 ha acquistato e ristrutturato un fienile nei castagneti che lambiscono la Garfagnana, ad 800 mt di altitudine, in Frazione Renaio, sull’Appennino Tosco Emiliano.

La passione per il bosco e per la scrittura ha dato vita a simpatici racconti e a spiegazioni sugli habitat dei funghi, con particolare attenzione ai funghi minori e al loro uso in cucina.

Grazie alla disponibilità dell’autrice, ci è possibile presentare questo interessante testo per i lettori del Giornale di Barga. Ogni settimana pubblicheremo un capitolo del lavoro di brunella, ringraziandola fin da ora per l’attenzione e l’onore che ha riservato al nostro giornale.

Vi auguriamo una piacevole passeggiata nei boschi della montagna Barghigiana.

ANDAR PER FUNGHI E ALTRE BOSCHERIE BARGHIGIANE

Manuale pratico per chi vuole iniziare la ricerca dei funghi ed avventurarsi nei boschi

“Come raccogliere e cucinare i funghi dell’Appennino Tosco Emiliano”

Di Brunella Ponzo

Con le ispirazioni di Clea e Bruno Ponzo, Mario Fassone, Pia Pera

Supervisione micologica di Roberto Narducci

Introduzione

A chi di voi non è mai venuta la tentazione di entrare nel bosco? Per semplice attrazione, oppure per cercare funghi, castagne, legna, fiori, frutti di bosco, una sorgente o il cane che insegue la traccia di un animale selvatico? Dovete sapere che i boschi sono di diverse tipologie: boschi impenetrabili (che riportano alla memoria le favole dell’infanzia e in cui dobbiamo avventurarci muniti di macete) e boschi addomesticati (come il castagneto da frutto dei miei vicini di casa Bruno e Giuseppe) che consentono una rara comodità di seduta, erba tagliata pronta ad ospitare ricci gonfi di preziosi frutti. E, ancora, boschi giovani (dai rami inesperti e scompigliati) e boschi vecchi (dai tronchi autorevoli ricoperti di muschio) con cui fare amicizia. Boschi di pianura (vasti e quieti) e boschi di montagna (austeri e in salita), alcuni in prossimità del mare (pinete per lo più) ai confini con la macchia mediterranea. Il bosco è un grande armadio quattro stagioni, perché ama cambiarsi d’abito. Conoscerete i boschi d’autunno, dalle mille sfumature dorate, e i boschi d’estate, verdi e carichi d’ossigeno. Incantevoli sono i boschi invernali, brinati o innevati, talvolta nascosti da una diafana coltre di nebbia. Infine, boschi al risveglio di primavera, vividi di fiorellini minuscoli e visitati dagli insetti impollinatori.

I boschi regalano ossigeno e alimentano la nostra salute e il nostro spirito.

Vogliamo capire meglio come questo grande polmone ci sia amico?

Vogliamo passeggiare dentro un bosco e portaci a casa un ricordo?

Volete venire per funghi con me?

Vi prometto che non vi stancherete e potrete scoprire come sia facile raccogliere un fungo mangereccio e cucinarlo per la vostra gioia e per quella di chi vi sta accanto.

CAPITOLO 1 – L’HABITAT

1.1. L’approccio: entriamo nel bosco

Potete iniziare con un approccio razionale e pianificato, oppure con un approccio avventuroso. Dedicando al primo buona parte del manoscritto, accenno a cosa potrebbe succedere con il secondo.

Se con il primo avete bisogno di una certa organizzazione quali la vestizione adeguata, la mappa dei sentieri o una cartina, la macchina fotografica oppure un telefonino, un taccuino per gli appunti e buone matite, per il secondo basta l’occasione giusta: una piccola deviazione dal solito percorso. Un’azzardata avventura con il vostro cane. Facciamo l’ipotesi che invece di chiamarlo con insistenza, proviate a seguirlo. Guardandosi indietro scodinzolando al cane non sembrerà vero che entriate nel bosco con lui e sarà convinto di dovervi insegnare qualcosa. Dedicategli pochi minuti e, il giorno dopo, spingetevi più in là: acquisterete fiducia in voi stessi e nel vostro cane. Con lui saranno inevitabili le pause: per annusare, ascoltare, fissare un cespuglio che nasconde un animale, abbaiare, guardarvi per spronarvi a seguirlo con rinnovata agilità. Non dimenticate l’acqua. Se non ci sono evidenti ruscelli o sorgenti, portatevela da casa, soprattutto in estate, servirà a voi e al vostro compagno. Tra una bevuta e l’altra, esplorate i pochi metri quadrati che vi circondano: magari scoprirete un dettaglio interessante, un fungo; forse deciderete di sedervi e di chiudere gli occhi, nel silenzio. Nel caso del cane questo non sarà possibile, il suo respiro si farà sentire, soprattutto al termine di una salita. Ma provateci. Vi parla una donna d’esperienza: con il mio pastore tedesco, Idol, succedeva sempre così. Ma talmente gli piaceva il bosco, che aveva convinto la mia siamesina Trilli a seguirci. Che coppia! Gli inconvenienti di tali avventure? Le scarpe infangate, qualche spina conficcata nei pantaloni, qualche graffio sui polpacci, una foglia nel colletto della camicia, le mani che sanno di muschio e di bava di cane. Ma nelle narici, cosa avrete? L’odore degli alberi e della terra. E negli occhi? Tante tonalità di verde e la luce pacata che filtra dal fogliame. Se sarete soddisfatti, la prossima volta sceglierete l’approccio numero uno e leggerete con attenzione quanto sto per dirvi.

1.2. L’approccio: raccogliamo e utilizziamo

Se avete superato la prima fase, siete pronti per continuare.

Potete decidere di andare nel bosco per uno scopo pratico, per la raccolta, in ordine stagionale: di fragoline di bosco, lamponi, mirtilli, funghi, castagne. Oppure romantico, per la raccolta di: fiori, pietre, legni dalle strane forme, ricci di castagne, foglie secche, bacche, un aculeo di istrice, una penna di poiana, balsamiche pigne verdi, una manciata di ghiande di leccio, insomma tutto quanto risulti idoneo a realizzare decorazioni originali e naturali.

Il merito delle decorazioni non è esclusivamente estetico, alcune di loro possono rivelarsi utili! Come quella da me scoperta dalla forza della disperazione. Un giorno, avvilita dalla colonizzazione della parete in larice della mia camera da letto da parte di una colonna di formiche proveniente terra e decisa a non usare alcun prodotto chimico, mi avviai verso il bosco per esaminare quale essenza utilizzare per disincentivare i fastidiosi ospiti. Non so quale fortunata intuizione mi portò a raccogliere voracemente rami di abete, profumatissimi e resinosi. Li accostai alla parete di larice, avendo il cinquanta per cento di probabilità che fossero sgraditi alle formiche. Perché a me erano graditissimi e, secondo il manuale del Guerriero della Luce di Paulo Coelho, quando combatti il nemico devi usare, per vincerlo, il suo stesso metodo di combattimento. Nonostante tutto funzionò. Le formiche abbandonarono in poche ore la mia camera da letto e se ne ritornarono da dove erano venute, lasciandomi una splendida decorazione dal sapore natalizio. Ringraziai la resina dell’abete, tributandogli eterna riconoscenza.

I miei soggetti preferiti restano comunque i funghi. Sia buoni da mangiare che belli per decorare. Da quelli mangerecci ricavo gioia gastronomica; dagli altri, momenti di gioia puramente estetica: li guardo da più angolazioni, li abbino, li tasto, li confronto. Ne ho certi sulla finestra di casa simili a ritratti di natura morta, avvolti dalla magia della luce del camino quando spengo le lampade per vederne le ombre proiettate sul muro. Ne conservo decine, secchi e interi, a ombrello e chiusi su se stessi, abitati dai folletti e da qualche ragnetto buongustaio. L’inverno scorso fecero da casa ad un giovane maggiolino, coleottero sempre più raro nelle nostre campagne. Ma il ruolo più importante, i miei funghi essicati lo rivestono nel mese di dicembre. All’interno del presepe di Natale, si trasformano nelle case dei pastori e negli ovili in cui trovano riparo le pecorelle al seguito.

1.3. Gli animali del bosco

Passeggiando nel bosco, una delle soddisfazioni più grandi che potrete provare sarà quella di incappare in un animale selvatico. Potrebbe essere un cinghiale o un capriolo, numerosi entrambi sull’Appennino Tosco Emilano, oppure un riccio, un tasso patrasso, una volpe o una splendida poiana.

Un giorno ebbi la fortuna di avvistare una famiglia di cinghiali radunati intorno a un nocciolo, intenti a sgranocchiare i preziosi frutti caduti a terra. Incuranti di me, continuavano a mangiare, non manifestando il minimo disagio. Meno sfacciata invece la reazione di una disciplinata famigliola intenta ad attraversare il sentiero nel tardo pomeriggio mentre scendevo dal Renaio: accelerò il passo una volta scorta la mia sagoma, alzando prontamente il codino a cavatappi e mettendo in fila tutti i componenti, rapidi: padre, madre e due cinghialetti.

Emozionante come l’avvistamento dei cinghiali è quello dei caprioli. Se i cinghiali mangiano l’uva e disfano gli orti, i caprioli cimano i rami degli alberi da frutto e brucano tanti altri prodotti graditi agli umani. Mangiando le gemme egli alberi da frutto, niente frutti. Lo sanno bene i miei meli e i miei giovani albicocchi, che per questo motivo non sono riusciti a fare frutti per due anni consecutivi, sino a che non mi sono decisa a rafforzare la recinzione a loro protezione. Il cinghiale è una specie cacciata, il capriolo è una specie protetta. Questo ha favorito un ripopolamento dei caprioli piuttosto importante, tale da indurre la gente di montagna a proteggere gli orti con alte reti metalliche, per evitare intrusioni. I caprioli spesso girano in coppia e sono così belli che, a dire il vero, quando li vedo non penso più alla frutta persa a causa della loro passione per i giovani germogli. Trattengo i borbottii, che lascio poi esplodere quando gli animali si allontanano dalla proprietà.

Volpi mi capita di vederne spesso, sia vicino a casa che nel bosco. E’ facile avvistarle all’alba o di notte, quando vanno a caccia e cantano. Vi chiederete: “come? Le volpi cantano?”. Ebbene sì, non è solo un detto popolare. L’estate scorsa, dopo essere mancata da casa diverso tempo, la mattina presto sentii degli strani ululati; mi affacciaci alla finestra e vidi tre volpi che scorrazzavano e cantavano nel prato. La cosa accadde anche la mattina seguente. Poi non più. Penso che durante la mia assenza avessero colonizzato il prato davanti a casa, frequentato dalle talpe per via dell’orto.

Gli scoiattoli tengono d’occhio i noccioli. Mi capita di scorgerli intenti ad andare su e giù dagli alberi per la raccolta dei saporiti frutti. Si arrampicano anche volentieri sui pini e sui larici, per via delle gustose pigne. Non temono nulla, essendo agili e veloci. A volte li sento camminare sul tetto: scendono dall’acero montano, raggiungono il frassino spiccando un salto dai rami della betulla e, infine, saltano sulle tegole. Il tutto per raggiungere, dall’altra parte del tetto, un nocciolo molto produttivo, sotto cui mia madre è solita sedersi per risolvere i cruciverba della settimana enigmistica. Una coppia di scoiattoli mi ha anche saccheggiato un cestino di noci, appoggiato sulla panca del giardino. Noci che avevo raccolto dall’unico albero ai confini del bosco, del tutto poco addomesticato e più incline a far combriccola con larici e frassini anziché con gli altri alberi da frutto.

Tant’è, loro vivono quassù e quello che natura crea, si divide.

Infine, un appunto sugli uccelli diurni. Oltre ai rumorosi merli, ai laboriosi picchi, agli infaticabili passerotti e ai canterini usignoli, il cielo della montagna è contraddistinto dalle poiane. D’estate, nel primo pomeriggio, planano a coppie, chiamandosi l’un l’altra, sfruttando le correnti ascensionali.

Da casa mia vedo i grandi abeti rossi di Giuseppe e di Osvaldo, basi di lancio delle giovani poiane. Ora lo so, ma un luglio di otto anni fa sentii le loro strida e mi preoccupai seriamente. Credendo che fossero in pericolo, prima perlustrai la zona, temendo che non sapessero scendere dagli alberi e che potessero cadere facendo equilibrismo quelli più alti, quindi telefonai alla LIPU di Campocatino. Il volontario LIPU mi tranquillizzò, spiegandomi che in quel periodo i giovani pennuti fanno palestra di volo. Mi sentii molto stupida, ma almeno smisi di preoccuparmi. Purtroppo le cornacchie e i corvi stanno sempre più spesso invadendo gli spazi delle poiane. Questi ultimi sono rumorosi nel volo, si sente distintamente il loro battito d’ali, mentre la poiana plana nel cielo, alta e silenziosa.

1.4. Gocce di neve e rintocchi di castagne

Due momenti che considero magici per godersi il bosco, sono l’inverno e l’autunno.

In inverno i rumori del bosco sono attutiti dalla neve. Solo al momento del disgelo le gocce che cadono dai rami possono finire sul vostro cappello o sulla neve rimasta a terra, spargendo tutto intorno un clic d’acqua, molto feng shui. Consiglio, per questi percorsi, boschi di collina o comodi sentieri di montagna, tipici dell’Appennino. I versanti a Nord sono spesso ghiacciati, poco sicuri se non percorsi con l’attrezzatura adatta. Preferite i sentieri imbiancati da una recente nevicata, una bella ciaspolata vi riconcilierà con il mondo. Gli unici rumori saranno quelli dei vostri passi sulla neve. Arcaici rimbombi nello spirito. Il percorso dal Rifugio Santi, in località Vetricia, alla Bassa del Saltello oppure al Bivacco Caciaia si adattano a tutte le età.

Voi penserete: “ma non si troveranno funghi”. E invece sì, se nati prima della nevicata, come dopo vi racconterò.

Nei boschi d’autunno le protagoniste indiscusse, insieme ai funghi, sono le castagne. Nel periodo giusto non smettono di cadere, anche mentre le state raccogliendo. E’ un rintocco piacevole legato alla generosità del bosco. Quelle che cadono tardivamente vanno a seme, emettendo una piccola gemma verdognola che darà vita ad un altro albero. Essendoci molta concorrenza, solo alcune di loro genereranno un castagno. Se avete voglia di raccoglierne una per dare vita a un nuovo albero, mettetela in un vaso con un po’ della sua terra ed annaffiatela di tanto in tanto. In pochi mesi metterà le foglioline e sarà pronta per il trapianto. E’ un’esperienza didattica importante per i bambini, che dimostra il processo vegetativo a partire dal frutto.

Ci sono tante varietà di castagne, come la nota cultivar carpinese, notevole per peso e dimensione. Ne possiedo due alberi che mi fanno trovare un tappeto di grossi frutti, con cui mi avventuro in preparazioni pasticcere, come lo scenico mont blanc. Togliete loro la buccia da crude, quindi bollitele e, una volta raffreddate, passatele al passaverdura. Disponetele a forma di montagna e copritele infine di panna montata. Ai meno golosi, consiglio la preparazione della crema di castagne, aggiungendo cacao, latte e zucchero alla polpa passata. Infine, perché non rivolgere la nostra attenzione ad una gustosa marmellata? Preparata aggiungendo un po’ d’acqua zuccherata alla polpa passata e portando il tutto a bollore. Consigliata l’aggiunta di una bacca di vaniglia nel vaso in vetro dove la conserverete. Ho anche provato a fare i marron glacè. Devo confessarvi che sono riuscita a farne deliziosi pezzettini, raramente castagne intere. Per certe sofisticherie occorrono tecniche professionali, che una normale cucina non può fornire. Dignitosi però i miei pezzetti di marron glacè. E se la forma non convince, il sapore, non temete, resta insuperabile.

A questo punto è doveroso il richiamo alla farina dolce di castagne della Valle del Serchio, una produzione di altissimo livello, apprezzata da chi vive in questi luoghi e da chi viene in visita per gustarla nei ristoranti e alle sagre d’autunno. Viene proposta sotto forma di polenta, servita con ossi di maiale marinati, o sotto forma di necci, farciti con ricotta di pecora. Nei castagneti da frutto, famiglie intere si dedicano alla raccolta delle castagne per farne farina, curandole nei metati. Sono questi casolari in legno dove per quaranta giorni e quaranta notti una piccola fiamma e tanto fumo si danno da fare per seccarne le bucce. Quindi la separazione del frutto dalle bucce e la macinatura meccanica. Desidero aggiornarvi sulla moderna raccolta delle castagne, che non viene più fatta solo a mano. Esistono raccoglitori meccanici costituiti da proboscidi che aspirano le castagne, cugine dei più famosi frullini, a trazione umana. Il rumore è molesto: ora ispira, ora sbuffa, ora gracchia. Ma al di fuori della raccolta, ancora la cura con il metato resiste: in questo caso, niente di meccanico, niente essicatore elettrico o stufa a pallet. Sorprendentemente i metati resistono nel tempo, vengono anzi ristrutturati dai pronipoti, dai nipoti o dai figli, e rimessi in uso. In controtendenza rispetto a chi ricava civili abitazioni anche da un pollaio, l’amore della gente di quassù per il si è sempre fatto così, mi infonde tanto ottimismo e profondissimo rispetto.

Quassù al Renaio e in buona parte del Barghigiano si essiccano ancora le castagne nei metati. Un patrimonio da conservare.

(fine prima parte)

Brunella Ponzo

mezzocolle@gmail.com

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