Il duomo e quel Pascoli poco leggibile

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Domenica pomeriggio 12 giugno, salendo al Duomo di Barga, arrivato di fronte alla facciata che guarda maestosa le sue Apuane, particolarmente l’Uomo o la Donna che attende all’infinito, mi ha colto il desiderio di rileggermi quella lapide che sta sulla porta del campanile e che ci ricorda lo sforzo costruttivo di tutto un popolo che nei primi secoli dopo il Mille eresse sul “colle sacro alla storia di Barga” un tale monumento, inno d’arte all’Onnipotente.

Sarà stato l’abbagliante sole che riverberava sulla facciata, ma non ho potuto che leggere solo alcune parole. Allora mi è corso di fronte un film già visto ma cui non detti quella dovuta attenzione, nel senso che accompagnando una gita in visita al Duomo e richiamando i partecipanti a prestare attenzione alla lapide che ne sunteggiava con alate parole la volontà costruttiva, senza leggerla, in loro presenza la dissi a memoria, indicando con il dito il dettato. La mia mancata attenzione fu di non aver dato quel dovuto peso alle parole di uno di essi: “Scusi, ma non riesco a leggere cosa lei ci dice”.

Il ricorso alla memoria di un passato, che nel momento avvalorava la mia reale sensazione, mi spinge oggi a suggerire a chi di buona volontà, l’idea di porre rimedio a un tale inconveniente, consistente nel cercare di mettere in rilevo la scritta che Giovanni Pascoli, avendo fatto proprio lo spirito di Barga, concettualmente, aveva inserito nel discorso commemorativo Antonio Mordini nel giorno dell’inaugurazione del suo monumento che svetta sulle gradinate del Fosso.

Tale intuizione, poi, trovando una più stringente fase poetica, divenne il testo che al tempo dei restauri del Duomo, anni 1927-39, andò scolpito nella lapide di “alberese di Barga”, pietra con cui si era costruita la chiesa, cui si aggiunse un passaggio che riguardava San Cristoforo. In pratica, partendo dalle frasi pronunziate da Pascoli, parrebbe ci fosse stata una rielaborazione, ma intanto vediamo cosa disse il Poeta nel giorno dedicato ad Antonio Mordini, questo in riguardo a ciò che stiamo esponendo. Siamo quasi alla fine del suo discorso e così si esprime Pascoli:

“Fui nella tua villa: era non altro che linda. Mi assisi alla tua mensa: la tovaglia era di tela di casa. Le argenterie erano … di terra giglia, le vivande erano semplicemente cucinate da una brava contadina. Io pensai a Roma … a Roma repubblicana, pensai al motto del poeta che compendia il buono stato di Roma antica: allora, IL MIO ERA PICCOLO IL NOSTRO ERA GRANDE. Al tempo dei tempi, poco dopo il mille, i barghigiani campavano rosicchiando castagne, e fecero il Duomo. Dicevano: In casa mia ch’io salti anche da un travicello all’altro; benedetta libertà di casa mia!: ma il duomo ha da essere grande, col più bel pulpito di marmo che si possa vedere:. Dicevano: Piccolo il mio, grande il nostro. C’era la repubblica anche in Barga, allora. E si è conservata. O non è un grande esempio, questo? Né solo per l’Italia, ma per il mondo? E destinato a ritornare in fiore, quando questa feroce bramosia di ricchezza avrà fatto assai danni, non farà senno prima delle altre? Questo io voglio chiederti, e altro. O mio buon ispiratore, verrò quando è l’ora dell’agape meridiana; che ognuno si appresta verso casa sua, ad assidersi al desco suo, tra i suoi figli, presso la cara moglie …”

C’è in questo brano del discorso di Pascoli quasi tutto il testo della lapide che oggi “potremmo leggere” sulla porta che ci introduce al campanile del Duomo di Barga, sunteggiante la volontà barghigiana, ma a ben vedere c’è anche molto di più. Un messaggio dallo ieri all’oggi, la grandezza del piccolo, e in favore per tutti, quanto è importante il grande che non soggiace all’egoismo del piccolo. Concetto ineludibilmente eterno per ogni società attrezzata in civiltà!

Queste parole sono mirabilmente poste in evidenza anche nel libro di Tiziano Terzani “Un altro giro di giostra” del 2008, alla sua conclusione:

“Bisogna riportare una dimensione spirituale nelle nostre vite ora intrappolate nella pania della materia. Dobbiamo essere meno egoisti, meno presi dall’interesse personale e più dedicati al bene comune. Bisogna riscoprire il senso di quel meraviglioso, lapidario messaggio sulla facciata del duomo di Barga in Garfagnana che lessi da ragazzo durante una gita scolastica e che da allora mi è rimasto impresso nella memoria. Piccolo il mio grande il nostro.”

Proprio partendo da quest’ultimo concetto mi pare chiaro quanto sia importante, per chi crede nell’eternità di questo messaggio pascoliano, poter leggere bene la lapide di Barga che, come abbiamo accennato, riunisce quanto il poeta disse in omaggio a Mordini, con la “plausibile” aggiunta di San Cristoforo e la sottrazione dopo libertà “di casa mia”, il cui testo pubblichiamo a seguire:

“… AL TEMPO DEI TEMPI AVANTI IL MILLE,

I BARGHIGIANI CAMPAVANO ROSICCHIANDO CASTAGNE,

E FECERO IL DUOMO. DICEVANO: IN CASA MIA CH’IO

SALTI ANCHE DA UN TRAVICELLO ALL’ALTRO, BENEDETTA

LIBERTà !: MA IL DUOMO HA DA ESSERE GRANDE.

COL più bel pulpito di marmo che si possa

vedere,: e col PIù FORTE DEI SANTI: DICEVANO

‘PICCOLO IL MIO GRANDE IL NOSTRO’ …

PASCOLI”

Tornando allora all’oggetto del nostro articolo, a fronte di una scarsa lettura di questo “testo” pascoliano, concettualmente tutto suo, che sta sul Duomo di Barga, come detto, interessante in due direzioni, per noi barghigiani e pubblicamente per tutti quelli che da esso dovrebbero esserne ispirati, mi parrebbe giusto intervenirvi a ripristinarne una più valida percezione visiva.

La lapide o pietra su cui è scolpito il testo a incavo, tra l’altro manifesta delle crepe che pregiudicano la buona leggibilità di alcune lettere. Una crepa in particolare preoccupa, infatti, la attraversa interamente dall’alto al basso in diagonale. Sarebbe forse il caso, dopo un’attenta visita, che almeno le lettere fossero poste in evidenza, magari utilizzando il metodo di una leggera coloritura.

A quest’idea il purista potrà dire che del Duomo non si tocca niente, a questi diciamo unicamente che se l’idea avesse avuto campo, i restauri 1927-39 non si sarebbero fatti. Occorre invece prestare sempre attenzione al mantenimento delle memorie, nel caso della lapide, tra l’altro non molto antica, per niente inficianti il racconto del monumento, il cui preciso messaggio, per dirla ancora con Terzani, perché: “Bisogna riscoprire il senso di quel meraviglioso, lapidario messaggio sulla facciata del duomo di Barga in Garfagnana …”, per noi e tutti. “Piccolo il mio grande il nostro”.

Pier Giuliano Cecchi

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