Quel borgo felice a metà

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E’ un giorno d’agosto quando salgo sul treno con la famiglia con destinazione Equi Terme. Inseguo ricordi: un presepe vivente, gli odori del borgo antico, la visita alle grotte.

Da Lucca ci vogliono circa un’ora e mezza su un treno che offre un po’ tutte le stagioni: c’è il vagone del caldo africano, quello del mite centro Europa e quello polare. C’è anche quello in cui le gallerie sono buio profondo, dato che la luce non si accende. Un po’ di spavento alla prima, poi si scherza sul fatto che a fine galleria, al ritorno della luce, qualcuno potrebbe esser scomparso, come nei migliori gialli.

Scendiamo alla Stazione e il morso della fame (già, siamo partiti tardi e arriviamo verso le 13.20) ci fa precipitare verso il primo posto in cui si serve del cibo. Distacchi di intonaco e ampie crepe su alcune abitazioni ci ricordano che siamo dalle parti dell’epicentro del sisma dello scorso 21 giugno e dello sciame che a tratti ha avuto una certa fortuna mediatica. Mangiamo in una sala che sa di altre epoche ma che emana un proprio fascino. I bambini non se ne accorgono e “ruzzano” saltando su vecchie poltrone rivestite. Io esamino la struttura: siamo sotto imponenti muri portanti e attorno a noi c’è una sorta gabbia che ipotizzo essere di calcestruzzo armato, evidente segno di ristrutturazioni non antichissime. Mi sento sicuro, al riparo dai danni di una scossa di terremoto. Si, non giriamoci troppo intorno: andare nelle zone del terremoto non ci lascia indenni da una strana ed irrazionale inquietudine. Il menù è ballerino e adattabile e a fine pranzo decidiamo di dirigerci verso le Grotte di Equi.

C’è un pannello a segnale variabile che ci indica la direzione delle grotte. Pochi metri dopo viene aiutato da un più tradizionale e sbiadito segnale turistico. Poche decine di passi e la strada è sbarrata. C’è una rete da cantiere che ci impedisce di andare oltre. Proviamo per altre vie ma il risultato non cambia: non si entra nella parte vecchia del paese. Qualcuno ci dirà che l’accesso è interdetto per motivi di sicurezza ma che tutto è riconducibile ad una sola abitazione. Non ho modo di appurare. Le Grotte (chiuse) rimangono un sogno e un buon motivo per ritornare tra qualche tempo.

Resistiamo alla tentazione offerta dalle piscine e mentre cerchiamo informazioni ci imbattiamo nell’ApuanGeolab. La fase triste della nostra visita viene cancellata: con i bambini muniti di bussola, caschetto e blocco degli appunti ci avventuriamo al centro della Terra. Tra simulazioni sismiche e faglie, strumenti di compressione che trasformano i calcari in marmi e continenti che si avvicinano e si allontanano, per una buona mezz’ora ci immergiamo nella cause di quella scossa che ha diviso a metà il paese: una metà per tutti (quella felice) e una per i soli residenti (quella meno felice).

In men che non si dica è tempo di tornare alla stazione. Nell’attesa osserviamo le crepe che non capiamo se esser frutto della scossa tellurica o di un abbandono evidente e duraturo. Il piccolo Diego si interroga sul perché di un binario invaso dalle erbacce. Insieme ai pochi altri destinati a salire sul treno scoppiamo in una fragorosa risata quando la voce dell’altoparlante ci invita ad allontanarci dalla “linea gialla” che non c’è. Non c’è in stazione, non si vede ma c’è in un paese diviso a metà.

Entriamo subito in galleria e il buio nello scompartimento mi fa pensare che quella linea gialla rimarrà lì per un po’. Intanto ci informano che l’aria condizionata è stata disattivata per evitare problemi al treno in salita. Sorridiamo e ci lasciamo alle spalle un borgo che vorremmo tornare a visitare quando sarà di nuovo pienamente felice.

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