Il giallo dello stemma Rondinelli

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Per evitare un eccessivo frazionamento dei territori assoggettati, Firenze decise che le cariche podestarili venissero ricoperte da candidati sì sorteggiati, ma all’interno di un controllato numero di esponenti di famiglie già partecipanti alla gestione del potere. Quella dei Rondinelli, fiesolana d’origine, era una delle più ricche famiglie fiorentine. La loro attività politica si strinse attorno alle vicissitudini guelfe, delle quali furono protagonisti in prima persona. Nonostante non tutti gli appartenenti a questa famiglia fossero filomedicei, dai Medici furono sempre sostenuti e apprezzati. La loro dinastia fu piuttosto longeva e si estinse soltanto nel 1880 con la morte di Andrea di Luigi.

Questo stemma in terracotta fu donato, secondo una consuetudine consolidata, alla città di Barga dal podestà Rinaldo di Nofri Rondinelli al termine del suo mandato. Fu affisso assieme a quelli dei governatori precedenti sotto l’ampio loggiato di palazzo Pretorio. Si trattava di un uso comune, talvolta obbligato e regolamentato dagli statuti locali, quello di lasciare traccia del proprio passaggio. Originariamente il governatore offriva una balestra decorata con le effigi della propria casata, poi l’arma fu sostituita da uno scudo, simbolo della custodia tutelare esercitata sulla città.

La richiesta di Rinaldo alla bottega robbiana prevedeva la realizzazione del suo stemma, contenuto in una rigogliosa cornice vegetale, con l’aggiunta di un cartiglio sorretto da un angelo. Di queste tre parti oggi ne possediamo solo due, tuttavia una vecchia foto riproduce il blasone per intero. La forma dello scudo rappresenta un esempio dei modelli più evoluti che trova applicazione principalmente in territorio toscano. La sua mutazione decorativa appare evidente nell’arricciarsi dei margini in apice a partire dalle conche del corpo dello scudo stesso e nella sua conclusione a punta di lancia. I segni di interpunzione tra una parola e l’altra detti a ‘dente di squalo’ sono tipici della produzione robbiana successiva al 1508 e poiché rientrano nel repertorio specifico di Giovanni, è possibile, con quasi assoluta certezza, attribuire a costui la paternità di questo lavoro.

Le parti recuperate sono quelle che componevano lo stemma nella sua parte inferiore ovvero il cartiglio, sostenuto da un cherubino dalle ali blu cobalto, sul quale si legge «RINALDO DI / NOFRI RONDI / NELI P<ODEST>A E COME / SSARIO MDXXVIII». Sappiamo che il costo di uno stemma del genere poteva oscillare tra le 6 e le 7 lire, una cifra cioè piuttosto ragionevole e che permetteva al committente di fregiarsi di un manufatto che aveva tutti i connotati di un gioiello da parete.

Nell’anno 1945 questo stemma scomparve. Fu infatti rimosso per essere custodito in un magazzino durante i lavori di restauro di palazzo Pretorio, rimasto offeso dai bombardamenti aerei. All’epoca i sospetti portarono alcuni a credere che i tedeschi lo avessero portato via in ritirata come bottino di guerra.

Un lasso di tempo di quasi settant’anni divide l’ultima orma lasciata da questo lavoro dalla segnalazione ricevuta dall’ufficio “Esportazione Oggetti d’Antichità e d’Arte” dell’allora “Soprintendenza Speciale al Polo Museale e Beni Artistici e storici di Firenze”. Questo ente aveva segnalato che presso una casa d’aste di Monaco di Baviera era stato presentato un bassorilievo in terracotta policroma e invetriata di scuola robbiana, identificabile con una parte dello stemma Rondinelli, che nel libro di Bonaventura era stato immortalato nella sua completezza. Iniziarono quindi le indagini da parte dai carabinieri del “Nucleo Tutela Patrimonio Culturale” di Firenze e grazie anche alle informazioni contenute nel verbale di denuncia di Isa Belli Barsali, che nel ‘45 aveva segnalato la sparizione alla “Soprintendenza ai Monumenti e Gallerie per le province di Pisa, Livorno, Lucca e Massa Carrara”, nonché al sindaco di Barga e al prefetto di Lucca, le ricostruzioni degli organi competenti hanno individuato i vari spostamenti del manufatto. Prima di giungere in territorio estero questi pezzi conobbero l’Umbria, ancora la Toscana e poi le Marche, mentre venivano trasportati dalle mani di collezionisti e operatori di case d’aste. Fu proprio in territorio marchigiano dove fu intercettato l’ultimo possessore, ritenuto in bona fide e ignaro della storia dei frammenti che aveva acquistato. Egli senza atti di coercizione accettò di riconsegnarlo. La Procura della Repubblica di Firenze ne dispose la restituzione alla Soprintendenza di Lucca, la quale a sua volta concesse il deposito presso il Comune di Barga. L’8 febbraio 2016 i due frammenti rientrarono all’interno dei confini barghigiani e con solenne conferenza furono presentati presso la sala consiliare di palazzo Pancrazi e infine ricondotti a palazzo Pretorio, sede dell’attuale museo civico. Le indagini non sono state ancora dichiarate concluse e l’auspicio di tutti è quello di riuscire, un giorno, a ricomporre interamente lo stemma.

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