Da Lucca a Barga. Storia di una viabilità

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Uscendo dalle mura urbane di Lucca, dalla porta di Santa Maria, si va incontro al grosso borgo suburbano del Giannotti, provvisto ancora oggi di pregevoli visioni architettoniche. Il suo nome è anche il nome della via principale che lo attraversa: via Borgo Giannotti. È il luogo dove arrivavano ed arrivano le viabilità stradali della Valfreddana e della Valle del Serchio. Nei decenni del secondo dopoguerra le Autolinee Nardini hanno avuto il loro punto di partenza per i collegamenti fra Lucca e Barga proprio da Piazza Santa Maria, all’interno delle mura.

Oltrepassato il borgo, quasi per intero, la via del Giannotti si biforca in altre tre direzionalità. Una strada ha caratteristiche prettamente urbane e si chiama Via San Marco; le altre due sono di gran lunga più importanti e a testimoniarlo c’è ancora una colonna ottocentesca in pietra serena: è una sorta di obelisco stradale che ha un’altezza di 4,40 metri ed ha la parte inferiore in base triangolare che sviluppa verso l’alto in forma tronco-conica; sulla sommità, una sorta di ampio cappello in pietra sul quale sono poste le rettangolari piastre marmoree di direzionalità. Venendo dalle mura sul lato destro è indicata la “Via per Bagni di Lucca e Castelnuovo”; sulla sinistra, la sottile freccia indica “Via per Camaiore”. Il tetto è sormontato da una sfera metallica in ferro che porta su di sé un terminale a punta, anch’esso metallico: oggi questo aspetto porta alla mente un rugginoso e bruttino albero di Natale, ma certamente all’epoca sarà apparso cosa nuova ed elegante. È da questa colonna che vogliamo raccogliere notizie e curiosità storiche della strada che conduce nella Valle del Serchio.

Le notizie del chilometro zero le abbiamo ottenute con molta facilità dalla bella mostra storico-fotografica esposta a Borgo Giannotti (28 settembre – 18 ottobre 2015) a cura dell’Archivio Storico del Comune di Lucca e dell’Archivio Fotografico Lucchese. Era il 29 agosto 1565 quando da porta Santa Maria fu aperta una prima strada bianca fra i campi, le pioppete e gli acquitrini che si dirigeva verso il Ponte di San Quirico sul Serchio. Da questo anno cominciarono a sorgere le prime casupole fuori dalla cerchia muraria.

La colonna direzionale che abbiamo appena descritto è “l’indicatore del Giannotti”, uno dei tanti apposti in Toscana da parte del governo granducale fra il 1824 e il 1859; non conosciamo l’esatto numero di questi antichi indicatori stradali alla loro origine, ma sappiamo che oggi ne rimangono 18 in tutta la Toscana. Più che essere veri segnali stradali in aiuto ai viandanti, ai vetturali e ai barrocciai, erano dei monumenti autocelebrativi dei Granduchi di Toscana, soprattutto per il fatto di essere riusciti (alla metà del XIX secolo) a dare alla Toscana un nuovo assetto stradale con l’apertura di 3000 km di strade barrocciabili e ben otto passi appenninici resi facilmente praticabili. L’indicatore della strada verso la Garfagnana fu apposto in un anno compreso fra il 1847 e il 1859 – non sappiamo quale – senza troppo entusiasmo da parte dei Lucchesi che avevano perso da poco la loro secolare storia di “città indipendente”. La colonna è a base triangolare e non quadrata perché nel XIX secolo l’ingegneria stradale extraurbana preferiva progettare biforcazioni di strade e non incroci. L’indicatore, urtato da un camion nel 1950 e reso così pericolante, fu smontato dal Comune e riposto in magazzino. All’inizio del nuovo secolo la popolazione del Borgo richiese unanime al Comune la riapposizione di questo manufatto storico che tornò al suo posto nel 1999.

Oggi la via per i Bagni di Lucca e Castelnuovo sugli stradari e le carte urbane prende il nome di Via Brennero, versione ridotta della più estesa dicitura “SS 12 dell’Abetone e del Brennero”. Nella seconda metà dell’Ottocento era il diretto collegamento per arrivare velocemente ai primi grandi insediamenti industriali della Piana lucchese che nacquero nell’area Piaggione-Ponte a Moriano, sfruttando la forza idraulica del fiume che portava ad azionare all’interno degli stabilimenti turbine e alternatori di piccola potenza. La strada da Borgo Giannotti a Ponte a Moriano era all’epoca la “strada Nazionale n. 39”. La dicitura “nazionale” era attribuita a diverse direttrici che valicavano l’Appennino. Il nome di “via Nazionale” è tutt’ora attribuito al segmento Calavorno – Fornaci di Barga fino alla località 2 strade; inoltre esisteva una dicitura più ampia che era la “via nazionale da Livorno ai confini col Mantovano” con cui a volte troviamo menzionato il tratto Gallicano-Campia. Bisogna inoltre rammentare che il tratto Calavorno-Fornaci fu reso comodamente calessabile con l’intervento del governo centrale datato 19 maggio 1881. Il suolo della “nazionale n. 39” era di proprietà statale, mentre i 2,4 metri della tramvia Giannotti-Sutificio Balestreri di Ponte a Moriano (posata sulla stessa carreggiata per 7,2 km), pur essendo di utilizzo pubblico a tutti gli effetti, venivano in particolar modo usati per il trasporto degli oltre mille operai che lavoravano nella fabbrica di Moriano. La tramvia venne inaugurata il 9 settembre 1883 e cessò definitivamente la sua esistenza il 30 giugno 1932; per quasi tutta la sua esistenza fu contesa tra pubblico e privato.

Con l’apertura del tratto ferroviario Lucca-Moriano le cose cambiarono. La legge sulla viabilità nazionale dell’epoca prevedeva che non potevano esserci tratti in cui una ferrovia statale e una strada statale corressero in parallelo. La strada doveva perciò essere data in gestione ad un ente minore: nel nostro caso divenne quindi strada provinciale. Dal 1883 si poteva anche proseguire con un regolare servizio di carrozze da Ponte a Moriano ai Bagni di Lucca, con una strada resa agibile fra il 1817 e il 1819 sul lato di Vinchiana. Fu così che la direzionalità Lucca-Bagni di Lucca cominciò a perdere il suo stato nativo di via Nazionale per divenire attraverso i decenni (soprattutto con l’apertura del tratto Ponte alla Lima-Bagni di Lucca) un importante spezzone della Via dell’Abetone e del Brennero.

Il 6 settembre 1819 la duchessa Maria Teresa di Borbone che regnava in Lucca, pubblicò il decreto di costruzione della strada che dai Bagni proseguiva per le case di Bocca di Fegana. Da qui la viabilità si sarebbe biforcata: a destra si dava inizio alla nuova strada di Foce a Giovo; proseguendo invece lungo il corso del Serchio si sarebbe costruito un nuovo ponte a due archi sul torrente Fegana per poi proseguire, tagliando un ripido pendio per arrivare sul lato orografico sinistro del già esistente Ponte di Calavorno. Questo passaggio sul Serchio esisteva già prima del 1376, anno in cui fu rimesso in ordine dalla comunità di Ghivizzano, Vitiana, Lucignana e Gioviano; nel 1630 era composto di due arcate, una grande e l’altra più piccola, ed era supportato dal ricovero per viandanti di San Leonardo di Calavorno. Nella guida del Touring Club Italiano del luglio 1916 lo di descrive così: “Molto stretto e si passa a disagio con l’automobile…”. Il ponte sulla Fegana fu costruito a 2 arcate fra il luglio 1823 e il marzo 1825 su progetto dell’ingegnere Giacomo Marrazzi che portò a compimento anche altri lavori fra Pian di Gioviano e Bolognana. Il ponte fu travolto dalle torrenziali piogge dell’ottobre 1836 e ricostruito pochi anni dopo ad una sola arcata, notevolmente rinforzato, con un progetto di Lorenzo Nottolini. Fu fatto saltare in aria nel 1944 dai tedeschi; di nuovo fu prontamente ricostruito proprio con le carte progettuali del Nottolini.

L’attuale ponte Umberto I posto appena a valle dello sbarramento idroelettrico di Borgo a Mozzano, era conosciuto nel XIX secolo con il nome di “Ponte d’oro” con aggregata l’omonima locanda. Nel 1899 l’originale di questo ponte fu sostituito con uno in ferro a trave continua con tre appoggi sul letto del fiume. Fu distrutto dagli eventi bellici del 1944 e ricostruito nel 1949.

Da Borgo a Mozzano fino a Ponte a Moriano, sulla sponda destra non esisteva nessuna viabilità di rilievo adatta al transito di calessi, barrocci e carrozze postali; tutto questo fino al 1831 quando fu dato inizio alla costruzione del ponte di Diecimo. L’intento era quello di togliere Valdottavo e i paesi della Valpedogna da un certo isolamento viario permettendo loro di raggiungere più comodamente la via dei Bagni, sulla sponda opposta. Nel 1831 il governo di Lucca decide di far costruire un ponte all’altezza di Diecimo; il lungo tratto di strada dritta che tagliava i coltivi agricoli di Anchiano all’epoca veniva chiamato Redolo del Pianello. Procedendo verso Lucca, poco più oltre il termine di questi coltivi fu iniziata la costruzione del ponte. Era un lungo ponte a cinque archi in muratura con spallette in ferro. Data l’ampiezza del letto del fiume in questo tratto, occorse un’opera piuttosto sviluppata in lunghezza. Fu terminato nel 1836 e quasi subito danneggiato dalla storica piena dell’ottobre di quello stesso anno e distrutto definitivamente in una successiva del 1843. A ricordo di questa opera non rimane altro che il nome del gruppo di case situate sulla sponda di Anchiano, che prendono il nome di Ponterotto.

Si deciderà in seguito di collegare Diecimo e Valdottavo con Ponte a Moriano mantenendosi sulla sponda destra del Serchio facendo così nascere la direzionalità della Strada Ludovica. Di questa storica direzionalità rimangono pochi elementi originali; uno di questi è certamente, anche se solo in parte, l’attuale ponte a due archi a sesto ribassato che supera il torrente Pedogna. Questa struttura presenta ancora oggi particolari soluzioni di un certo rilievo. Sulla sua destra orografica il ponte presenta una lunga rampa di accesso che taglia in due il piccolo piano agricolo di Pastina ed è dotato di un angusto ma utile sottopasso di servizio. Su questo stesso lato sono pure due rampe di accesso in piano inclinato, pedonabili o carrettabili a braccia, che terminano direttamente sul piano di calpestio del ponte. Sulla sponda opposta vi è una sola rampa di accesso. Il ponte fu distrutto dagli eventi bellici del 1944. Oggi le spallette sono sostenute da pilastrini di pietra arenaria con muratura di riempimento in mattoncini rossi. Negli anni ’90 fu fatto oggetto di atti vandalici che lo privarono di alcune pietre lavorate. Restaurato parzialmente nel 2005, rimane a tutt’oggi privo di un più completo restauro. La primissima costruzione di questo attraversamento si può datare certamente negli anni successivi al 1604 quando in contemporanea fu realizzato un ponte anche sul torrentello della Celetra (oggi passante sul retro dell’area di una grande cartiera a Valdottavo).

Nel 1604 Borgo a Mozzano e Valdottavo erano da poco territorialmente unite in una sola vicaria. Insieme cercarono di racimolare denaro per la copertura economica delle due opere che quasi certamente furono costruite in legno ma con discreta fattura. Per quindici anni Lucca concesse che sul passaggio di Valdottavo si potesse applicare un certo pedaggio facendo rientrare così un po’ delle spese fatte dalle comunità locali. Nel 1659 i torrenti ingrossarono e trascinarono via queste due opere.

Anche dal tratto Ponte a Moriano-Valdottavo si può raccogliere qualche notizia storica. Partendo dai nostri giorni annotiamo che le moderne gallerie morianesi (variante di Moriano) furono iniziate con il primo lotto nel 1981 e totalmente terminate nel 2004. Successivamente a monte sono state corredate dal bellissimo ponte ad arco superiore che supera il Serchio alla base della cresta del Pittone.

Prima di tutto questo, la vecchia strada provinciale arrivava da Sesto di Moriano a Rivangaio sottopassando le Penne di Moriano con due brevi gallerie sulla sponda destra del fiume. La prima con volta interna naturale (data la sua brevità); la seconda con volta murata, passando davanti ad un’area di cavo di pietrisco oggi dismessa (Cava Maddaleni). Queste due piccole gallerie, aperte per passaggi someggiati e piccoli barrocci sul fiume del XVIII secolo, con opera totalmente manuale, furono realizzate per portare il livello stradale più alto del letto del Serchio, tenendo fuori la viabilità dal rischio delle piene del fiume. Nei primi anni ’70 del secolo appena trascorso si adottò una variante per evitare la strozzatura fra le case di Sesto di Moriano. A Rivangaio la strada superava il Rio di Vangaio con un ponte alto e massiccio. Sotto di esso fin dal XIV secolo c’era e c’è un piccolo ponte di pietra che attraversa il Vangaio e a suo fianco esisteva il punto di assistenza per i viandanti di San Jacopo di Rivangaio. Come, del resto, fin verso il 1975 al grosso ponte di pietra ottocentesca, ha fatto da supporto la rustica locanda di Rivangaio (oggi fatiscente).

Il tratto Bolognana-Gallicano, dove le pendici del promontorio del Monte di Gragno cadono più a picco sul letto del Serchio fu migliorato ed ampliato attorno al 1840 con un progetto certamente realizzato (ancora una volta) da Lorenzo Nottolini. Questo progetto aveva in programma il superamento del Fosso della Malacqua, che l’architetto lucchese ottenne con la costruzione di un ponte con arco gotico centrale corredato da due tondi forati passanti ai suoi lati. Pochi anni più tardi (1847) dato che quest’opera riuscì elegante, bella e funzionale, il Nottolini progettò come identica fotocopia il ponte-canale nel centro di Gallicano, oggi porta di accesso ai paesi della Turrite di Gallicano. Fra il 1840 e il 1846 regnava e governava a Lucca Carlo Ludovico di Borbone; risulta quindi assai probabile che proprio da questi eventi gran parte della viabilità di sponda destra sia arrivata ai nostri giorni con il nome di Via Ludovica o Lodovica. Con il passare del tempo il ponte della Malacqua è rimasto nascosto da una viabilità moderna sovrastante, sempre più larga e veloce. Addirittura si è perso il nome stesso del fossato che sulla moderna cartografia è annotato con il nome di Fosso del Fontanino. Ma questa bellissima opera viaria esiste ancora oggi, nascosta nel verde, con la sua eleganza rimasta inalterata; nel punto in cui la moderna Fondovalle passa a fianco di un rudere murario di un vecchio caricamento di ghiaia.

Tratto finale di questa storia resta il tragitto: Gallicano-Mologno-Barga. La via Pietro Funai del 1909 fu la più breve per i barghigiani per raggiungere Mologno e il Serchio, in quel fondovalle dove dal 27 luglio 1911 la nuova via ferrata Lucca-Castelnuovo Garfagnana era già funzionante, sulla quale potevano salire uomini e merci per dare nuovo impulso all’economia della Valle. L’attraversamento del fiume fra Mologno e Gallicano costituì così il naturale completamento viario che avrebbe dato più ampio respiro ad ogni cosa! Anche i lavori di questo ponte furono iniziati attorno al 1910; ma vuoi per difficoltà economiche, vuoi per lo scoppio del primo conflitto mondiale, i lavori furono terminati solo nel 1923 con la realizzazione di un ponte a cinque arcate, così come lo vediamo oggi. Durante gli anni della costruzione fu utilizzata una passerella in legno con transito e pedaggio (nel 1916 si pagavano 5 centesimi).

Bisogna inoltre tener presente che dal 1915-1916 sulla sponda di Gallicano era già funzionante la più antica centrale idroelettrica del bacino del Serchio che attingeva potenzialità idrica dall’invaso del lago di Trombacco. La centrale apparteneva alla “Società ligure toscana” che produceva energia a 50 Hz. Dal 1925 la centrale gallicanese fu collegata alle centrali alpine dell’Adamello con elettrodotti da 70 a 120 Kv von l’ausilio della supertecnologica (per quell’epoca) centrale di Ligonchio che poteva intercambiare le frequenze alpine a 45 Hz con quelle toscane a 50 Hz. Fu così che la Società Ligure-Toscana, la Società elettrica dell’Adamello e la Società elettrica reggiana della Valle dell’Ozola, diedero vita al primo embrione di rete elettrica nazionale. La via elettrica, la via ferrata e la via di terra riusciranno così ad ottenere un contratto ottimale proprio nella nostra Valle… quasi cento anni fa!

Nella foto: Il ponte realizzato da Nottolini tra Bolognana e Gallicano, sul Fosso della Malacqua, oggi nascosto dalla moderna viabilità

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