Il palazzo Pretorio di Barga (dodicesima parte)

-

Una prima visita ai cinquecenteschi interni di Palazzo Pretorio.

Questo è quanto ci prefiggiamo di fare con il presente articolo, ipoteticamente inoltrandoci all’interno del Palazzo nel momento in cui, siamo al 21 dicembre 1546, un Cavaliere di un Podestà, assieme a alcuni maggiorenti del Comune, sta sfogliando delle carte. Di loro immaginiamo vedere gli sguardi che mirano qua e là, e allora possiamo già capire si tratti di una qualche verifica e, infatti, sulla copertina di quel brogliaccio in carta pecora che tengono tra le mani, leggiamo alcune parole scritte in grande: “Inventario dei beni mobili del Comune”. All’istante tutto c’è chiaro, infatti, virtualmente si è entrati nel Palazzo in concomitanza con una delle periodiche visite accertanti che ogni cosa affidata dal Comune al Podestà, come al suo Cavaliere e Consiglio, similmente per l’arredo della parte abitata, sia corrispondente a quanto narra quell’inventario.

Ci chiediamo allora: perché lo stanno facendo proprio in questo 21 dicembre 1546? Il più forbito risponde subito che senz’altro stiamo assistendo a una consueta verifica dei beni mobili, così come richiede la prassi a ogni fine mandato di un Podestà di Barga, uno dei riti amministrativi preparatori l’ingresso al successivo. In queste occasioni e per legge, si deve controllare che tutti i beni siano al loro posto e non ci siano state delle appropriazioni indebite, ingiustificati guasti alle cose inventariate e così dicendo. Se tutto andrà bene e comunque sarà, il nuovo Podestà prenderà in consegna l’inventario eventualmente aggiornato e a questo attenendosi sino al successore.

Si è accennato ai riti amministrativi riguardanti l’uscente Podestà e qui va detto che, sempre per legge, lo stesso Podestà, nel momento di lasciare veniva anche inquisito da deputati eletti nel Consiglio Generale della Terra. Un atto teso a capire se avesse svolto con correttezza e imparzialità il suo mandato e se nel giudicare avesse agito secondo lo statuto di Barga. Ovviamente per una tale inquisizione si dava ascolto alle diverse lamentele e poi si andava a Consiglio per deliberare circa il suo mandato; il voto positivo gli sarebbe venuto salvo non ci fosse stato niente di negativo nella sua condotta podestarile.

Nel nostro fantastico viaggio all’indietro nel tempo non perdiamo l’occasione della momentanea sospensione del lavoro svolto dai nostri personaggi. Infatti, è suonata la campana delle ore, istituita nel 1471 sul campanile del Duomo, e questa gli ha annunciato che è mezzogiorno. Cosicché, riposto quel brogliaccio su un tavolino, stanno chiudendo la porta per avviarsi al frugale pranzo nella cucina del Palazzo.

Noi, che abbiamo immaginato di esserci introdotti, ora che siamo soli, andiamo a leggere quei fogli per capire cosa ci diranno delle cose che si conservano nel Palazzo Pretorio in questi 1546. Come prima cosa si coglie subito che si tratta unicamente delle cose mobili e niente si saprà di pitture e altro. Altra evidenza è lo accorgersi che lo scritto risale al giugno 1545. Allora, cercando di capire la questione sorta sulla data, ricorrendo al nostro articolo numero sei, dove si elencano i Podestà di questi anni, intanto possiamo vedere che l’allora Podestà uscente nel giugno di quell’anno 1545 era Francesco Corbinelli, mentre l’entrante con il luglio era Simone Maria Buondelmonte. Quest’ultimo aveva preso in carico sino all’uscita, che avvenne dopo un anno nel giugno 1546, l’inventario che vedremo. Da questo mese sino al dicembre 1546 era entrato Francesco Popoleschi che al 21 dicembre 1546 si stava apprestando a lasciare Barga per l’ingresso di Melchione d’Azzi.

Questa sequela di Podestà l’abbiamo fatta perché l’inventario in questione, nella sua parte che reca le firme alla data 21 dicembre 1546, ha del misterioso. Infatti, parla del Cavalier Francesco Acciarii, presente al riscontro dell’inventario che teneva per il podestà ora uscente, cioè Simone di Maria Buondelmonte, mentre sarebbe dovuto uscire Popoleschi. Con il cavalier Acciarii è presente il cavaliere entrante e accettante l’inventario ser Matteo di Giovanni Guiducci in nome del podestà Melchione d’Azzi. Questa incongruenza sulla sequela dei Podestà potrebbe avere il suo vero nel rinnovato incarico a Buondelmonte, per motivi a noi ignoti, durante il secondo semestre 1546 della reggenza Popoleschi. Comunque sia stato, tornando all’inventario, di là dal mero contenuto, ci pare interessante anche per l’offerta idea di quante fossero le stanze del palazzo al piano terra, ossia otto. Evidenziato ciò, resta da dire che ogni tanto appaiono inventariate cose che a un primo esame hanno del misterioso, come il ritrovarci “La tromba”, il “Canapo da dar fune alla girella”, “La cassa delle borse del Comune”, “Il Falconetto”, citazioni cui abbiamo fatto seguire un minimo di spiegazione, ma è tempo di iniziare a leggerlo con voi:

“Inventario dei beni mobili et masseritie del Comune della Terra di Bargha existenti nel palazzo del Signor Podestà di detto luogho”

“Et prima. In sala del Consiglio:

Un bancho da ragione con uno armario, entrovi una cassetta del cavaliere con la chiave.

Uno campanello da chiamare e’ garzoni.

Due cassette da messi.

Il libro di carta pecora dove si notano le pace et le tregue ………. in sul bancho.

Un bossolo da ricorre e partiti del Comune.

Una cassetta dalle polize.

La tromba.*

* (La tromba serviva ai messi del Comune per avvisare i cittadini quando affiggevano i bandi, come per altre funzioni legate al Consiglio. In antico c’era anche da rispettare l’obbligo di andare, a scadenze fisse, in vari luoghi del Castello e lì, a suono di tromba, chiamare a raccolta i cittadini per leggergli parti dello Statuto.)

Tre rastegli da tenere arme.

Tre panche nuove.

Un deschettino da scrivere.

Due pannate alle finestre.

Un canapo da dar fune alla girella.*

* (Questa citazione ci porta a credere che nella sala del Consiglio si praticasse la dolorosissima pena barghigiana del “Tratto di Fune”, consistente nel sollevare in alto il condannato legato ai polsi con una corda, però con le mani girate dietro la schiena. Questo per convincerlo alla confessione del presunto reato o come pena definitiva, infatti, sui libri del Comune si può leggere che al tale gli siano dati “due tratti di fune”. In certi casi si minacciava o si attuava il rilascio immediato della fune, con l’indifesa caduta del malcapitato.)

In camera dei garzoni:

Un uscio con chiave.

Telaj da pannate.

Un armario da tenere e libbri del Comune con una chiave.

Un legname da letto con saccone.

Un paio di cassette da letto.

Un paio di casse grande.

Un cappellinaio.

In camera del Cavaliere:

Un uscio con chiave.

Una cuccia da letto con saccone.

Una cassa con chiave.

Casse da letto con chiave.

Un bancho da tenere ragione.

Uno schanello con trespudi et chiave.

Una cassetta per e libbri del Comune.

Una pannata ad una finestrina.

Un cappellinaio.

Un paio di alari da fuoco.

In sala del Podestà:

Una mensa con trespudi et panche.

Una pannata alla finestra ferrata.

Un armario vecchio.

Una cassone da tenere biada.

Due padelloni nuovi.

In camera del Podestà:

Un fornimento da letto con saccone.

Un lettuccio con un saccone.

La cassa dalle borse del Comune. *

* (Questa citazione ci dice che il Podestà aveva sotto stretto sorveglianza le borse da cui si estraevano i nomi per gli incarichi in Consiglio, in quel tempo composto di sei Consoli, sei Capitani di Parte Guelfa, tre Difensori e quindici Consiglieri. Ogni ufficio aveva la sua borsa con dentro i nomi degli aventi diritto e certamente, con il tempo, ognuno degli “imborsati” avrebbe ricoperto l’incarico. Questo perché l’estratto usciva definitivamente dalla borsa, sino all’esaurimento dei nomi. Quando la borsa era vuota, si procedeva alla nuova “imborsazione” dei nomi tramite il Consiglio, che sua volta nominava dei deputati per l’esame, detto “squittinio”, delle persone aventi diritto. L’affido delle borse al Podestà per l’estrazione periodica dei nuovi incarichi, certamente ci fa capire che non c’era assolutamente da fidarsi circa l’onestà dei cittadini interessati agli incarichi, infatti, a volte, troviamo nelle delibere che queste erano state alterate e come ricorda il celebre Machiavelli, forse dall’idea di inserirvi gli amici e togliervi i nemici.)

Una predella.

Un tavolino quadro da mangiare.

Una credenza con chiave.

Due cappellinai.

Una pannata alla finestra ferrata.

Un serratoio al camino di legname.

Un paio di stadere, una granda et una piccola.

Un paio di alari da fuoco.

Un paio di molle.

Uno scannello nuovo con chiave.

In camera delle serve:

Un fornimento da letto con saccone.

Un paio di casse con toppa et non chiave.

Un armario ad uso di credenza con chiave.

Una pannata alla finestra.

In cucina:

Una tavoletta con trespudi con dua panche.

Una cassetta da olio con chiave.

Una stia.

Una credenza.

Due trepiè, uno grande e uno picchino.

Un paiolo.

Un catino grande di legno.

Un paio di alari da fuoco.

Una catena da fuoco.

Due palette da fuoco.

Un paio di molle da fuoco.

Una padella.

Un mortaio di sasso.

Due predelle e una seggiola.

Una secchia di rame da fuoco.

Una lucerna.

Nel camerino della cucina:

Una maria.*

* (Forse una madia dove si teneva l’impasto da pane.)

Un asse da pane.

Due tavolini da pane.

Una cassettina piccola da crusca.

Una gabbia da carne.

Un cavalletto di legno.

In la stalla:

Una prigione dal delitto con uscio et chiave.

Un paio di ceppi.

Due asse con trespudi.

Un fochale.

Una prigione della vita con chiave et un paio di ceppi.

Nella cantina del comune:

Due botte.

Un falconetto et un mezzo falconetto.*

*(Il falconetto era un piccolo cannone)

Un uscio con chiave.

Nella stanza della munitione:

Uscio con chiave.

(…) Falconetti.

Nove pezzi d’archibugi da muraglia con casse et quattro senza di detto numero. In tutto pezzi trentanove.*

* (Pesante fucile da porre alle merlature delle mura, probabilmente a quelle della Rocca dove era il Palazzo Pretorio e il Duomo.)

Un bariglio da polvere vuoto.

Due paia et mezzo di forme da far palle di terra.

Nella prima entrata del palazzo:

Una pancha con spalliera.

Questo è quanto s’inventariava di beni mobili esistenti a Palazzo Pretorio l’anno 1545. Con il prossimo articolo vedremo altro inventario dell’anno 1570.

(Continua. Pier Giuliano Cecchi.)

Tag: , , , ,

Lascia per primo un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.