L’affresco della Madonna con il San Cristoforo e San Giuseppe (già Sant’Arsenio).
Siamo ancora sotto la Loggia dei Podestà a Palazzo Pretorio a Barga e dopo aver parlato della storia degli stemmi scolpiti, Podestà, antiche misure, colonna a Cosimo I, Marzocco, ecco che è arrivato il custode per l’apertura del Museo Civico. Ora, dall’aperto portone chiodato, abbiamo l’occasione di vedere un affresco che fa da sfondo alla sala grande, come abbiamo detto, in antico sede del Consiglio Generale della Terra di Barga. Quest’opera pittorica, per chi ha seguito un poco la storia del suo restauro avvenuta nel 2004, sa che su di essa si addensa un mistero.
Intanto, iniziamo a dire che raffigura due santi con la Madonna in alto che ascende in cielo. Ora i due santi sono San Cristoforo e San Giuseppe, e il mistero che racchiude l’opera sta proprio nel secondo, perché un Podestà di Barga ci racconta una cosa diversa circa i santi. Questo ricorso storico ci offre anche l’occasione per stabilire un periodo circa l’esecuzione “dell’affresco” e che vedremo più avanti.
Questa pittura, che per semplicità abbiamo chiamato “affresco”, da sempre ha reso curiosi un po’ tutti circa la sua storia, come pure il sottoscritto. Più volte in compagnia di amici, anche loro innamorati della storia di Barga, mi sono trovato lì sotto ad ammirare la pittura; questo non tanto negli ultimi anni, cioè da quando nel 2004 fu fatto il restauro, ma specialmente prima, quando dai frammenti rimasti, cercavo di capire chi fossero stati quei santi che a malapena si leggevano.
Ecco allora come si presentava “l’affresco” prima del restauro. In alto si vedeva abbastanza bene la Madonna Assunta in cielo. Ai lati due santi, che per essere rappresentati nella sala del consiglio dovevano essere protettori del Comune e quindi del popolo di Barga. In basso, alla base del dipinto, c’era una sorta di cartiglio con dentro una scritta non del tutto leggibile, allora intuita, come oggi, invocante il divino aiuto sul popolo, come di illuminare nell’onestà i destinati alla giustizia nella Terra di Barga, cioè i rappresentanti inviati dal governo fiorentino. Si ricorda ancora che il Palazzo Pretorio fu per secoli la sede abitativa dei Podestà, poi anche dei vicari inviati a Barga, i quali avevano la giurisdizione civile e penale su tutta la podesteria, esercitata proprio nello stesso palazzo al banco della ragione tramite un Notaio e un Cavaliere.
Prima di andare avanti nel nostro discorso, diciamo che nella sala di cui stiamo parlando, oltre alla pittura in oggetto, c’erano anche altre raffigurazioni, opere oggi intuibili nei pochi frammenti rimasti qua e là sui muri. Con certezza possiamo dire che vari podestà vi avevano fatto dipingere i loro stemmi, forse anche un duplicato di quello in pietra all’esterno, e questo è chiaro in un carteggio risalente agli inizi del XIX secolo, epoca in cui, seppur bisognosi di un poderoso restauro, fossero ancora leggibili.
Il periodo di cui stiamo parlando è quello napoleonico e tutti sappiamo quanto allora divennero invise in certi ambienti italiani le armi gentilizie e tale avversione giunse subdolamente anche nei nostri luoghi, facendo decidere a certi politici comportamenti non tanto chiari ma quantomeno di sicuro menefreghismo nei confronti degli stemmi. Nei fatti, pur di atterrarli o cancellarli, si andò equivocando la legge francese in materia che decideva in favore degli stessi, purché gentilizi, di fatto, giocando sulla questione se il tale o tal altro stemma fosse gentilizio o meno. Questo è quanto si capisce nel leggere le pratiche per il restauro degli stemmi pitturati all’interno di Palazzo Pretorio a Barga. In pratica siamo nel 1802 e il 29 luglio dalla Cancelleria di Barga, a firma del Vicario Odoardo Ferrati, parte una lettera diretta all’Ufficio dei Fossi di Pisa, una sorta di richiesta di autorizzazione a poter cancellare gli stemmi dipinti nella sala grande del palazzo. Per tale fine si dice che questi non si possono considerare gentilizi e che perciò, non avendo protezione seconda gli ordini veglianti in materia, si potrebbero imbiancare; questa era la maldestra idea balenatagli in testa nel momento in cui gli imbianchini stavano sbiancando il suo appartamento, attiguo alla sala in oggetto. L’imbiancatura degli interni di Palazzo Pretorio era la naturale conseguenza ai restauri eseguiti in quell’anno, almeno per quanto riguardava l’appartamento del Vicario Ferrati.
Andando avanti a leggere ci accorgiamo però che i Priori del Comune di Barga non sono d’accordo con il vicario Ferrati, deliberando il loro pensiero, cioè scrivendolo nero su bianco. In pratica si mostrarono contrari all’idea dell’imbiancatura degli stemmi, soggiungendo che si potrebbero restaurare “ Col sacrificio di piccolissime somme … a carico della Comunità”, questo perché, diversamente dall’idea del Vicario, le armi sono gentilizie e proprie di famiglie illustri della Toscana: “Memoria di nobilissime famiglie e di uomini illustri che sono stati al Governo di questo paese”.
Inoltre, cancellandole, ogni discendente potrebbe reclamarle visive, giacché i loro defunti familiari ebbero il diritto di mostrarle al pubblico, seguitando con il mettere in evidenza che la cancellazione contrasterebbe con gli ordini veglianti in materia.
Dall’Ufficio dei Fossi di Pisa arrivò a Barga con lettera il parere sugli stemmi, nei fatti dirimenti l’attrito nato all’interno dei massimi organi politici della Terra di Barga, che dava ragione alla parte locale, cioè i priori, detti Magistrato Comunale, consistente nel restauro a carico della comunità. Il Magistrato deliberò allora di affidare al Provveditore delle Strade un supplemento d’incarico oltre all’ovvia relazione sui restauri al palazzo cui si è accennato in precedenza, ossia di farne altra circa gli stemmi della sala, cioè quanti fossero, quanto potrebbe costare un restauro e altro. Questa, seppur ignota, sappiamo sia stata fatta, perché dalle delibere comunali apprendiamo che la cifra per il restauro ascendeva a Lire 100. Seduta stante però il Magistrato non deliberò niente circa l’affare stemmi, rimandando l’argomento ad altra seduta, con l’impegno di trovare un più economico espediente. Nella solita seduta però vediamo che dovettero trattare anche il restauro all’appartamento del Notaro Criminale e senz’altro, accorgendosi che secondo la perizia esaminata, la somma era di Lire 70, allora capiamo perché ci fu il rimando ad altra seduta dell’affare stemmi.
Questo racconto della vicenda degli stemmi dipinti ai muri in sala Consiglio però non parrebbe avere un esito positivo, perché andando avanti nella lettura delle delibere, vediamo che non se parla più. Probabilmente le spese al Palazzo avevano malamente consigliato di lasciare così com’erano le dipinte armi gentilizie dei vari Podestà di Barga, che con il passare degli anni andarono viepiù sciupandosi sino alla completa distruzione.
Prima di tornare all’argomento “affresco” della Madonna e santi, come nota conclusiva a questa parte si riporta che in quest’anno 1802 fu affidato l’incarico al pittore Riani di eseguire uno stemma nella sala, quello del nuovo sovrano Re Lodovico: “O a fresco o su tavola”. Fu pagato con Lire 9, soldi 16 e denari 8. Probabilmente lo stemma è quello a malapena ravvisabile vicino alla Madonna e Santi, “affresco”di cui, dopo quest’ampia nota, riprendiamo il nostro interrotto discorso.
L’ “affresco” dei santi, sin dalla prima volta che lo vidi, or sono molti anni fa, seppur molto danneggiato e solo intuibile, mi si fissò nella mente, assieme alla volontà di saperne di più. Devo dire che allora di quest’opera non esisteva nessun testo e solo in pochissimi ne parlavano a livello di curiosità; solo il fatto che si trovasse nell’antica sala dei consigli suggeriva l’idea che raffigurasse dei protettori di Barga.
Da allora, anni settanta del Novecento, sino al 2004, più volte mi son trovato a rimirare l’opera, specialmente da quando, 1979, s’inaugurò come Gruppo Ricerche Storiche di Barga il primo nucleo del Museo Civico. Come aderente a quel Gruppo e fattivo partecipe all’idea Museo per Barga, ovviamente frequentavo quella sala con molta assiduità e ogni volta mi trovavo avvinto dall’“affresco”, ma nonostante le mie ricerche nell’archivio storico del Comune di Barga, restava lì ammiccante e rinserrante in sé ogni sia pur minima notizia.
Finalmente, nel 2004, durante alcune ricerche storiche ecco giungermi alla vista qualcosa di veramente straordinario: un podestà di Barga parla proprio di quel dipinto! Capibile l’emozione nel leggere la descrizione che ne fece il Cancelliere trascrivendo l’intervento nelle delibere del Comune. Questo perché sino allora nel dipinto si poteva intuire una Madonna, forse un San Cristoforo, mentre l’altro Santo era del tutto ignoto, anche di là da ciò che si poteva ancora vedere.
Per spiegare un poco come avvenne la “scoperta” dirò che la ricerca che stavo attuando riguardava il Palazzo Pretorio e il secolo che andavo indagando il Seicento. Mentre stavo leggendo di certi restauri al tetto e alla loggia deliberate il 9 giugno 1619, andando avanti nei mesi mi trovai a leggere altra delibera dell’8 dicembre, festa della Concezione, che per Barga, essendo festa del comune, è tutta un programma storico di cui ho già parlato in diversi articoli, e che allora non potevo tralasciare di leggere. La delibera però trattava del rinvio del Consiglio convocato in quel giorno al 12 dicembre per mancanza del numero legale. La mia attenzione era dettata dal sapere che in tali occasioni, come per altre festività adottate dal comune, era consuetudine del Consiglio deliberare oboli o intraprendendo iniziative per la grande devozione del popolo, che visivamente la raffigurava nell’antichissima immagine della Madonna del Molino che nel 1512 fu trasportata dall’omonimo opificio di proprietà dell’Opera San Cristofano, alla Pieve di Barga.
Leggendo quelle delibere mi accorsi che aveva preso la parola in Consiglio, cosa non molto consueta, il podestà, nel caso Benedetto Fortini, che suggerì di vincersi un partito di Scudi 10 per costruire un piccolo campanile sopra il Palazzo Pretorio per poi comprare una “campanellotta” da inserirvi per uso della corte nel chiamare i “messi” e “famigli”, trovando indecente per tale funzione l’uso che si andava facendo di una campana del Duomo. Andando avanti eccoci al punto del mio soprassalto sulla sedia, infatti, il podestà Fortini continuando nel suo intervento, chiese ancora si vincesse altro partito di:
“Due scudi per fare un poco di ornamento alla Vergine dipinta nella sala suddetta, si per venerazione della detta Vergine, advocata et refugio de peccatori, come anche per accrescerli maggiore devotione, sendovi dipinti anche S. Cristofano e S. Arsenio avocati del Comune, il che messo a partito fu vinto per voti tutti neri in favore per lo sì …”
Grande fu l’emozione, perché dopo tante dissertazioni sull’argomento, finalmente era chiara, la verità di quanto raffigurasse il nostro dipinto. Una rivelazione che tra l’altro aiuta a capire meglio la parziale iscrizione che sta sotto, che in precedenza abbiamo descritto, e al tempo stesso ci offre l’occasione per approfondire il culto dei due santi raffigurati, per l’ubicazione laica non solo da leggersi appartenenti al celestiale della Chiesa ma anche, appunto, al soprannaturale della parte laica di Barga.
Per San Cristofano (Cristoforo) non occorre dire molto, per la grande conoscenza della sua figura, essendo il patrono di Barga sin dai primi secoli dopo il Mille. Diversamente è per Sant’Arsenio, il quale entrò tra i culti del barghigiano dopo due anni di tempeste avvenute nel solito giorno della sua festa, il 19 luglio, e nel 1521 preso in perpetua devozione con tanto di delibera comunale.
Tra l’anno dell’ufficiale nascita in Barga del culto verso Sant’Arsenio, 1521, e la data della delibera trascritta, 1619, ovviamente si colloca l’ignota esecuzione del nostro “affresco” della sala grande di Palazzo Pretorio, di cui non sappiamo neppure l’autore. Altra raffigurazione di Sant’Arsenio si trova all’interno del Duomo, all’altare della “Concezione”, nella tavola che raffigura i protettori la Cinquecentesca Barga che fa da sfondo all’opera. I protettori lì raffigurati sono: San Rocco contro la peste, San Giuseppe perché la Comunità stesse sana e salva da ogni avversità, Sant’Arsenio contro i fulmini e le tempeste, cui fu aggiunta e sin dall’antico una finestrella in alto per accogliere la veneratissima Madonna del Molino, dal Cinquecento eletta patrona di Barga con San Cristofano. Domanda: perché nella tavola non misero anche San Cristofano? Si potrebbe pensare che il Santo, comunque, fosse ben rappresentato nella statua lignea che domina tutta la chiesa e non occorresse dipingerlo sulla tavola, anche perché ne sarebbe stata sminuita la sua personalità, la spiritualità di fede, nel senso che Lui aveva il patrocinio, sin dall’antico, su il tutto di Barga, compreso il suo territorio. Altra domanda: perché allora vi misero la Madonna del Molino compatrona anch’essa di Barga? Questa è altra storia e lì andava messa, alla tavola dei protettori, soprattutto perché la cappella era del Comune di Barga. Entrando nei fatti, l’allora pievano Manni –correva l’anno 1512- dopo la traslazione alla Pieve della Madonna tratta da un opificio dell’Opera di san Cristofano, questi l’aveva messa sull’unico altare di sua diretta pertinenza, quello centrale, mentre la stessa Opera la reclamava sua e poiché questa laicale istituzione era, di emanazione comunale, ecco che la Madonna, con salomonica decisione, si deliberò in Consiglio di metterla assieme ai protettori di Barga.
All’inizio abbiamo accennato a un mistero racchiuso nel dipinto, o “affresco”, di Palazzo Pretorio. Infatti, è proprio così, perché durante il restauro del 2004 agli addetti venne in chiaro, a loro insaputa, che Sant’Arsenio, così ricordato dal podestà Fortini nel 1619, si era trasformato in un San Giuseppe, tra l’altro del tutto simile a quello raffigurato nella tavola nel Duomo. Com’è stato possibile un tale scambio d’immagini? Una via per addentrarci a dirimere questo mistero potrebbe essere quella che ci porta a considerare quando San Giuseppe entrò in devozione in tutto il Granducato di Toscana.
L’anno è il 1719, il Granduca di Toscana è il padre di Giangastone, Cosimo III de Medici, il quale fa votare al Senato di Firenze che San Giuseppe divenisse compatrono della Città con San Giovanni, e protettore del Granducato e di Casa Medici, e qui mi sembrano chiari due passaggi per Barga. Il primo che andasse raffigurato San Giuseppe nella sala dei consigli, da ora patrono del Granducato. Non abbiamo documentazione sotto gli occhi, ma è pensabile che la questione San Giuseppe fosse divenuta un affare da trattarsi anche in Barga da parte del Comune e sappiamo che da allora, ogni anno, si attuarono anche festeggiamenti laici in suo onore, questo oltre e in aggiunta a quanto già si faceva in chiesa, nel senso che la parte laica si troverà a deliberare le spese per la festa del patrono del Granducato che avveniva a dicembre. Nel Duomo c’era già l’altare di San Giuseppe, ma nella sala del Consiglio era assente la sua immagine e allora, secondo passaggio, che gli si desse immagine trasformando Sant’Arsenio in San Giuseppe, uguale a quello della tavola del Duomo.
Ripetiamo che è un’ipotesi, però, in assenza di ricordi di altre immagini a San Giuseppe nella sala dei consigli, quest’idea potrebbe condurci al vero dell’effettiva trasformazione e quindi svanimento del documentato Seicentesco Sant’Arsenio nel dipinto di Palazzo Pretorio.
(Pier Giuliano Cecchi –continua)
Articoli che parlano dello svelamento da parte di Pier Giuliano Cecchi dei Santi raffigurati nell’affresco a Palazzo Pretorio:
Il Tirreno –Mediavalle Garfagnana –Martedì 17 febbraio 2004 Pag. VII:
“Cristoforo e Arsenio i santi dell’affresco –Museo Civico, raffigurati assieme alla Madonna”. Di Flavio Guidi.
Metropoli –Lucca – (Barga) –Domenica 22 febbraio 2004 –Anno VII n° 35
“Vi svelo il segreto di Palazzo Pretorio” (Prima pagina).
Pag. 17 (Barga) “Dallo studio di un barghigiano sull’affresco della Madonna in Palazzo Pretorio –Svelata l’identità dei due santi”. Intervista a Pier Giuliano Cecchi di Roberto Salotti.
Il Corriere di Lucca –Venerdì 20 febbraio 2004 –Pag. 25:
“Hanno un nome i santi del museo civico” –Si tratta di Cristoforo e Arsenio: la scoperta dello storico Cecchi”, di Maria Pia Baroncelli.
Il Giornale di Barga –Settembre 2004 – Anno LIV, n° 654
“Una lettera” di Pier Giuliano Cecchi, in cui si corregge l’equivocato nome di S. Ermete in S. Arsenio, così apparso in un articolo dello stesso giornale del precedente Giugno e che parlava dell’avvenuto restauro dell’affresco a Palazzo Pretorio. Qui, Pier Giuliano Cecchi, mostra anche un enigma, perché il restauro aveva individuato S. Giuseppe al posto di S. Arsenio.
Tag: affresco, barga, Duomo, palazzo pretetorio, loggia del podestà, misure di barga
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