La Madonna del Don. Custode dell’ultimo sogno dei tanti giovani tragicamente morti e dispersi in Russia

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Dedico questo mio articolo alla memoria di tutti quei giovani del Comune di Barga che nella II Guerra Mondiale risultarono caduti e dispersi sul Fronte Russo 1942-43. Naturalmente ho un pensiero particolare per uno di loro, che risulta tra i dispersi: lo zio Giuliano Cecchi, che seppur non ho mai conosciuto, per il fatto che porto il suo nome, da sempre sento di averlo vicino giorno per giorno. Tra l’altro siamo anche vicini come data di nascita: lui il 9 luglio, io il 4.Qualcuno potrebbe obiettare che io ho per nome Pier Giuliano, mentre egli solamente Giuliano. Allora chiaririsco perché poc’anzi ho detto che porto
il suo nome. La cosa è molto semplice: Giuliano era il suo nome di battesimo, ma in casa lo chiamavano Pietrino, da questi due nomi il mio.
Il fatto che lo chiamassero Pietrino forse è dovuto a mio nonno, che senz’altro voleva chiamarlo così alla nascita, o meglio Pietro, in ricordo di suo padre Pietro Michele. Poi forse la spuntò la nonna e il nome, comunque fosse andata, fu Giuliano. Ma la cosa, per quanto detto, non dovette appianarsi con tanta facilità, anzi fu tutt’altro e ancora oggi quando coi miei fratelli parliamo di lui lo chiamiamo Pietrino.
Da mio padre Elfo, che era suo fratello, il più grande di altri tre maschi e una femmina, e dalla nonna Andreina, ho impararto qualcosa di lui, per esempio che era dotato di una buona intelligenza, a scuola era abbastanza bravo e se avessero potuto lo avrebbero fatto studiare, ma la situazione economica, che gravò anche su tutti gli altri fratelli, non lo permise. Ricordo ancora di aver sentito narrare che da ragazzo gli piaceva giocare a calcio, era un buon portiere, e lo praticava con gli amici, naturalmente per divertimento e con la consueta palla frutto della fantasia.
Mia madre invece ricordava la sua voglia di scherzare, come quando le slacciava il pannello mentre stava rigovernando all’acquaio. Erano gli anni imminenti al suo servizio di leva con la classe 1922, che poi fece nel Cavalleria Savoia.
Ricordo di aver sentito narrare quando giunse la notizia della sua partenza per la Russia e quale dardo trafisse la famiglia di mio nonno Egidio, reduce della I Guerra Mondiale dove aveva combattuto nel 3° Reggimento Artiglieria da Montagna.
Fu veramente un giorno di lutto familiare, per di più aggravato da una particolare circostanza. Infatti un’altro figlio che era negli Alpini e fece la guerra in Grecia, lo zio Quinto, fortunatamente, ma si fa per dire – ogni guerra ha pur sempre i suoi evidenti pericoli – comunque aveva scampato il terribile Fronte Russo perché sposato con una figlia nata nel 1939. Lo spettro si era allontanato di poco e riapparve con tutto il suo ghigno che gela. Infatti nell’estate del 1942, ma quando non saprei ridire, lo zio Giuliano, con le insegne del Savoia Cavalleria, fu mandato a casa in licenza. Nel bel mezzo di quei giorni di riposo coi suoi cari si affacciarono all’uscio di casa i Carabinieri, i quali gli dissero di fare subito il rientro al reggimento perché lo aspettava la partenza per il Fronte Russo aggregato alla divisione Cuneense.
Tra le foto di famiglia conservo una sua immagine di quando era nel Savoia Cavalleria. Tre siedono su di un cavallo, altri due su di un’altro, mentre tra i quattro a terra c’è lui a gambe divaricate che par fiero di quel suo essere. Fu inviata ai genitori e dietro c’è un messaggio che pare un presagio: “Vostro figlio che sempre vi ricorda. Saluti e baci. Lì 22 -7 -42- Addio.”.

Pier Giuliano Cecchi

Sull’ultimo Giornale di Barga ho letto che state cercando di realizzare un solenne ricordo di quei giovani Barghigiani che tragicamente persero la vita sul Fronte Russo durante la II Guerra Mondiale. Fate bene ed è giusto…. Che tragedia!…. A proposito, lo sai che presso le scuole Elementari di Filecchio, nella grande sala di ricreazione, è esposta un’immagine di Madonna detta del Don. Credo, anzi penserei che sia proprio da collegarsi a quei fatti. Vai a vederla; chiedi il permesso al maestro Rigali, che è il coordinatore della Scuola, vedrai che non ti crea problemi.
Così mi diceva Anita Cheloni, per anni apprezzata maestra elementare proprio a Filecchio, da poco in pensione, una mattina che la incontrai a far la spesa.
A quella sollecitazione non posi tempo di mezzo e appena giunto a casa contattai telefonicamente il maestro Rigali, il quale, con tanta gentilezza, si rese disponibile per la stessa giornata ad accogliermi alla scuola per mostrarmi quella Madonna.
Intanto, nell’attesa di andare all’appuntamento, mi sedetti a quel tavolo di casa dove ripongo fogli, libri e riviste per il vero non molto ordinatamente, cruccio di mia mia moglie che lo vorrebbe almeno un po’ meglio disposto, anche se ormai si è quasi rassegnata a vederlo così, e lì ripresi a sfogliare l’ultimo numero di Focus Storia, il quale è incentrato proprio su “L’armata italiana in Russia” con tanto di DVD. Infatti mi era tornato in mente di avervi visto, tra gli articoli dell’epopea dei nostri soldati in Russia, la storia di un’icona di Madonna che fu di tanto conforto ai nostri Alpini specialmente durante i giorni della tragica ritirata, la quale, giunta con loro in Italia, fu votivamente donata al santuario dei Cappuccini a Mestre ed oggi particolarmente venerata col nome di Madonna del Don.
Stavo pensando infatti che quella di Filecchio poteva essere una probabile copia di quella che ora stavo rimirando sulla rivista, anche perché entrambe erano appellate proprio col solito nome. La storia dell’autentica Madonna del Don, che ha del commovente, la racconteremo più avanti con le parole del giornalista di “Focus” Stefano Rossi.
Con la rivista alla mano mi recai alla scuola e lì potei constatare che le due immagini di Madonna corrispondevano a quanto avevo presagito, erano uguali, ovviamente quella della scuola era una bella riproduzione dall’originale eseguita dai Fratelli Alinari di Firenze.
Comunque l’accostarmi alla Madonna di Filecchio ha avuto pur sempre la sua emozione, particolarmente nel leggere la targhetta applicata sul vetro che la protegge: “Donata A.N.C.R.- Filecchio 4-11-1990”. Cioè donata dall’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci e l’emozione è racchiusa nel gesto e più che altro nel giorno in cui fu effettuato il dono.
Infatti mi pervase un grande senso di poesia. Sì, perchè ogni cosa accaduta, brutta o bella che sia, ancor di più se brutta, col tempo è destinata a trasformarsi in poesia. Se brutta in dolenti parole, ma pur sempre sublimate….il ricordo è poesia e nel mio caso il passato è penosa poesia legata alla memoria di mia nonna Andreina, che sino alla morte, che avvenne nel 1966, cullò nel cuore il ricordo di quel figlio, il più piccolo, che non ce la fece a ritornare da quella fredda terra tanto lontana, e del quale il sottoscritto porta il suo nome.
In quel dono vedevo e c’è poesia. Una prima tragica e duplice poesia suggerita dalla data di quel 4 novembre. La memoria di una vittoria che costò tantissime vite umane, tra l’altro vissuta nei tempi con l’epitaffio di “Vittoria dimezzata”: da una parte l’orgoglio nazionale e quello dei vittoriosi combattenti per la loro Patria; dall’altra parte il rivederli reduci, tra i quali tantissimi deturpati nel fisico da ferite e amputazioni, trattati al ritorno come dei mendicanti senza pretese.
L’altra parte della poesia nasce dall’immaginare e dal rivedere, quella più che sparuta rappresentanza di reduci della I Guerra Mondiale, alla scuola di Filecchio in quel 4 novembre 1990, giorno dell’omaggio della Madonna del Don. Sentire in quei cuori strisciare la vecchia ferita, ma pur sempre in letizia d’animo per quel contributo alla vittoria, e torno, torno tutta una schiera di fratelli più giovani, compagni per i simili patimenti, gli sfortunati reduci della II Guerra Mondiale, e loro, i vecchi veterani mai dimentichi di nessuno, nell’accenno di un “attenti”, omaggiare ora soprattutto il sacrificio degli ultimi, dei più scordati, col naturale pensiero rivolto a quell’infinita struggente mestizia delle tante mamme, e dei padri come loro, che attesero invano una buona notizia: il ritorno dei figli dal Fronte Russo, in diversi casi mariti e padri.
Nella mano tremava la Madonna del Don e sotto l’ala paterna di quei veterani medagliati, fattasi ancor più calda e accogliente di pietà condivisa, laddove stava chiuso serrato quell’orgoglio che sapeva di Carso, di Doline arse e pietrose, di monti di neve e di Piave, che ora si raffigurava nel Don, dal profondo di quell’anima, per età e saggezza così tanto vicino all’Iddio, ecco risorti quei tanti giovani morti e dispersi sul Fronte Russo a 40° sotto zero, tutti presenti a riscaldarsi all’affetto di coloro che più s’avvicinano agli avi, cioè alla terra che li generò.
Risvegliatomi da quel sogno ad occhi aperti staccai dal muro la Madonna del Don e dopo aver aperto il quadro che la conteneva ne ho fatto la foto che all’inizio dell’articolo la raffigura.
Dicevamo in precedenza che l’originale della Madonna è conservato nel santuario dei Cappuccini a Mestre e lì ci pervenne al termine del conflitto Mondiale. Ma vediamo ora perché quella sacra immagine è tanto venerata dagli Alpini e da tutti coloro che portano ancora nel cuore il lutto di quella tragica guerra.
Per ritessere le vicende della Madonna del Don, come già accennato, dalla rivista “Focus Storia”, stralciamo quanto ci racconta il gionalista Stefano Rossi: “Nel novembre 1942 alcuni alpini della 46a compagnia del Battaglione Tirano, accampati tra le rovine del villaggio di Bjelogorje, nella zona del Don assegnata alla Divisione Tridentina, gironzolavano in cerca di legna per il fuoco tra le isbe russe semidistrutte. Lì rinvennero l’icona sacra, la cui cornice era a pezzi. Colpiti dalla bellezza dell’immagine, non osarono nemmeno toccarla, mandando a chiamare il loro cappellano, padre Policarpo. Questi la prese in consegna e la custodì perché vegliasse sui suoi soldati, che cominciarono a venerarla come loro protettrice. Il sacerdote, prima di cadere prigioniero durante la ritirata, riuscì ad affidarla a un alpino grazie al quale, tra mille vicissitudini, arrivò in Italia”.
Se giungeremo a quel dovuto e duraturo ricordo di quei tanti giovani che dalla terra di Barga partirono per sacrificare la loro vita sul Fronte Russo, penserei che all’elenco dei loro nomi si unisca l’immagine della Madonna del Don.
Siamo consapevoli che la Madonna è solamente una, ma a seconda di dove ci folgora il suo raggio d’amore prende con sé il nome del luogo riassumendone la vicenda….e che vicenda!!
La Madonna del Don ci parla di guerra, con le sue infinite sofferenze e l’infinita speranza della nostra salvezza da quel gorgo di morte. Ci parla di neve, di ghiaccio, di poveri giovani sbattuti ad un destino crudele. Ci parla di parole non dette, udite nel sonno che libera. Ci dice d’amare, come in quell’ultimo sogno di un figlio che al cuore sentì aggrapparsi tutto e sciogliersi quella morsa invocando un nome, il Suo? Sì! Mamma…….. Babbo, Bimbo. Nel gelido presepe di morte.

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