Barga sulla Linea Gotica (10) – Il tragico Natale Barghigiano (sesta parte)

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Nella notte tra il 28 e il 29 dicembre 1944, finalmente, hanno fatto ritorno a Barga gli Alleati nelle vesti degli indiani, rioccupandola dopo la presa di Fornaci e Gallicano.
Le forze dell’Asse, dopo la Battaglia di Sommocolonia del 26 che aveva visto lo sfondamento della Linea Gotica con la rioccupazione del Comune di Barga, ora stanno facendo marcia indietro, sono di là dalla Corsonna e sui monti prospicenti, così riportandosi pian piano sulle precedenti posizioni.
Nel precedente articolo siamo rimasti a quando mons. Lombardi narra della notturna visita indiana al Conservatorio di S. Elisabetta, con tanto di moschetti spianati per la paura d’incontri con i tedeschi.
La notte della visita fu una delle più gelide in tutto l’inverno. Soffiava un impetuoso vento di tramontana che entrava da ogni dove del devastato Conservatorio, sollevando in cielo polveri cementizie da ogni casa distrutta o danneggiata di Barga.

Mons. Lombardi è invitato a seguire i soldati indiani nella loro attenta visita all’istituto, con lui il canonico Marcucci. Nella notte illuminata dalla luna, da una finestra si vede lassù in alto sul colle lo stagliarsi del Duomo (nell’immagine di apertura: i restauri al tetto gravemente danneggiato da almeno venti proiettili). A quei soldati, naturalmente ossessionati dall’idea di una presenza tedesca a Barga, magari nascosti in qualche edificio, corre davanti agli occhi l’immagine di un nugolo di nemici nascosti proprio dentro l’antica e vasta chiesa-fortezza, così, volgendosi verso mons. Lombardi, lo invitano a farsi guida, tutt’altro che turistica, per raggiungerla e ispezionarla nei suoi interni.

Dal libro di mons. Lombardi “Barga sulla Linea Gotica” vediamo alcuni momenti di quella visita, affascinante perché si può ancora vivere con le sue parole la sofferenza del sacerdote alla visione del disastro al tetto della chiesa a lui affidata, rovina senz’altro conosciuta, ma oltremodo toccante nella spettrale luce della luna, parimenti al presentarsi il panorama di Barga visto dal campanile:

“Frattanto si era giunti sul piazzale: la bofora ci travolgeva. Ma che spettacolo del superbo anfiteatro immerso nel plenilunio! Seguito dai soldati salii rapidamente la gradinata degli Avelli e mi diressi alla porticina laterale.
Aprii, ma subito non potei nascondere un moto di sorpresa. L’interno del Duomo mi si presentava in uno spettacolo triste e fiabesco insieme tale reso dalla luce lunare che pioveva all’interno da vasti squarci sul tetto e sezionata da travi e travicelli. Nel giuoco di luci e di ombre si aveva la sensazione di trovarsi dinanzi a immense pelli di zebra. Le tre monofore, lato Madonna (N.d.R. Altare della Madonna del Molino) assai guaste, pareva avessero innumeri occhiaie vuote.
Visitate, dissi al tenente. In quel momento accanto a me rimbombò un colpo di moschetto.[…] Capii che il colpo era stato sparato per saggiare il luogo. Veramente se i tedeschi fossero stati in Duomo non so se poi ne saremmo usciti. […] Quel colpo di moschetto è stato l’unico colpo che ho sentito in quella notte. Ed è comprensibile.
A Barga vi erano truppe che entravano e truppe che uscivano e perciò i contendenti in quella notte tacevano. Ma era un silenzio greve, pauroso, pieno di insidie”

Visitato il Duomo, con Lombardi c’era anche il can. Marcucci, gli indiani vollero entrare anche nel campanile:

Una colonna del duomo di Barga danneggiata da una scheggia di granata“Uscimmo di Duomo e traversammo il piazzale mentre il vento ci scrollava da tutte le parti.[…] Tutti illuminati da una luna che non poteva esser più chiara, mentre i tedeschi erano presso la Corsonna.

Entrammo in campanile senza bisogno di aprire la porta per la semplice ragione che lo spostamento d’aria prodotto dalle bombe aere cadute nella piazza sottostante l’aveva scaraventata nella parte opposta.

Una lampada a petrolio che avevamo con noi il tenente non volle che fosse accesa; perciò dovemmo salire al buio. Presto ci aiutò la luna attraverso un grosso squarcio nel tetto della facciata, ma che fa parte integrante del campanile. Quello squarcio ci giovò assai per non romperci il collo per le macerie che ingombravano la scala.

All’orologio ci fermammo […] mentre il Can. Marcucci si fermava a quel piano, proseguii la salita fino al castello campanario. Lassù non si stava in piedi e i soldati filarono via senza ammirare spettacoli.

Ma io, giacché la sorte me ne aveva data l’occasione, mi trattenni un poco per contemplare dall’alto la mia disgraziatissima Barga! Barga: la bella e graziosa Barga!

E lo spettacolo è stato riservato a me solo; e ringrazio Dio che a me, sacerdote e parroco, ha dato la grazia, in una notte decisiva per Barga, di esser presente, in tutto il senso della parola, nel mio Duomo dinanzi a S. Cristoforo e su in alto, accanto a ciò che i barghigiani riguardano con particolare gelosia, cioè le campane; e dalla mia sede naturale contemplare la sventura di Barga.

Chi è che non tiene Barga presente Barga come una bella signora mollemente adagiata sul suo colle? Ancora era adagiata immersa nella luce lattiginosa del plenilunio; ma la sua bellezza?[…]

Nella quasi totalità i tetti erano squarciati e specialmente i palazzi e le case colpite dagli aerei sembravano, colle loro rovine, delle vaste bocche orribilmente tagliate ed atteggiate ad un ghigno orrendo.

E la luna, la poetica romantica luna col giuoco di luce e di ombre in mezzo a tante rovine aumentava la tragicità della scena.

Spettacolo questo che mai dimenticherò. La visione di “questa” Barga come mi si è presentata nella notte fra il 28 e il 29 dicembre 1944, nella storia di Barga, rimarrà unica come unico è stato il suo spettatore!”

Come già detto nei precedenti articoli, al Conservatorio era allestito uno dei rifugi dei barghigiani, altro nella vicina casa Salvi, particolarmente curati dalla propositura, mentre un terzo centro di “raccolta” era all’Ospedale San Francesco, dove con quel poco a disposizione di medicinali e viveri in molti vi ricorsero. Per meglio capire, e farci un’idea della vita a Barga, ricorriamo alle parole di Maria Vittoria Stefani, pubblicate in un articolo per La Nazione del 15 giugno 1984, a sostegno della mostra “Barga sulla Linea Gotica e Dintorni” allestita dal Gruppo Ricerche Storiche di Barga alla scadenza del 40° anniversario:

“Ai rimasti, vecchi, bambini, infermi e donne, restarono però due punti di riferimento: la propositura […] e l’ospedale dove, oltre agli ammalati e ai feriti, venne accolta e assistita buona parte della popolazione.
In questo pluridecennale anniversario del periodo più nero della nostra storia, ritengo doveroso ricordare chi non abbandonò mai il proprio posto di responsabilità e cioè il proposto Lino Lombardi, al quale dobbiamo anche la più fedele e dettagliata cronaca di quel periodo e il dottor Lorenzo Verzani, direttore dell’ospedale.”

Per meglio inquadrare l’importante ruolo del dottor Verzani all’ospedale di Barga al tempo della Linea Gotica, dal necrologio scritto da Bruno Sereni nel1978 per Il Giornale di Barga stralciamo quanto segue:

“Con l’avvicinarsi del fronte a Barga, la vita all’interno dell’ospedale divenne drammatica: mancavano i medicinali, scarseggiavano i viveri; le comunicazioni col fondo valle diventavano sempre più precarie. La presenza dei tedeschi e la guerra dei partigiani sui monti l’aggravavano ancor di più. In quel triste periodo che precederà la liberazione di Barga, il dott. Verzani ebbe il confortevole aiuto del presidente Cabrelli che cercò con ogni mezzo di rendergli il compito meno arduo possibile. Erano i tragici mesi in cui l’ospedale, consenziente il presidente, si curavano i partigiani feriti e si facevano le radiografie ai prigionieri inglesi.”

Tornando sui nostri passi ecco arrivare la mattina del 29 dicembre; i due schieramenti militari sono quasi tornati sulle posizioni precedenti al giorno 26. Su Barga riprende un incrociato cannoneggiamento dell’Asse.

Timorosamente alcuni fuggiaschi cominciano a far ritorno a Barga. Hanno il cuore gonfio di paura e colmo d’apprensione per la sorte toccata alle loro case e alla Città. Hanno sentito narrare le cose più orribili: Barga è stata rasa al suolo! Ovviamente è la classica voce che parte con una misura per poi arrivare all’esagerazione, comunque vedranno da loro cosa è successo a Barga dopo la Battaglia di Sommocolonia. Dal libro “Barga, Paese Come Tanti” di Bruno Sereni del 1947 stralciamo un brano molto efficace a descrivere lo stato d’animo dei primi barghigiani che fecero rientro in Città:

“Appena imbucarono il viale dei platani (N.d.R. sul Fosso) cominciarono a rendersi conto delle devastazioni di Barga. Un’ala del fabbricato Nardini era caduta giù in seguito ad un incendio, appiccato dai tedeschi per distruggere fusti di benzina e quintali di farina appartenenti all’A.M.G.. Davanti a Porta Reale sostarono indecisi se proseguire fuori porta per la via di circonvallazione o passare dentro. Tutta la via di Mezzo era ingombra di macerie, di fili del telefono aggrovigliati, di pezzi d’imposte, di vetri frantumati. Il paese era deserto, ma forse nei fondi qualcuno c’era ancora. Piazza dell’Aiaccia presentava pure un aspetto desolante, ma più raccapricciante era la piazza del Comune, quella della posta con il palazzo Balduini sventrato da una bomba di aereo.[…]
Da porta Reale a Porta Macchiaia. Lungo questo tragitto: case sventrate, scoperchiate o soltanto ferite da grossi calibri di granate.
Scesero per la scesa di piazza. Il Giardino presentava l’aspetto di un quartiere terremotato. In qualche edificio il fuoco non s’era ancora spento.
Barga non era rasa al suolo come dicevano laggiù a Fornoli, ma le ferite infertele nelle ultime azioni di guerra erano tali che molte delle sue belle caratteristiche per parecchi anni non si sarebbero più viste.”

Ancora oggi ci sono delle testimonianze del passaggio della guerra a Barga: la Linea Gotica. Infatti, sopra alle stanze della memoria che sono accanto a piazza Garibaldi, vicino a palazzo Balduini, si può ancora vedere ciò che rimase della bombardata casa Colognori, da allora mai più ricostruita, se non a basso con la ricostruzione delle Stanze della Memoria.
Per chiudere questa sesta parte de’ “Il tragico Natale Barghigiano”, mi piace riportare il testo di una lapide che proposi al Comune, ovviamente mai eseguita, ispirata dalla personale e costante visione di quelle rovine, che hanno accompagnato le scorribande di noi ragazzi abitanti nel centro storico di Barga. Perché una lapide? Semplicemente per rendere edotto chiunque di cosa siano quelle rovine e dato che volutamente, nonostante la costruzione delle Stanze della Memoria, sono state lasciate lì, cosa vogliono dire:

il muro citato nello scritto - foto Massimo PiaBarga sulla Linea Gotica: ottobre 1944-aprile 1945.
La guerra già in terra
Dall’azzurro cielo di Barga
Calò ancor più rabbiosa
Nei giorni 27 e 28 dicembre 1944.
Questo muro
Un dì forte parte di un nido d’amore
Così restò:
Straziante, silente parola all’infinito
Dall’uomo invocante l’Iddio.

Nel prossimo, ultimo capitolo de’ “Il Tragico Natale Barghigiano”, si tornerà ancora a Sommocolonia per vedere da vicino quel paese, per il quale la Repubblica Italiana dovrebbe prendere in seria considerazione l’idea di consegnargli ufficialmente la Bandiera Italiana. Questo per la sofferenza patita i giorni 26, 27 e 28 dicembre 1944, ma anche per esser stato quel castello, sotto il comando del barghigiano Capitan Matteo di Pieruccio Bartoli alias Il Galletto, eroico baluardo a difesa della Repubblica Fiorentina, ultimo canto dell’Italia libera prima di soggiacere completamente allo straniero. Gesta di un piccolo borgo montanino che si compendiano anche nell’Inno d’Italia, laddove si incita ogni italiano a emulare Francesco Ferrucci, l’ultimo e il più importante difensore della Repubblica Fiorentina, morto per vile mano a Gavinana il 3 agosto 1530, mentre con il suo esercito si recava all’estrema difesa di Firenze assediata dagli imperiali: “Ognun di Ferruccio ha il cuore e la mano”. (continua)

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