Tace l’orologio pubblico del duomo

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Viviamo un tempo in cui siamo distratti da tante cose, talmente da non renderci conto immediatamente di ciò che intorno a noi è mutato. Ma ad un certo punto non può continuare a nascondersi quello che fino a ieri ci ha piacevolmente accompagnato nel nostro andare nei giorni; percepiamo allora che qualcosa d’amichevole ci manca. Sì!… da qualche tempo il nostro orologio pubblico tace e il suono delle ore non scende più dal campanile del Duomo di Barga.Qualcuno, forse lontano da certe sensibilità, potrebbe pensare e poi dire, dato che tutti ormai abbiamo l’ora a portata di mano, o meglio di polso, che quel suono ormai ha fatto il suo tempo e concludere che alla fin fine ne potremmo fare anche a meno. Io soggiungo soltanto che tante volte quell’ora sonora, nonostante avessi l’orologio al polso, mi ha colto attardato in chiacchiere e affrettato alla meta. Altre volte, dimenticato il mio orologio a casa e trovatomi solo, ho aspettato ansioso il battere dell’ora pubblica.
Ma al di là del fatto soggettivo, che comunque penso sia comune a tantissime persone – nel senso di intendere l’ora pubblica quale utilità per tutti – quel suono ha anche un valore che travalica l’ovvio e va oltre ogni razionalità. Infatti quella plurisecolare funzione – colonna sonora che accompagna quegli elementi architettonici e artistici di Barga che vengono da lontano – ha la forza di unire tutti nella consapevolezza di appartenere, appunto, ad una storia che continuerà ancora a scorrere tenendoci saldamente attaccati a quelle radici che faranno sempre rinverdire ogni foglia: dal passato al presente, fino al tempo che verrà; in quel buon sentimento di sempre per le nostre cose che si snoda e si scandisce, ora per ora, quarto per quarto, nell’improvviso e ritmato suono di quelle campane.
Dunque urge il ripristino della pubblica ora sonora; dell’orologio meccanico che è alloggiato sul campanile del Duomo, il quale, collegato con delle lunghe corde metalliche a dei martelli prossimi alle tre campane, allo scadere dei quarti delle ore, poi dell’ora piena, gli dà l’impulso per annunciarli con il seguente metodo: alla battuta dei quarti d’ora, che avviene in simultanea sulla campana mezzana e la piccola, segue l’ora di riferimento battuta sulla grossa; mentre l’ora intera è anticipata dal compimento e dal suono, sempre sulla mezzana e piccola, dei quattro quarti dell’ora precedente, a cui segue la battuta della nuova ora sulla campana grossa. Dopo due minuti si ha la “rieplica” dell’ora nuova annunciata in precedenza, questa volta suonata nel suo valore unicamente sulla campana grossa in una sorta di assolo.
Resta da dire che l’attuale metodo dell’annuncio delle ore si basa sul sistema cosiddetto “alla Romana”, cioè le ventiquattro ore del giorno sono divise in quattro parti di sei ore ciascuna: mezzanotte, nella “rieplica”, è battuta dal martello sei volte sulla grossa, così le sei di mattina, mezzogiorno e le sei di sera.
Si è detto poc’anzi di una plurisecolare storia dell’ora pubblica a Barga e a questo punto pensiamo che a qualcuno possa essere sorta la curiosità di saperla. Per appagare la giusta esigenza, senza troppo dilungarci, diremo che in Barga si incominciò a sentire il bisogno di avere un orologio pubblico nel 1461, tempo in cui simili “ordigni” incominciarono a diffondersi in tutta l’Italia.
Giova ricordare che in antico il passare del tempo si misurava col suono delle campane della chiesa riferito agli uffizi divini, classicamente distinguibili (ma nei tempi più antichi variabili nel numero) in “Prima” alle sei, “Terza” alle nove, “Sesta” alle dodici, “Nona” alle quindici, “Vespro” alle diciotto e poi “Compieta” alle ventuno. Inoltre i primi orologi, vere rarità, si incominciarono ad usare, col sistema di collegamenti a campane, sul finire del 1300, il primo in Inghilterra, e man mano andarono diffondendosi specialmente nelle Comunità più facoltose, per poi divenire sempre più usati anche in centri di minore floridezza economica. L’utilizzo dell’orologio meccanico basato sull’uso delle ore cambiò il modo di intendere il giorno, infatti si passò dal tempo della Chiesa a quello del mercante, consistente nel dividere il giorno in ventiquattro ore, e questo avvenne essenzialmente nel corso inoltrato del 1400, anche se l’uso di basarsi sul tempo della Chiesa durò ancora per lungo tempo.
Come detto l’idea di avere un orologio pubblico a Barga giunse in seno al Consiglio della Terra nel 1461; si parlava di un “Oriolo” e pensiamo si trattasse di ordinarlo a qualche fabbro specializzato da collegarsi alle campane, o ad una campana del campanile del Duomo di Barga. Se ne discusse, però non si giunse a niente e non siamo in grado di indagare quei tempi perché le delibere del Comune, dopo quel 1461, per qualche anno cessano, per riprendere a documentarci sulla storia di Barga nel 1465, anno in cui si riparla dell’oriolo, ma non fu fatto, poi si va al 1470, anche qui qualche anno, e continuativamente dal 1475.
Va detto che le delibere del Comune di Barga iniziano con qualche anno della fine del 1300. Per quasi tutto il 1400 sono frammentarie e suddivise in qualche anno, per divenire continue solo col 1475. La dispersione di quei testi avvenne in tempi a noi sconosciuti e tra i motivi, oltre la possibile consunzione, va ricordata la noncuranza e l’abbandono a cui furono soggetti. La raccolta dei pochi anni del 1400 la si deve alla mano di un trascurato personaggio di Barga che meriterebbe il suo nome scritto in lapide, il Maire, ossia Sindaco del tempo napoleonico, Francesco Bertacchi. Questi, appassionato alla storia di Barga, nel momento del suo ingresso nell’Ufficio, subito volle prendersi a cuore la sorte del vasto archivio storico, forse sapendo e comunque accorgendosi che era in uno stato deplorevole, con dei fogli, al suo occhio importanti, che giacevano riposti ammassati in uno stato preoccupante, buttati là in un angolo, dimenticati e soggetti ad essere scambiati per cartaccia.
Li raccolse studiandoli attentamente e poi li classificò, collocandoli anno per anno a comporne l’odierna cartella che porta ancora la sua calligrafia. In questi anni da poco passati, quelle decine e decine di pagine di deliberazioni comunali, così raccolte dal Bertacchi, hanno visto anche l’opportuno restauro.
In quegli anni del Bertacchi l’archivio del Comune iniziò ad essere considerato per il suo vero valore e, con varie cure, ad esser maggiormente proiettato verso il futuro.

Tornando alla storia dell’oriolo abbiamo detto che nel 1461 e 1465 non si trovò l’accordo per averlo. Ma l’argomento dovette appassionare molto i Barghigiani, specialmente quelli più avveduti, tanto da indurli a non abbandonare l’idea, anzi cullandola ancora per cinque anni, fino a che non trovò il giusto paladino in Giovanni Santini, uno dei sei Capitani di Parte Guelfa incaricati nell’ufficio alle spese generali del Comune, il quale, l’11 novembre 1471 si alzò in Consiglio e perentoriamente disse rivolto a tutti i presenti: “…che si metta il partito se si vuole l’oriolo o no…”. Dato il voto segreto a fave nere e bianche, tra i 22 presenti, dal bossolo fu estratta un sola fava bianca contraria.
Il Santini, visto il successo della sua proposta, anche per non tornare ad un decennio di indugi, subito si rialzò e propose un successivo partito da sottoporsi ancora al voto, consistente nell’idea di una commissione di tre uomini che seguisse la cosa, i cui nomi li dichiarò anticipatamente ed espressamente per idonei: Michele Nutini, Manfredino Truffardo e Toto di Pieruccio. Questi furono accettati con 20 fave nere ed ebbero così tutta l’autorità che aveva il Comune per condurre a termine la questione dell’oriolo.
Circa il costruttore del primo oriolo, da tempo sono all’esame dei documenti che vorrebbero condurci ad un barghgiano della famiglia dei Mazzanghi; mentre il primo “temperatore” – colui che accudiva al suo buon andamento e all’ovvia carica – fu Pietro Bastaio, altro barghgiano che dal cognome arguiamo discendesse da una famiglia nei tempi impegnata alla costruzione di basti per cavalli, asini e muli.
Da qui ha inizio la lunga storia dell’oriolo del Duomo di Barga che, posto com’era, lassù sul campanile collegato alle campane, quindi soggetto ai fulmini, nel corso dei secoli ha avuto tantissimi problemi e ripetuti interventi.
Gli attuali parafulmini furono collocati sul campanile e sul Duomo solo nel corso del 1900.
Ovviamente quel primo “marchingegno” durò sino agli inizi del 1500, per poi essere sostituito all’incirca una volta al secolo, sempre dopo le diverse rattoppature che i fabbri locali e mani più esperte potevano apportare ai diversi congegni soggetti all’usura.
In genere il buon andamento dell’oriolo lo si affidava, appunto, ad un fabbro capace di fare i vari lavori di manutenzione che di volta in volta vi potevano occorrere.
Agli inizi del 1600 si ritrova tra le delibere del Comune la decisione di porre l’oriolo all’interno di un “cassone”, un armadio, perché i ragazzi nel salire a suonare le campane andavano continuamente a stuzzicarlo. Poco dopo s’apprende che il posto dei ragazzi lo prese un fulmine, il quale fece dei danni tali da indurre il Comune a dei lavori radicali che coinvolsero anche il campanile.
Il suono delle ore nel 1500 lo si volle alla “fiorentina”, ossia di dodici ore in dodici ore e per questa richiesta si dovette intervenire sul “marchingegno” restandoci ignoto quale fosse il suono precedente, per poi passare, molto più tardi, al suono alla “romana” diviso in sei ore. Ancora oggi il suono delle ore a Barga è alla “romana”, però con l’aggiunta dello scandirsi di ogni quarto d’ora.
Per i tempi più lontani ci pare di vedere i nostri avi, sparsi qua e là nei poggi solivi e intenti alla campagna, tutti inorecchiti all’ora del campanile, a quanto poteva mancare al suono della campana del mezzogiorno che li avrebbe condotti alla parca mensa; come alla sera lo era Giovanni Pascoli sulla sua altana, nell’attesa che quel suono gli venisse col vento e gli desse la sensazione giusta per cogliere nel fondo dei suoi sentimenti quella dolcezza più pura che, tradotta in parola, parlasse a tutti in ricordi “di voci di tenebra azzurra”, poi raccolti nella lirica: “L’Ora di Barga”, che vogliamo, con Lui, continuare a sognare ogni qualvolta la udiamo.

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