Dodici giorni fa il governo italiano ha cominciato a respingere i clandestini che si imbarcano dalla Libia per raggiungere l’Italia. Erano fermi nelle acque internazionali del mediterraneo e sono stati riportati a Tripoli dove attualmente le istituzioni locali sono in crisi a causa della presenza di 500 clandestini rifiutati dall’Italia. Nonostante l’ultimo “rimpatrio” forzato sia avvenuto il 10 maggio scorso il mondo politico è sempre in fermento per questa situazione. Maroni, il ministro dell’Interno ha promesso che i respingimenti continueranno nonostante il fatto che Tripoli abbia richiesto con forza un rallentamento in modo che le istituzioni locali si possano organizzare meglio all’assistenza.
I respingimenti sono cominciati il 7 maggio con 230 persone trasportate in Libia. Poi sono continuati con 80 clandestini che sono arrivati fino alla Sicilia. Il terzo e ultimo fatto era quello del 10 maggio con circa 200 persone riportate sulle spiagge libiche.
Da registrare comunque che nell’ultima settimana un gruppo di 69 persone, respinte da Malta, sono riuscite ad arrivare in Sicilia, a Porto Empedocle.
Per quanto riguarda la situazione di Lampedusa, attualmente in tutti i centri d’accoglienza gli extracomunitari ospitati sono solo trenta. L’Italia ha perfino mandato alcuni uomini delle proprie forze armate in Libia per aiutare nella sorveglianza delle coste del paese africano sperando che, collaborando insieme, possano bloccare le partenze.
Nonostante questo, i rapporti tra i due paesi rimangono abbastanza tesi, come la vita politica in Italia a causa della decisione di rimandare i clandestini in dietro. La scorsa settimana dopo l’allontanamento del primo gruppo, l’Onu aveva protestato dichiarando che il comportamento dell’Italia era contro i diritti umani. La Russa, il ministro della difesa italiana, ha risposto alle accuse dicendo che l’Unhcr “non conta un fico secco”. Le parole di La Russa sono state stigmatizzate per i toni irrispettosi verso l’Onu e ciò ha accesso il dibattito in tutta l’Italia. Altri ministri del Pdl, tra i quali il ministro degli esteri Frattini, hanno cercato di addolcire le parole di La Russa spiegando che “Le organizzazioni internazionali vanno sempre rispettate anche quando sbagliando, e nel giudicare il governo sbagliato.” Dall’altro lato il Pd prende la parte dell’Onu pensando che il governo italiano stia facendo brutta figura davanti agli altri paesi dell’Ue e del mondo intero a causa di questa politica d’isolamento nonché dei commenti fatti da alcuni ministri. D’Alema ha riassunto la situazione dal punto di vista della sinistra commentando “Il governo non combatte davvero l’immigrazione clandestina e viola i diritti umani e le convenzioni internazionali.”
Addirittura le forze dell’estrema sinistra paragonano La Russa a Mussolini considerando i suoi metodi alla stregua di quelli del dittatore fascista.
Alcuni giorni dopo, il 21 maggio, la regione Toscana ha organizzato il convengo “La cooperazione internazionale nelle aree di crisi” presso l’Istituto Agronomico per l’Oltremare di Firenze precisando che prenderà l’impegno di “garantire a tutti i diritti fondamentali delle persone.”. Questo impegno continua anche nella nostra provincia, sotto forma del progetto SPRAR (Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati). Questa iniziativa concerne l’ospitalità, l’accoglienza e l’integrazione dei rifugiati o dei richiedenti asilo e attualmente si trovano 15 rifugiati nei comuni di Gallicano, Capannori e Castelnuovo Garfagnana. La maggioranza d’essi sono d’origine africana e sono tutte persone che hanno bisogno di asilo politico per motivi umanitari o sussidiari. “La Provincia di Lucca, che si riconosce nei valori nella solidarietà e della coesione sociale – dice il presidente, Stefano Baccelli – prosegue, anche quest’anno, il suo impegno per garantire la piena dignità di ogni essere umano e fa dell’inclusione e della integrazione un segno di qualificante di civiltà”
Tag: maroni, italia, libia, clandestini
emilio bertoncini
22 Febbraio 2013 alle 12:42
Re: Un pugno di pecore per un grande sogno
L’avventura di cui parla questo articolo parte da uno zero relativo che è quello di una famiglia (genitori, nonni, zii) che mettono a disposizione ciò che tecnicamente si definisce “patrimonio fondiario”. Esso è frutto della storia pregressa della famiglia ed è una fortuna che esista. Non sarebbe niente, però, senza una “vision utopica” propria di chi con sette pecore intende coltivare il sogno di un’accoglienza fuori dagli schemi convenzionali e capace di riportare l’agricoltura in un territorio dal quale questa attività è quasi scomparsa.
Partire da zero è più difficile solo se c’è tale visione, altrimenti le proprietà terriere (sia chiaro che nel caso in esame si parla di qualche campo) rischiano di essere un imbarazzo più che una risorsa.