Tutta colpa di Giuda – Una commedia in musica

-

TUTTA COLPA DI GIUDA – UNA COMMEDIA CON MUSICAdi Davide FerrarioItalia 2008 —-La VI, blocco A del Carcere Le Vallette di Torino è una sezione modello: ladri, spacciatori, rapinatori di farmacie, un uxoricida, “tutta gente molto a posto” secondo il cappellano don Iridio (Gianluca Gobbi). È proprio lui a incaricare la giovane regista serba Irena (Kasia Smutniak) di tenere un corso di teatro ai detenuti, e successivamente a suggerirle di allestire un vero e proprio spettacolino per la Pasqua, argomento: la Passione di Cristo. A questo punto però Irena, agnostica che della religione mantiene una distante e vaga idea come oppio dei popoli, si scontra con una difficoltà insormontabile: ogni carcerato rifiuta di interpretare il ruolo di Giuda, l’infame per eccellenza. Come fare? Si può pensare una Passione senza tradimento e, di conseguenza, senza sofferenza, croce e morte? Gesù voleva davvero seguire la volontà del Padre suo che l’ha condotto al Calvario?
Spettatori passivi (ma non troppo) sono il pragmatico direttore del carcere Libero (Fabio Troiano) e la decisa suor Bonaria (Luciana Littizzetto).
Ferrario, ateo convinto, ha voluto fare nelle sue intenzioni un film sperimentale, originale nel contesto dle cinema italiano, non ‘sul’ carcere, bensì ‘nel’ carcere, ponendosi poi di fronte ai grandi interrogativi riguardanti la religione, la fede, le sue ‘catene’.
Se la parte riguardante i dubbi spirituali risulta molto più sfumata, limitandosi a battibecchi senza capo né coda e ad espedienti abbastanza triti e controbattibili, l’aspetto carcerario risulta invece decisivo nella trattazione della pellicola.
Ferrario ha girato nella sua Torino, nel carcere Le Vallette, sordo blocco di ghisa e terriccio dalla cui cima il direttore ogni giorno si ferma a vedere, sarcasticamente, la distesa delle Alpi, di Superga, della pianura. Chi invece sta dentro a quel quadrato delineato da mura e fili della corrente può solo osservare un cielo plumbeo, triste e limitato; e proprio chi lì vive è diventato protagonista del film. Ferrario ha infatti assoldato i venti detenuti e il personale della sez.VI blocco A come interpreti, facendoli non solo recitare (e, bisogna dirlo, meglio degli attori protagonisti) ma anche danzare e cantare a suon di musical. È una commedia musicale anomala, senza vere e proprie canzoni interpretate; è un film anomalo, mescolando la fiction della storia con immagini dal tono documentaristico sulla vita del carcere. L’aspetto di cinema verità gli conferisce senza dubbio un pregio rispetto alla trama un po’ fantasiosa, animata da personaggi improbabili e detestabili in un contesto così crudo: in particolare la giovane regista neo hippie che pare più impegnata a perseguire il trionfo di un proprio ideale auto compiacente e artistico che a fare il lavoro cui si è preposta.
La condizione carceraria non è presentata come inumana, ma come una non vita: la prima preoccupazione che il direttore infatti esprime alla giovane regista è puntuale: “Non me li faccia sentire troppo vivi”. Sembra a tratti di sentire degli echi di Foucault; c’è una appena accennata ma pesante critica all’incapacità dell’istituto di dare un’effettiva rieducazione ai detenuti, mantenendoli piuttosto in una rigida griglia di orari e abitudini non tesa al recupero ma a un lunghissimo e passivo scorrimento del periodo di pena.
Il tutto è accompagnato da una splendida ed originale colonna sonora in cui spicca con decisione il suono di un’armonica, strumento da sempre inconsciamente collegato alla condizione dei prigionieri.
La difficile e lunga gestazione della pellicola è dovuta al fatto che, al momento delle riprese, l’indulto dell’allora ministro Mastella aveva svuotato la sezione e costretto così il regista a sospendere momentaneamente i lavori.

Tag: , ,

Lascia per primo un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.