Revolutionary Road

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REVOLUTIONARY ROADUSA, GB 2008di Sam Mendes –Dieci anni fa l’opera prima di Sam Mendes scatenava una ridda di polemiche: quel celebrato, discusso film era American beauty e in questo suo nuovo lavoro il regista ne riprende in parte le tematiche.Anni ’50. Al numero 5 di Revolutionary Road, verde periferia americana, vivono Frank (Leonardo Di Caprio) e April Willard (Kate Winslet), annoiato impiegato lui, casalinga triste lei, due figli piccoli; famiglia amata e considerata “speciale” da tutta la comunità sin da quando sette anni prima i due coniugi, allora amanti spensierati e girovaghi (aspirante attrice lei, in cerca di sé stesso lui) si erano lì installati.
L’ottima opinione del vicinato è però tanto radicata ed entusiasta quanto lontana dalla realtà: il rapporto tra marito e moglie è ormai logoro e i due trascorrono il tempo a recriminarsi vicendevolmente le occasioni perdute e lo squallore della loro esistenza piccolo borghese. Il giorno del trentesimo compleanno di Frank, April gli presenta quella che può essere la loro ultima occasione: fuggire, andare a vivere a Parigi cosicché lei possa lavorare e lui scoprire cosa veramente voglia fare nella propria vita. La riluttanza iniziale di Frank è ben presto spazzata via da un febbrile entusiasmo: la prospettiva del viaggio e di una nuova vita, nonostante l’ostilità di amici e colleghi a tale scelta, fa rifiorire il loro rapporto, la stima reciproca, l’amore e l’affermazione personale.
Ma due elementi si frappongono ai loro progetti: a Frank viene offerto un nuovo, ben remunerato posto in azienda, a April scopre di essere incinta del terzo figlio. Nonostante le pressioni della giovane, Frank impone la propria mediocre crudeltà sulla gioia della moglie: non andranno a Parigi, potranno essere felici lì, forti del loro legame, per sempre in Revolutionary Road. Ma a quel punto anche lei ha una novità per il marito: non lo ama più.
La pellicola è stata principalmente sponsorizzata come reunion della coppia di Titanic Di Caprio-Winslet a dodici anni di distanza, ma è molto di più: un film bellissimo, profondo, sofferto, che rapisce lo spettatore e ne mantiene sveglia l’attenzione. I due interpreti sono eccezionali e ricchi di sfumature: Di Caprio dà vita a un personaggio imbruttito, mediocre, detestabilmente attaccato ad un lavoro che odia, ad una famiglia che gli è estranea, ad una squallida routine borghese che lo fiacca; insensibile alle sofferenze della moglie che giudica solo sterili isterismi, ha tanta paura di ritrovarsi faccia a faccia con sé stesso, con gli interessi che non ha mai potuto maturare, con le alte, fallite aspirazioni della sua giovinezza da preferire di sopravvivere con un impiego ereditato dal padre che non gli porta nessuna soddisfazione, e convincersi che è quello che lui deve fare nella propria vita: portare il pane in tavola, mantenere la famiglia e quella splendida casa, incatenando al suo progetto la moglie anche contro la sua volontà. Difatti April è un personaggio diametralmente opposto: la vera anima del film, bella, splendida, vibrante, decisa, irrequieta. Da giovane ha studiato con grandi speranze recitazione, ritrovandosi in quella miserevole provincia a fare spettacoli amatoriali; si è rassegnata (o meglio, non si è rassegnata) al ruolo di casalinga che la costringe tutta la giornata in casa; è una donna forte, che vuole vivere e nonostante tutto non ha mai abbandonato la fiducia in un futuro diverso. Il rapporto tra i due è altalenante ed ambiguo: all’entusiasmo giovanile (vediamo alcuni flash back sull’inizio del loro rapporto) dei due fidanzati sognatori e dinamici, subentra la sistemazione nella cittadina di provincia (strade di villette a schiera, boschetti di campagna da vero cliché) e la lenta, dolorosa consapevolezza della finzione in cui vivono, ritirati lontano dai loro reali progetti. A questo punto esplode l’incompatibilità tra i due: lei è convinta che con coraggio si possa cambiare, voltando le spalle alle ridicole regole che governano la società, lui crede invece che, proprio in nome di quelle regole, sia tenuto ad un’esistenza di casa, lavoro ed impegno (emblematico è il punto di vista di lei, soffocata dalle mura domestiche e da un ambiente estraneo: “Solo perché mi hai messa al sicuro in questa trappola credi di potermi obbligare a provare quello che tu vuoi che io provi?”). Eppure, nonostante i dissapori, sembra che i due non siano in grado di rinunciare l’uno all’altra, all’idea che insieme potranno sempre tentare di risalire la china: è presente la dolorosa consapevolezza del logorio del loro rapporto, ma tantissime sono le speranze, i tentativi di ricominciare da capo; tentativi che si infrangono irrimediabilmente e drammaticamente contro la mediocrità, la rassegnazione ad una vita già scritta, che spingeranno April ad un ultimo, folle, coraggiosissimo gesto. Questa società che non ha niente da offrire oltre l’apparenza, conservatrice e moralista, chiusa, fatta di segreti, cose non dette, giudizi non espressi è ben esplicata dagli emblematici (anche se un po’ didascalici, come didascaliche sono le scene che mostrano spesso Frank camminare nella stessa direzione di una folla omogenea e fotocopiata) personaggi di contorno, tristi figurine di un’America benestante e giudiziosa, in cui la falsità e la crudele razionalità dei “normali” è messa a nudo dal personaggio figlio dei vicini ricoverato in un ospedale psichiatrico: “Tanti sono disposti a vedere il vuoto; sono pochi quelli che hanno il coraggio di riconoscere la disperazione”. La sceneggiatura attenta, crudele, estremamente curata (il film è tratto dall’omonimo romanzo di Richard Yates) è un enorme punto di forza, assieme ad una delicata e semplice colonna sonora.

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