Sette anime

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SETTE ANIMEUSA 2008di Gabriele Muccino – Per ricostruire l’ultimo tentativo di Muccino di sfondare all’estero bisogna partire dal finale di questo intricato film.Will Smith interpreta Ben Thomas (o Tim Thomas? perché a complicare le cose c’è anche un furto d’identità), un uomo che vive col fantasma di un incidente automobilistico da lui provocato (pur involontariamente) in cui persero la vita sette persone. La sua missione è quella di “redimersi” trovando altre sette persone a cui salvare l’esistenza donando loro i propri mezzi economici, ma soprattutto i propri organi. In che modo? Con il suicidio. Ma a complicare le cose c’è una sua futura ricevente, Emily (Rosario Dawson), giovane cardiopatica di cui si innamora, lacerato dal dubbio: rinunciare alla sua missione (e di conseguenza alla salvezza dell’amata) o ai suoi sentimenti.
La trama così esposta è lineare, ma è bene conoscerla per non perdersi nel caotico e fintamente ricercato intreccio originale. La sconclusionata esposizione nuoce enormemente alla pellicola: non si sarebbe perso nulla in una ordinaria narrazione, tanto meno il nobile messaggio (la donazione degli organi) che arriva invece al termine del film, tanto tardi da sminuire l’apprezzamento per aver trattato questa sensibile tematica; ciò che crea ancor più disagio è l’ipocrisia e la finta ricercatezza dell’intreccio, che appare più fatto per narcisismi personali che per amore cinematografico.
Il tema della donazione degli organi su cui verte il film è indiscutibilmente importante. Ma sarebbe molto più utile un’aperta campagna di sensibilizzazione ed informazione, piuttosto che un oscuro film in cui il messaggio è vergognosamente ricoperto dalle patetiche note di autocompiacimento del regista e del primo attore.
Muccino e Smith avevano realizzato una pellicola stupenda, piena di amore, dignità e speranza che era La ricerca della felicità. Con la loro seconda collaborazione sono riusciti a negare i sentimenti che avevano tanto brillantemente affermato nella precedente: non esiste amore se non quello che il protagonista nutre per sé (anche il soccorso che porta agli altri non deriva tanto da una fraternità consapevole quanto da un percorso di espiazione macchinoso), non c’è dignità nell’atteggiamento di Thomas che decide deliberatamente chi non e chi merita di avere il suo aiuto, e non c’è minima traccia di speranza poiché tutto è in conclusione finalizzato alla morte del protagonista.
Anche la storia d’amore che nasce tra il donatore e la malata è resa prevedibile dalle scelte del regista (così come il modo in cui Thomas si suiciderà) e priva di sincerità, spontaneità: gli interpreti pessimi non hanno fatto altro che contribuire all’impressione che questo film sembri un passo falso nei loro curricula (impressione confermata dal fatto che nei mesi scorsi non si fosse avuta la minima notizia né battage pubblicitario sulla preparazione del film).
Sceneggiatura, aspetti tecnici e colonna sonora sono da bocciare.
In conclusione, la cosa che lascia più amareggiati da questo lavoro sono le modalità ipocrite e banali (della serie: basta che se ne parli) con cui è stata trattata una tematica tanto terribile quanto necessaria come quella della donazione degli organi; al di là della forma, nella speranza che il messaggio sia comunque arrivato in porto, attendiamo l’imminente rientro di Muccino dall’America, in previsione del tanto atteso sequel de L’ultimo bacio, che otto anni fa lanciò il regista.

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