La duchessa

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LA DUCHESSAUSA – GB 2008di Saul Dibb – “La duchessa”, biografia romanzata a firma di Amanda Foreman a cui è ispirato il film, attinge a piene mani alle cronache mondane inglesi del Settecento, concentrandosi sul bizzarro personaggio di Georgiana Spencer, quinta duchessa di Devonshire (Keira Knightley). Donna indiscutibilmente affascinante ed arguta, Georgiana è spinta dalla madre (Charlotte Rampling) a sposare giovanissima il duca William (Ralph Fiennes), uomo gelido incapace di ricambiare i sentimenti della sensibile moglie. Delusa e ripetutamente tradita, maltrattata dal consorte perché “incapace” di generare il tanto atteso erede maschio, Georgiana si rifugia nel mondo delle feste e dei salotti dell’aristocrazia londinese, destando scandalo per i suoi aperti appoggi politici al partito dei whigs e per una vita barcamenata tra moda e gioco d’azzardo; ma l’appagamento
mondano e il protagonismo di cui la ragazza gode in società nascondono un’infernale prigione familiare in cui è costretta a condividere il palazzo coi figli naturali del duca e la sua amante. La comparsa dell’amico di gioventù Lord Grey (Dominic Cooper) nuovo candidato liberale, accenderà in Georgiana l’amore, e la speranza di dare una svolta alla propria vita.
La duchessa di Devonshire realmente esistette e passò alla storia per la freschezza delle sue idee politiche liberal e antiassolutistiche, nonché per l’accesa partecipazione alla campagna elettorale in favore di Lord Fox, candidato whig, che le assicurò fama e prestigio ma le costò pure violente critiche e innumerevoli attacchi da parte della satira del tempo.
Nella pellicola questo fondamentale aspetto rimane purtroppo molto sfumato, e l’azione politica di Georgiana appare molto superficiale e scarna, dettata dalle necessità mondane più che da vero interesse e tutt’altro che proto femminista ; il soggetto predilige difatti i temi più intimi e privati della vita della duchessa.
Ci troviamo di fronte ad una cornice splendida per un quadro poco più che sufficiente. È ottimamente riuscita difatti la ricostruzione dell’epoca: la cura applicata nelle scenografie, nei costumi, nell’utensileria è degna di un film di Kubrick (bisogna tuttavia notare che sono pochissime le scene “di piazza”, il film si svolge quasi interamente negli ambienti dell’aristocrazia e della upper class londinese). I personaggi si inseriscono discretamente in questo contesto grazie alla buona ricostruzione delle abitudini e del costume settecentesco, che ha però creato le sbarre ad un’altrettanto verosimile disegno delle psicologie dei singoli caratteri. Se i personaggi di secondo piano costituiscono senza eccezione dei figurini senza né capo né coda, la cui presenza e le cui decisioni rimangono oscuri e privi di interesse, bisogna fare un discorso a parte per i due protagonisti: la duchessa e il duca, eccellentemente interpretati da una bellissima, vibrante Knightley e da un insensibile, duro Fiennes. I consorti sono agli antipodi ma il matrimonio non è inizialmente inviso a nessuno dei due: William “compra” Georgiana dalla madre di lei perché ritiene sia la miglior scelta per perpetrare la stirpe dei Devonshire, e Georgiana è entusiasta di sposarlo, per il suo rango e perché convinta che William sia genuinamente innamorato di lei; i due rispettano e rispecchiano pienamente le convenzioni sociali dell’epoca. Le nozze di per sé riservano a Georgiana, in realtà più sensibile ed irrequieta di quanto si richiederebbe ad una fanciulla, tristi sorprese: il duca ha idee molto chiare sul rapporto – contratto che si è instaurato tra loro (“Due cose vi chiesi soltanto: lealtà e darmi un erede maschio”), non è interessato a sviluppare un rapporto simbiotico, la scansa sempre più quando la ragazza non riesce ad avere che figlie femmine. A questo punto Georgiana, da sposina innamorata e amareggiata, inizia una metamorfosi diventando la dama più celebre e chiacchierata dell’aristocrazia londinese, capace di asservire il suo tempo ai propri gusti e alle proprie esigenze. Purtroppo la pecca del film è qui ben evidente: non si è saputo illustrare veramente il cambiamento di Gin, limitandosi ad uno stacco temporale che ce la mostra un minuto prima moglie insoddisfatta e tradita, e un minuto dopo signora realizzata e richiesta, senza sapere cosa realmente sia cresciuto nella sua psiche. Da qui l’escalation degli eventi: l’infedeltà del marito, l’innamoramento con Grey (pure se non si comprende una folle passione per un personaggio così anonimo), la consapevolezza della morte del proprio matrimonio (“L’errore lo feci molti anni fa”) e i disperati tentativi di mantenere viva la relazione extraconiugale, ostacolati e troncati dalle violenze del duca che non cessa le proprie infedeltà ma pretende che la moglie rimanga sempre al suo fianco. La psicologia del duca rimane immutata in tutto il film, come è giusto che sia. William tratta in un primo momento la consorte come un oggetto, una delle sue tante proprietà, le nega la conversazione e le impone unilateralmente le proprie decisioni; in un secondo momento la sottopone alle più terribili vessazioni e violenze fisiche e psicologiche, la costringe nel più odioso dei modi ad allontanarsi da Grey e dalla società pur di salvare l’onore della famiglia. Nonostante tutte queste nefandezze, il duca non può essere definito un personaggio negativo: difatti le sue azioni non sono dettate da pura cattiveria, ma piuttosto dalla rigida educazione tradizionale che gli è stata impartita e che applica a sua volta coerentemente coi propri tempi. D’altronde il duca, sempre nell’ottica di questa educazione, è convinto dei propri sentimenti anche nei confronti di Georgiana (“Voi mi amate?” “Nel modo in cui concepisco l’amore sì”) e i suoi modi non sono da nessuno criticati, sono anzi apertamente appoggiati persino dall’implacabile madre di Georgiana. Gin alla fine acquisirà anche la consapevolezza dell’ostacolo che questa severa educazione ha innalzato tra loro, e ben si esplicherà in una straziante scena di strette di mano.
Le lacune psicologiche non sono il solo neo della sceneggiatura, che nel suo complesso appare abbastanza stantia ed anonima. Le lunghe inquadrature e le poco originali scelte tecniche di regia, montaggio, fotografia e accompagnamento musicale appesantiscono notevolmente il film, che appare molto più lungo di quanto sia in realtà. Dunque una narrazione lineare che suscita comunque un certo interesse è purtroppo resa tediosa da scelte registiche molto probabilmente dettate dall’inesperienza e da un accentuato gusto per il manierismo.

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