I Chamber Winds di Rossano Emili incantano al conservatorio S. Elisabetta. Appuntamento ora a Barga con il Contest e un incontro su giornalismo e critica musicale alla Fondazione Ricci

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Dopo gli appuntamenti dello scorso anno con il festival di musica antica e con il gruppo di Maurizio Geri e Tchavolo Schmitt, il chiostro del conservatorio di Santa Elisabetta si conferma teatro privilegiato per splendide esibizioni di ensemble a organico ridotto, come possono testimoniare i non pochi presenti al concerto dei Chamber Winds che martedì 5 agosto hanno presentato a Barga il loro ultimo progetto: American Songs.

E a quasi quarant’anni dalla sua nascita (1986), il BargaJazz festival continua a regalare anche a noi che viviamo in provincia la possibilità di ascoltare dal vivo proposte originali, di alto valore artistico e legate a doppio filo al nostro territorio.

Gli arrangiamenti delle American songs presentate a Barga sono infatti stati pensati e realizzati da Rossano Emili, sassofonista, arrangiatore e compositore di fama, colonna portante della BargaJazz orchestra da tanto tempo e da diversi anni barghigiano a tutti gli effetti, con tanto di certificato di residenza.

A fianco di Rossano al sax baritono e clarinetto basso, altri tre musicisti ben noti agli appassionati del genere (Pietro Tonolo, Gigi Sella e Moreno Castagna) si sono alternati fra sax e clarinetti nel supportare la cantante Valentina Fin che ha interpretato i testi, spesso tratti da poesie di autori noti e meno noti, delle “canzoni” proposte.

L’idea alla base di American songs è stata appunto quella di arrangiare per quartetto di fiati (famiglia dei sax, flauto e clarinetti) un repertorio originariamente scritto per pianoforte e voce da alcuni importanti compositori americani contemporanei come Copland, Barber o Ives.

A dispetto di una celebre battuta che gira in certi ambienti (“Se c’è la cantante non è jazz“), il risultato si è rivelato profondamente jazz nello spirito: un misto di elementi colti, tradizioni popolari, conoscenza dei testi, maestria strumentale e improvvisazione, pur trattandosi di musica prevalentemente scritta. Scritta con cura, arte e talento da Rossano Emili, il cui tocco di arrangiatore è ormai ben riconoscibile anche per noi che non siamo critici musicali.

In sintesi, una musica senza confini, cucinata prendendo in prestito ingredienti di culture diverse, trattate con rispetto ma anche con originalità, con una profonda conoscenza del materiale a disposizione e lasciando libero spazio all’ispirazione del momento. Detta così sembra facile, ma per ottenere un risultato simile ci vogliono talento da vendere e tanti anni di lavoro e pratica con i ferri del mestiere.

Dopo i due concerti a Sant’Andrea di Compito il 6 agosto e Molazzana l’8 agosto dei gruppi guidati da altre due vecchie conoscenze del festival (Andrea Tofanelli e Bruno Tommaso), BargaJazz tornerà a Barga mercoledì 13 agosto con un doppio appuntamento: la sera (ore 21) l’ormai tradizionale BargaJazz Contest a Villa Moorings, sezione del concorso dedicata ai gruppi dei musicisti emergenti (under 35), mentre nel pomeriggio (ore 17) alla Fondazione Ricci Enrico Stefanelli e Francesco Martinelli parleranno di giornalismo e critica musicale: come si racconta la musica con parole e immagini nel terzo millennio.

L’incontro è a ingresso libero e aperto a tutti ed è stato riconosciuto come corso di aggiornamento formativo per giornalisti da Ordine Regionale della Toscana e Fondazione dell’Ordine dei Giornalisti della Toscana. Rappresenta inoltre una prima collaborazione fra BargaJazz Festival, Fondazione Ricci ETS e Circolo della Stampa di Lucca: una sinergia che auspicabilmente dovrebbe fornire nuove occasioni di crescita culturale e formazione professionale sul nostro territorio.

 

Appuntamento quindi a mercoledì alla Fondazione Ricci per parlare di musica e giornalismo e poco dopo a Villa Moorings per ascoltare il jazz dei giovani musicisti che presto saranno famosi. Visti i precedenti, siamo pronti a scommetterci.

P.S. Il disco American Songs è disponibile presso gli abituali rivenditori fisici e online. Per chiarire meglio lo spirito del progetto, riportiamo di seguito le note copertina stilate da Rossano Emili:
L’idea di affrontare questo repertorio è nata soprattutto dall’ascolto delle songs di Charles Ives tratte dalla raccolta “114 songs”, in cui l’autore condensa in maniera mirabile la sua visione della musica e la sua arte compositiva.
Ives è stata una figura particolarmente originale nella storia della musica americana, e non solo. Assiduo sperimentatore e innovatore, si creò un linguaggio personale combinando le categorie estetiche della tradizione tardoromantica europea con la variopinta realtà fonica, rurale e urbana dell’America. Nelle sue composizioni oscilla tra marce militari, melodie popolari, inni, politonalità, poliritmia e dissonanze stridenti, anticipando numerose tecniche compositive ed espressive dell’avanguardia storica e contemporanea, americana ed europea, senza porne una in particolare a fondamento della sua sintassi musicale.
“The Cage” e “At the River” possono essere identificate come due songs paradigmatiche  della poetica di Ives.
“The Cage” è il brano più breve di Ives e probabilmente il più enigmatico. Senza dare indicazioni metriche, il compositore costruisce una linea vocale in ottavi su frammenti di scala esatonale che imita l’incedere del leopardo, mentre il pianoforte si muove autonomamente in accordi di quarte giuste delineando il profilo della gabbia. Un’ultima nota staccata nella parte vocale, alla fine della canzone, ci lascia in uno stato di sospensione.
“La vita è qualcosa di simile?”, riflette Ives.
In “At the River” , un tradizionale inno cristiano scritto da Robert Lowry, Ives introduce alcuni elementi che ne destabilizzano la semplicità melodica: accordi alterati, ritmi inaspettati e  un’esitante cadenza finale che sembra mettere in discussione l’invito implicito nel testo.
A suggello della lunga postfazione alla pubblicazione di “114 songs”, nell’ultimo paragrafo, Ives scrive: «Una canzone ha qualche diritto, come gli altri cittadini comuni… Se ha voglia di calciare un bidone di cenere, il castello di un poeta o la legge prosodica, la fermerete? Deve essere sempre una triade educata… un nastro da abbinare alla voce? Non dovrebbe essere libera a volte dal dominio del torace, del diaframma, dell’orecchio e di altri punti di interesse?… Non dovrebbe avere la possibilità di cantare a se stessa, se può cantare?… Se le venisse voglia di volare dove gli umani non possono volare, di cantare ciò che non può essere cantato… chi la fermerebbe?»
Le songs di Aaron Copland sono tratte dalla raccolta “Twelve Poems of Emily Dickinson” e sono state composte tra il marzo del 1949 e il marzo del 1950.
In “Heart, we will forget him” il lirismo scarno e dolente della Dickinson viene sottolineato da Copland con echi vagamente mahleriani.
Samuel Barber e Ned Rorem hanno dedicato alla musica vocale una parte significativa del loro lavoro.
Le songs di Barber provengono da tre raccolte diverse, i cui testi spaziano dall’anonimo monaco irlandese vissuto tra l’VIII e il IX sec di “Sea-Snatch” a W.B. Yeats di “The Secrets of the Old”; Barber ne segue rigorosamente la struttura innestando una lirica linea melodica su una costruzione metrica irregolare.
L’andamento un pò nostalgico che ricorda la valse-musette di “Early in the morning” unito all’eleganza stilistica e alla raffinatezza armonica, elementi che caratterizzano le oltre 500 songs scritte da Rorem, testimoniano la frequentazione del compositore con i membri del gruppo Le Six, in particolare con Francis Poulenc, durante un lungo soggiorno parigino.
Questo piccolo excursus nella storia della song americana si chiude con Fred Hersch, passando per l’Ellington dei Sacred Concert.
L’interesse di Hersch verso il testo poetico è documentato in un suo album: “Leaves of Grass” , dedicato all’opera di Walt Whitman.
I tre brani di Hersch provengono dal disco “Songs & Lullabies”, nel quale Norma Winstone scrive 11 liriche su altrettanti brani del pianista.
Le songs presenti in questo disco hanno tutte, ad eccezione di “Is God a Three-Letter Word for Love?” di Duke Ellington, una caratteristica comune: ovvero quella di essere state composte o eseguite per pianoforte e voce nella versione originale.
Il materiale musicale è stato trattato sotto vari aspetti, in alcuni casi facendo un lavoro di trascrizione e adattamento, in altri di arrangiamento, aggiungendo sezioni di improvvisazione sia libera che su una struttura armonica.
L’utilizzo delle diverse ance ha permesso di lavorare sulla varietà dei timbri, cercando di dare una nuova veste alle partiture, mentre Valentina Fin, i cui interessi musicali spaziano dal canto barocco alla musica sperimentale, sfruttando appieno la duttilità e lo splendido timbro della sua voce ha dato una interessante lettura del testo musicale che si discosta dalla consueta vocalità prettamente lirica.

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