Tradizioni e ricordi

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La strada di campagna che dalla Serra scendeva, attraverso i campi, per raggiungere Barga, era poco più che un viottolo erboso, pieno di buche e spesso inzuppato da acque stagnanti. Non mi costava fatica percorrerlo più volte al giorno per andare a scuola o per fare la spesa a Porta Macchiaia, nella storica bottega della famiglia Caproni; saltellavo da un sasso all’altro per non sporcarmi le scarpe e, canticchiando mi facevo compagnia. L’orologio del campanile scandiva le ore ed era premura arrivare a scuola in orario, anzi un po’ prima del suono della campanella per scambiare due chiacchiere con gli amici o per progettare le uscite e gli svaghi, prima di entrare in classe. Mi sentivo molto fortunata, orgogliosa di frequentare l’Istituto Magistrale, grazie ai sacrifici dei miei genitori. Era un privilegio continuare gli studi e non sempre potevamo acquistare i libri. La domenica, ogni tanto, andavamo al cinema; il nonno mi nascondeva, a sorpresa, i soldi tra le pagine di un libro, poi con l’inizio della quaresima, il divertimento era assicurato: iniziavano le quarantore!
Il primo appuntamento era ad Albiano, poi a Castelvecchio e così via nei paesi limitrofi , fino alla domenica delle Palme; in questo giorno Barga era in festa: solenne benedizione dell’olivo alla messa delle undici in Duomo, giorni di preghiera, di riflessione, di astinenza in preparazione alla Pasqua. La sera del giovedì Santo era usanza visitare i Sepolcri nelle varie chiese per seguire le funzioni di rito e per ammirare le decorazioni floreali e pittoriche. I negozi abbellivano le loro vetrine con i migliori prodotti e ornamenti vari.
Al Giardino, nel macello del Giannotti, pendevano carni di grosso taglio ricoperte di foglie e fiori di camelia. In famiglia c’era un’aria nuova: se il tempo lo permetteva aprivamo le finestre e tutto sembrava brillare ai nostri occhi, nell’aia zampettava già la covata dei pulcini e degli anatroccoli, dal pollaio giungevano acuti coccodè e, sotto la loggia, erano pronte le fascine per scaldare il forno. Noi ragazzi eravamo felici perché era nostro compito colorare le uova con erbe, foglie di barbabietola e di cipolla, belle a vedersi, originali e diverse nei colori. In più eravamo ormai arrivati al giorno tanto atteso: Pasquetta, le quarantore a Tiglio! Era necessario organizzare la scampagnata perché tutto riuscisse nel migliore dei modi; il gruppo fissava il luogo di ritrovo e l’ orario di partenza, con scambio di idee e altro che poteva venirci in mente: l’amicizia era il segreto e, così tra scherzi e risate nascevano simpatie, fatte di sguardi e di sogni.
Partivamo a piedi al mattino e, durante il tragitto, ci piaceva sostare, ammirando il paesaggio: dalla Serra, Giuncheto, Orta fino a raggiungere il Salto del Diavolo, luogo che, ancora oggi richiama storie e leggende narrate dai nonni. Davanti alla chiesina, infatti, sono ancora visibili delle impronte scavate nella roccia: il piede della Madonna e la testa del diavolo. Poco più avanti ci appariva il sasso della Loppora, come un “gigante solitario adagiato sul greto del fiume.
Ora cominciava la salita fino a raggiungere Tiglio Basso, poi Tiglio Alto. Fin dal mattino il sagrato era pieno di persone e di voci, ma nel pomeriggio si animava ancor di più: chi giocava alla morra, chi scolava fiaschi di buon vino, chi si faceva largo per avvicinare una ragazza, chi sedeva sul muro per godersi il quadro d’insieme. Noi giovani sceglievamo il prato dietro la chiesa per fare merenda e per giocare; dalle borsette usciva l’uovo sodo, il panino con la mortadella e alcune fette di schiaccia o di torta di riso da condividere con gli amici. Il tempo volava tra corse, giochi inventati lì per lì, scherzi. Mancava soltanto la foto ricordo, ma purtroppo nessuno di noi aveva la macchina fotografica, ma tra i gitanti era sempre presente Pietrino Rigali, il fotografo che ricordiamo con simpatia insieme a sua moglie Gina e i suoi scatti riprendevano i momenti più allegri di questo indimenticabile giorno.

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