Umberto Vittorini visto da Barga

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Inaugura questo sabato 16 luglio la mostra organizzata dalla fondazione Ricci dal tito9lo “Umberto Vittorini nelle collezioni private”.
Proprio i n occasione della imminente apertura di questa esposizione, l’amico Pier Giuliano Cecchi ha realizzato questo articolo che parla proprio di Vittorini. Eccolo.

Ricordi di ragazzo, forse anche di bambino che era portato nelle mattine estive sull’Arringo del Duomo di Barga a respirare l’aria frizzante che mitigasse la tosse cattiva, piccoli cassetti della memoria che oggi si riaprono un poco, ed ecco allora apparire di nuovo un uomo, allora, per me anziano, seduto su uno sgabello portatile in fronte a un cavalletto e una tela. Stava lì solo e in silenzio, guardando a tratti l’Arringo per poi pennellare la sua idea. Se qualche curioso si fermava a guardarlo, così come l’inconsueto incontro voleva, lui non lo gradiva, forse per il timore che la sua ispirazione ne traesse un disturbo e si perdesse alle possibili domande.

Più tardi negli anni, ancora lo rivedo vicino al SS. Crocifisso, in fondo alla scalaccia del Duomo e l’atteggiamento non era assolutamente cambiato. Infatti, una persona dedita alla Chiesa, un prete ignaro della natura del pittore, vedendolo come il giorno precedente intento a pitturare, con l’intenzione di stabilire un contatto umano e conoscerlo, “osò” chiedergli: “Buongiorno buon uomo che fate di bello stamani?” Laconica la risposta che ebbe: “Io non sono un buon uomo, io sono Umberto Vittorini dell’Accademia di Brera”;metodo più che convincente per allontanare la persona. Infatti, il prete, da me conosciuta per persona intelligente e sensibile, avendo capito tutto, si allontanò senza arrecargli altro disturbo.

Cosa aveva capito? Ovviamente che quando uno nel quadro che sta componendo dal vero, trova piacere nel risultato che si prefigge, è tutta un’estasi estraniante l’autore dal mondo che gli sta intorno e che si muove con tutte le sue particolarità attentamente da evitare, come detto sopra, per non perdere neppure un attimo di quel divino incantesimo. Questo, a mio avviso, era Umberto Vittorini: un artista e per tale voleva essere considerato e … capito.

Umberto Vittorini era nato “Ai Sichi”, luogo della montagna di Barga, il 22 giugno 1890 e fu battezzato a Sommocolonia. Di padre pisano e madre barghigiana, trasferitasi la sua famiglia a Pisa, qui frequentò l’Istituto d’Arte, attirando su di sé l’attenzione del Gordigiani che lo volle nel suo studio. Questo periodo della sua vita si può definire il battesimo all’arte della pittura che poi volgerà anche, con grandi successi, nel campo delle “acqueforti”. Come ricorda ancora il critico d’arte Dino Carlesi, Vittorini affinerà la sua arte anche alla scuola fiorentina del Fattori, acquisendo con il tempo un proprio stile che lo porrà fra gli impressionisti francesi e i macchiaioli italiani.

La lontananza dalla terra di nascita però non decide in lui l’abbandono, anzi, alterna la sua vita tra Pisa e le sue care montagne. Quando può, torna e anche qui disegna, coglie in questi aspri ambienti, affascinanti immagini che si tradurranno anche in pitture.

Durante la Guerra 1915-18, s’interrompe l’attività artistica ufficiale e come caporale di fanteria è diretto al fronte. Comunque, e come può, continua nella sua grande passione disegnando e incidendo immagini del fronte guerra: trincea, soldati, prigionieri, profughi e paesi distrutti, saranno la sua fonte d’ispirazione.

Alla fine della guerra torna a Pisa da cui muove nel 1924 per l’invito ricevuto a esporre alla biennale di Venezia. Nel 1928 si trasferisce a Milano. Le presenze alle biennali veneziane si ripeteranno in anni successivi: 1930, ’48, ’50 e forse altre, come diverse saranno le presenze ad altre importanti mostre italiane.

Già dal 1920 la grande critica ha iniziato a parlare di lui, come nel caso di Elpidio Jenco (1892-1959) che così ne aveva tratteggiate le virtù:

“Umberto Vittorini è un’autentica rivelazione: osservate i suoi cieli, i suoi monti, i suoi piani screziati di piante e di uomini, di paesi e di rivi; è un autentico e un contemporaneo, un primitivo e un moderno, un istintivo e un intellettuale.”

Nel 1928 e la volta di Carlo Carrà (1881-1966) che così scriverà di lui:

“è un pittore di buona covata … egli sa perdere la sua pacatezza macchiaiola quando anche nell’erbosa piazza del Duomo di Pisa, come nel cerchio magico di un incantesimo … le nubi gli appaiono trasfigurate dalla luce.”

Questi sono solo cenni sulla sua arte, diremo giovanile, e ben lungi da noi il pensiero di ritessere le fortune artistiche di Umberto Vittorini ma tornando al fine di quest’articolo, ci piace far capire ai lettori che anche a Barga era già ben nota in questi anni venti la sua cifra artistica, ovviamente a certi e non comuni livelli. Infatti, così parlava di lui Alfredo Stefani su La Corsonna n° 7 del 15 dicembre 1925, nella rubrica “Artisti nostri”:

“Umberto Vittorini

Nell’articolo precedente parlammo di Magri, Cordati e Balduini, che vivono qui a Barga e lavorano silenziosamente, noncuranti dell’indifferenza della popolazione, che poco s’interessa di loro e che pure sono la parte più fattiva e più espressiva del nostro paese, che lo esaltano nella loro opera pittorica. Oggi ricordiamo un altro artista, nato a Barga e che vive lontano. Umberto Vittorini giungerà sconosciuto e si domanderanno chi egli sia e quale via ha percorso per essere annoverato tra i nostri concittadini più emeriti.

Di lui, in questi giorni, parlano diffusamente i giornali e i suoi quadri sono ammirati in un’esposizione a Livorno, come lo furono altrove per una singolare personalità artistica, che lo differenzia dalla grandissima maggioranza … degli imbrattatori di tele.

Egli è un poeta e un mistico, che nella semplicità di linee esalta le sue azioni luminose di cieli abbarbagliati di sole, o velati di nebbie o degradanti nelle tinte diafane delle albe e dei crepuscoli. Adoratore del silenzio e della natura, si attarda a ricercare tutta l’intima bellezza che scaturisce dalle cose semplici e pure e sa trovare una voce, e sa ricercare un canto in una sinfonia di colori, come il poeta lo trascrive in una combinazione di parole.

Davanti ai suoi quadri e alle acqueforti, di cui è maestro, ci soffermiamo presi e conquistati dalla spontanea semplicità che alle volte trascende in una complessa visione di vita, animata dal soffio divino dell’arte, perché Vittorini è indiscutibilmente un artista vero e sincero, senza i logori convenzionalismi di scuole e di tendenze, sia pure isolato; ma artista sempre.

Nato nella terra di Barga, in uno di quei casolari di Val di Corsonna, che occhieggiano fra il verde dei castagneti e s’imbevono di cielo, fu condotto a Pisa fin da bambino e quassù ritorna quasi ogni anno, come a un santuario elevato da Dio in gloria della natura.

Egli si sente figlio di questi monti e nei suoi occhi è rimasta la visione luminosa dei tramonti dietro gli apuani e l’esultante fantasmagoria di poggi fioriti a primavera e la francescana semplicità di nostra gente.

È rimasto semplice col suo grande cuore aperto a tutti gli entusiasmi, con la fede che compie i miracoli, non fuorviato dalla vita complessa di città, che anche a Pisa ove egli vive, trova più che altrove, la realizzazione dei suoi sogni d’artista, nel silenzio delle vecchie strade, nella luminosità del cielo, nei fastigi che i secoli lasciarono incorrotti e materializzati in bellezza di marmi, di fregi, di pitture.

Adesso Umberto Vittorini lavora a una serie di acqueforti di soggetti pascoliani. Egli che tanto comprende il Poeta di Castelvecchio, saprà compiere opera di esaltazione di questa terra benedetta dalla natura e amata, fino allo spasimo da artisti, che sanno perpetuare la divina bellezza dei suoi monti e trovano sempre un canto che si esalta in ritmi di colori o di parole e una natura lontana che si apre anche per il mondo.”

Quanto abbiamo letto, scaturito dalla nobile e intelligente penna di Alfredo Stefani, un uomo che dal suo giornale La Corsonna, scritto con il fratello Italo, soavemente insegnava ai lettori ad amare Barga e la sua gente, specialmente chi dedito a qualsiasi arte, se da un lato può apparire scritto dovuto in omaggio a Vittorini, un conterraneo, dall’altro è chiaro con quanta capacità e quale attenzione redasse lo scritto. Questo per dire con quanta forza lo introduce alla conoscenza dei suoi concittadini, che bacchetta sin dall’inizio dell’articolo, come poco dediti alle vicende artistiche che in Barga si muovevano con i maggiori in loco: A. Magri, B. Cordati, A. Balduini ma anche altri, come A. Giuliani, R. Barsotti e M. Cecchini che in questa estate 1925, anno del suo articolo in oggetto, erano stati accolti in una collettiva a Barga e tra questi anche Vittorini.

L’esposizione di cui si parla, che raccolse il meglio degli artisti locali, vide luce, così come apprendiamo da La Corsonna, “nelle tre salette della loro prima mostra barghigiana”, ubicazione rimasta ignota. Il catalogo fu aperto da un saggio del barghigiano Prof. Cesare Biondi (1867-1936), pubblicato su La Corsonna n° 32, 23 agosto 1925, in cui tratteggia le glorie artistiche che da Barga trassero i natali. Che poi ispirati dalle bellezze naturali e dall’antica arte che in essa ancora si conserva, seppero farsi apprezzare a un pubblico ben più vasto: lo scultore Pietro da Barga, alias Pietro di Mario Simoni (sec. XVI-XVII), il pittore Baccio Ciarpi (1574-1654) e tutta quella schiera, conosciuta o percepita, che anche loro, come i due citati maggiori, nel paese lasciarono tracce d’arte, lavori in parte ancora ancora visibili o perduti. Tra le cose perdute un documentato crocifisso di cipresso che Pietro da Barga scolpì per il pulpito del Duomo di Barga, come anche una terracotta con i dodici apostoli, per lo stesso Duomo, creata da Piero Baricchi, altro scultore del sec. XV.

Altre figure barghigiane si ritrovano nei secoli a seguire, tre pittori, come un Angeli pisano che divideva la sua vita tra quella città e Barga. Vissuto nel sec. XVI e autore di marine, paesaggi, soggetti religiosi e altro, nel testamento i lettori possono leggere che si lasciarono diverse opere pittoriche da lui eseguite e presenti nella sua casa pisana come nel palazzo di Barga, tra cui l’immagine del Beato Michele da Barga da cui discendeva. (Franco Paliaga: Pittori, incisori e architetti pisani nel secolo di Galileo, Felici, 2009.)

Tra le altre personalità, certamente non tutte, troviamo un Gaetano nel sec. XVIII dei nobili Verzani di Barga, che fu allievo a Pisa del Tempesti, ma del quale non sappiamo neppure il titolo di un’opera. Di questi ci piace pensare sia il possibile autore del “San Francesco Stigmatizzato” della “Compagnia delle Stimmate” che aveva sede presso la chiesa di San Felice a Barga, dove il quadro fa ancora la sua bella mostra. Il dubbio che lui ne sia stato l’autore, muove dal sapersi che quella chiesa era di antica padronanza degli stessi nobili Verzani che possedevano la loro casa, oggi non più esistente, proprio a contatto con la stessa chiesa. La chiesa fu poi donata dagli stessi Verzani all’Arciconfraternita di Misericordia di Barga che vi stabilì nel 1835 l’antico sodalizio rifondato con Rescritto Granducale nel 1817. Mentre nella seconda metà del sec. XIX operò a Barga altro pittore: Luigi Bertagna, di cui è documentata l’immagine grafica su lastra metallica dell’Annunciazione che è alla SS. Annunziata.

Premesse queste cose a volo di uccello e tornando al nostro assunto, ecco come Biondi nel saggio parla di Vittorini:

“Il Vittorini ha la serenità e la forza di chi guarda dall’alto di Sommocolonia il gorgogliare precipitoso della Corsonna e il digradare dei piani verso la solennità del Serchio.”

Questo di Biondi è solo un tratto di Vittorini, che in queste righe della sua presentazione alla mostra subito lega alla sua terra di nascita con una forza persuadente, forse per non dare motivo di equivoci ai presunti scettici circa le sue origini, mentre, una più precisa biografia artistica è lasciata al prof. Emilio Pasquini, che vedremo con il prossimo articolo, unitamente a due scritti, pensati inediti. Il primo è una lettera che scrisse Vittorini a una barghigiana per ringraziarla della buona accoglienza ricevuta nella sua casa, l’altro è un messaggio con cenni d’arte che ricevette dal pittore Moses Levy (1885-1968) e ancora altre cose.

Pier Giuliano Cecchi –continua

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