Il C.R.E.S.T.: la riorganizzazione sanitaria regionale penalizza le zone periferiche e montane

-

Un lungo documento redatto dal C.R.E.S.T. “Comitato Regionale Emergenza Sanitaria Toscana Rete dei Comitati e dei Movimenti Toscani in difesa dei Piccoli Ospedali e della Sanità Pubblica” è stato consegnato il 15 luglio scorso a Firenze, durante un incontro con il Dott. Rossano Mancusi, Responsabile di Segreteria dell’Assessore Luigi Marroni ed il Dott. Andrea Leto, Responsabile dell’A.C. Sistema Sanitario Regionale. Un documento rivolto ovviamente alle massime cariche regionali e con alcune proposte per non penalizzare ulteriormente la sanità di zone montane, periferiche ed insulari della Toscana. Per il CREST infatti, non tutte le aree della Toscana hanno attualmente diritto d una sanità decente.

Ecco il testo:

 

“Il C.R.E.S.T., Comitato Regionale Emergenza Sanità in Toscana, è un comitato di cittadini apolitico ed apartitico che unisce 13 comitati sanitari costituitisi spontaneamente nelle zone periferiche della Toscana considerate a torto “marginali”, con lo scopo di tutelare il diritto alla Salute sancito dall’articolo 32 della Costituzione.

Nella nostra regione il sistema sanitario è stato riorganizzato con una semplice Delibera di Giunta Regionale: la n. 1235/2012. Un atto, che per sua natura non è passato al vaglio del Consiglio Regionale, l’organo preposto dalla Costituzione in cui si forma la volontà legislativa espressione dei cittadini, vale a dire il nostro Parlamento. La delibera è stata inoltre emanata in assenza del nuovo Piano Sanitario Regionale atteso ormai dal 2010. Il presidente Marco Remaschi e vicepresidente Stefano Mugnai della IV Commissione Sanità del Consiglio regionale ed il presidente dello stesso Consiglio regionale Alberto Monaci hanno più volte evidenziato negli scorsi mesi questa situazione come un pericoloso vuoto normativo.

Il Collegio di Garanzia Regionale ha dichiarato illegittima la formulazione del nuovo Piano Sanitario presentato dalla Giunta, configurandosi come una ratifica di scelte già fatte ed attuate, senza il preventivo coinvolgimento del Consiglio regionale.

La Toscana non ha quindi ancora adottato il nuovo atto di programmazione sanitaria obbligatorio per legge. Nel frattempo, le direttive della delibera 1235/2012 – che non è stata pubblicata sul Burt, la Gazzetta Ufficiale della Regione – sono state imposte ai sindaci toscani tramite Patti Territoriali promossi anche da Uncem Toscana. Non sempre, purtroppo, i cittadini sono stati messi a conoscenza delle riorganizzazioni in corso. A Pistoia, ad esempio, la Conferenza dei Sindaci si è riunita in giugno e solo il 22 novembre del 2013, dopo cinque mesi, il patto territoriale è stato reso pubblico nell’Albo Pretorio del Comune di Pistoia e non prima dell’intervento del Difensore Civico Regionale interpellato da un membro del C.R.E.S.T.

La riorganizzazione sanitaria in Toscana ha di fatto messo in crisi, sotto molti aspetti, la tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. Ha creato discriminazione fra cittadini poiché chi vive in zone periferiche, montane o insulari ha lentamente visto svuotare i presidi ospedalieri più vicini fino alla chiusura di interi reparti e addirittura di Pronto Soccorso trasformati in Punti di Primo Soccorso, fino alla trasformazione di presidi efficienti in un insieme di ambulatori. Mentre si costruiscono 4 nuovi ospedali, tre dei quali a pochi chilometri l’uno dall’altro, si spogliano le zone montane o insulari di servizi essenziali, mettendo a rischio la vita delle persone in caso d’emergenza.

Nell’allegato A del recente Documento di riorganizzazione del Servizio del 118 della Regione Toscana si legge che “Obiettivo primario di ogni sistema di salute è quello di fornire ai propri assistiti assistenza continua sulle 24 ore e 7 giorni su 7; l’assistenza deve essere tempestiva ed appropriata, caratterizzata da qualità e sicurezza indipendentemente dal luogo di erogazione e deve garantire l’integrazione dei diversi attori coinvolti nell’intervento”.

Anche nel Patto per la Salute 2014-2016 in discussione in questi giorni, nella definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera, nell’articolo 9.2.1 si legge che “la funzione di Pronto Soccorso può essere prevista in presidi ospedalieri di aree disagiate (zone montane, isole) anche con un numero di abitanti di riferimento inferiore ad 80.000” e nell’articolo 9.2.2 che nei presidi ospedalieri in aree considerate geograficamente e meteorologicamente ostili e disagiate “occorre garantire una attività di pronto soccorso con la conseguente disponibilità dei necessari servizi di supporto attività di medicina interna, di chirurgia generale ridotta”. Non si capisce, in base a quanto letto, per quale motivo un’area come la Montagna Pistoiese sia stata privata di Pronto Soccorso e perché l’Ospedale Pacini di San Marcello sia stato declassato a P.I.O.T., destino che sembra riservato anche all’ospedale della Valle del Serchio. Non si capisce perché il Petruccioli di Pitigliano non assolva più alle sue funzioni perché svuotato di medici e servizi, mentre al suo interno si sta costruendo la Casa della Salute, né perché nella zona montana dell’Amiata e Val d’Orcia ci sia ormai solo un ospedale di prossimità ad Abbadia San Salvatore. Ci chiediamo perché all’Isola d’Elba non ci sia più il servizio 118 con medico a bordo sul territorio e la maggioranza dei reparti dell’ospedale di Portoferraio siano ormai ambulatori. Ci sono forti criticità anche in Lunigiana o in Montagna Pistoiese dove, se il medico del 118 esce per una chiamata, il territorio resta scoperto per ore. In Lunigiana inoltre il servizio per il trasporto assistito presso il P.S. è espletato da medici fuori sede e questo causa l’allungarsi dei tempi di attesa e può mettere a rischio l’incolumità dei pazienti. Da sottolineare che stiamo parlando di zone ad alto rischio sismico.

Le problematiche appena evidenziate non fanno che aggravare la già critica condizione di lavoro dei Pronto Soccorso degli ospedali metropolitani che, come hanno denunciato i sindacati dei medici (gli ultimi in ordine di tempo della ASL 3 e 5), sono sovraccarichi di lavoro, con personale insufficiente e spesso costretto a lavorare in condizioni di fatica e pressione che possono generare errori fatali.

La costruzione dei nuovi ospedali non sembra aver migliorato la situazione, anzi, ha messo in evidenza tutte le problematiche legate al modello per intensità di cura. Non è un caso che anche nelle grandi città – Lucca, Prato, Firenze, Pisa, Pistoia, Massa – siano sorti spontanei Comitati di cittadini in difesa della Salute pubblica, anche loro, come il C.R.E.S.T., purtroppo inascoltati.

La conseguenza logica della chiusura di Pronto Soccorso e del taglio lineare dei posti letto che in Toscana è inferiore ai 3,7 p.l. ogni 1000 abitanti previsti dalla spending review (i dati Ocse 2013 riportano che la media europea è di 5,4 p.l. per 1000), è sotto gli occhi di tutti. Leggiamo sui quotidiani di situazioni drammatiche per la difficoltà a reperire posti letto di degenza, che determina lunghe ore di attesa in lettighe o barelle nei corridoi dei P.S., con pazienti privati di dignità e privacy. È notizia del 7 luglio di una signora di 85 anni in attesa al Pronto Soccorso dell’Ospedale di Cecina per 9 ore prima di essere visitata, a conferma dell’inadeguatezza del sistema e della carenza di personale ormai endemica in tutti i P.S. della Toscana. Per non parlare dell’insufficienza dei servizi territoriali e dei sacrifici che le famiglie con malati cronici o terminali devono sostenere spesso da sole.

L’accentramento e l’accorpamento di risorse umane ed economiche può forse garantire migliori prestazioni e risparmi, ma noi crediamo che le persone non siano numeri ed i diritti non debbano diventare privilegi.

Pensiamo ad esempio ad una fascia debole della nostra società: i bambini. La Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (New York, 20 novembre 1989) che l’Italia ha ratificato con Legge n. 176 del 27 maggio 1991 e la Regione Toscana ha festeggiato anche quest’anno, nell’articolo 24 sancisce che “Gli Stati parti riconoscono il diritto del minore di godere del miglior stato di salute possibile e di beneficiare di servizi medici e di riabilitazione. Essi si sforzano di garantire che nessun minore sia privato del diritto di avere accesso a tali servizi”.

Che dire dunque dei bambini che vivono nel Volterrano dove all’ospedale di Volterra non c’è un pediatra nei notturni e nei festivi e in caso di bisogno le famiglie sono costrette a rivolgersi a Pontedera, che può distare 100 chilometri dalla Alta Val di Cecina? Del Casentino che rimane sguarnito di pediatra durante i trasferimenti con lo stesso che accompagna i bimbi in urgenza in Neonatologia ad Arezzo o al Meyer? Che dire della Montagna Pistoiese, della Garfagnana o della Lunigiana dove non è garantita l’assistenza pediatrica sulle 24 ore? In Lunigiana è stato chiuso il Punto nascita, tanto che le partorienti rischiano di dare alla luce i loro figli in ambulanza, cosa peraltro già avvenuta, e non c’è un ginecologo/ostetrica che accompagni le donne durante il travaglio al centro più vicino, con tempi di percorrenza di circa un’ora. Non sono neppure più possibili i controlli nel terzo trimestre di gravidanza negli ospedali della Lunigiana e questo ha determinato un aumento di fughe alle ASL vicine.

Nel Codice del diritto del minore alla Salute e ai servizi sanitari del Ministero della Salute (aprile 2012) si fa riferimento ad un’assistenza globale e continuata, al diritto dei minori di essere curati ed assistiti da medici, infermieri e altri professionisti sanitari che abbiano una specifica formazione in ambito pediatrico e adolescenziale.

La situazione dell’assistenza pediatrica in Toscana ha visto l’intervento del Garante regionale per l’Infanzia e l’adolescenza Grazia Sestini che in diverse occasioni ha parlato di carenze nella rete territoriale: “assenza, nelle tante città medio piccole della Toscana, di pediatri disponibili nelle ore notturne, nei giorni festivi e in molte situazioni di emergenza”. Laddove è stata istituita l’osservazione breve pediatrica, come all’ospedale SS. Cosma e Damiano di Pescia dopo il trasferimento del reparto di Pediatria a Pistoia nell’ottobre 2013, la degenza, seppure limitata fino a 48 ore, deve essere separata dai reparti per adulti e offrire facilitazione per degenti e genitori (art. 18 Codice del diritto del minore alla Salute) ed il minore, bambino o adolescente, deve avere il diritto alla privacy (art. 17) e ad essere curato da personale specializzato. Tutto questo non è garantito in un’Osservazione Breve sistemata nel pronto soccorso dell’Ospedale di Pescia.

Il quadro appena tinteggiato ha un minimo comune denominatore: i Patti Territoriali. Uno strumento calato dall’alto da Regione e ASL, non supportato da nessuna legge in materia sanitaria e che non risponde ad alcun criterio scientifico di programmazione sanitaria. Uno strumento che costituisce una violazione del principio di equità e parità tra cittadini poiché basato solo sulla forza di contrattazione delle singole comunità locali, che non lascia neppure intravedere un disegno organico, data l’assenza del nuovo Piano Sanitario Regionale. Patti che, nella loro redazione, non hanno visto alcuna partecipazione o coinvolgimento dei cittadini, ma neppure degli operatori sanitari, dei medici e pediatri di base e dei sindacati. In una parola Patti fra due parti ma privi di concertazione e di possibili ridefinizioni migliorative.

Quegli stessi Patti Territoriali in alcuni casi hanno semplicemente ratificato azioni già intraprese dalla ASL, in altri hanno preso impegni precisi che sono stati pesantemente disattesi, minando il rapporto di fiducia tra istituzione regionale, cittadini e loro rappresentanti. È il caso della Valle del Serchio (che ha un protocollo di intesa con delibera di giunta), dell’Isola d’Elba, della Valdinievole o dell’Ospedale Serristori a Figline Valdarno.

Il momento storico è certamente difficile dal punto di vista economico, ma ciò non toglie che la RT abbia ed ha gli strumenti per fare risparmi riducendo l’apparato burocratico delle ASL, tagliando “poltrone” e accorpando, ad esempio, le 12 Asl o finalmente le 3 Estav, o eliminando le Società della Salute che nella maggioranza dei casi non hanno portato benefici. Senza considerare che i cittadini toscani stanno ancora pagando il buco nelle casse della Asl 1 di Massa Carrara di 420 milioni di euro che equivale a circa la metà dei tagli previsti dal Def al Fondo Sanitario nazionale per il 2014 per tutta l’Italia (868 milioni di euro).

Non possiamo inoltre trascurare che il Libro bianco dell’Istituto per la promozione dell’etica in sanità (Ispe-Sanità) ha stimato la corruption nella Sanità in Italia nel solo 2013 in 6,4 mld per corruzione, 3,2 mld per inefficienza e 14 mld per sprechi di risorse ed il 30 % dei casi è al Centro Italia.

I cittadini quindi vivono sulla propria pelle l’impoverimento dei servizi e notevoli difformità nell’esigibilità del diritto alla salute a seconda del luogo di residenza e della fascia di reddito, mentre la corruzione e la cattiva gestione inghiottono risorse preziose. Non porvi rimedio e farne pagare le conseguenze ai cittadini in termini di tagli di posti letto, liste di attesa di mesi per esami o interventi importanti, ticket, chiusura di reparti e di Pronto Soccorso, desertificazione ed accentramento di servizi, significa non assumersi responsabilità di governo ed è la sconfitta della buona politica.

È evidente che allo stato attuale il sistema sanitario toscano non è uniforme né equo e non dà accesso universale ed uguale per tutti.

Non stiamo chiedendo tutto ovunque. Stiamo chiedendo pari dignità e soprattutto sicurezza.

Tutto ciò premesso, il C.R.E.S.T. chiede:

che la Salute del cittadino torni ad essere fulcro e priorità di ogni azione politica;

che il personale medico ed infermieristico, ogni giorno in prima linea, torni ad essere protagonista della programmazione aziendale;

che il nuovo Piano Socio-Sanitario tuteli i residenti in zone disagiate con indicazioni stringenti, chiare e non eludibili, circa l’equità d’accesso alle cure: si propone il ripristino di tempi massimi di percorrenza relativamente ai servizi sanitari ospedalieri, e conseguente verifica caso per caso dell’effettivo rispetto degli stessi;

che in ogni territorio della regione, ed in particolare nelle zone più fragili perché periferiche, montane o insulari siano garantiti e rafforzati i presidi ospedalieri, con particolare riguardo ai Pronto Soccorso (con medico anestesista rianimatore h24) ed ai reparti ad esso collegati;

che ci sia il rispetto dell’emergenza/urgenza attraverso un’equa distribuzione delle PET (Postazione Emergenza Territoriale) con medico accompagnato da infermieri e non solo da volontari e che il territorio di competenza non resti mai sguarnito di medico perché ad esempio impegnato ad accompagnare un paziente in ospedale. Che ci sia quindi l’attivazione sulle 24h del medico per il trasporto assistito presso il Pronto Soccorso;

che ogni distretto abbia una rete capillare di assistenza pediatrica sulle 24h e sette giorni su sette con che nelle aree disagiate dove non è più presente il Punto nascita (in Lunigiana sono stati chiusi due reparti di ostetricia e anche nell’ospedale di Volterra ormai non nascono più bambini) sia garantita la reperibilità di ginecologo/ostetrica che accompagnino le donne in travaglio al punto nascita di riferimento;

che il servizio di elisoccorso sia ampliato in aree in cui non è presente, ma non sostituisca presidi ospedalieri dotati di un Pronto Soccorso efficiente che possa garantire tempi d’intervento rapidi e rientranti nella “golden hour”;

che in ogni territorio della regione sia garantita l’assistenza socio-sanitaria alle fasce più deboli della popolazione (disabili, bambini ed anziani);

che si investa nei presidi per cure intermedie e servizi territoriali;

che la RT si faccia garante affinché le ASL di competenza siano trasparenti in merito a bilanci e rendiconti, acquisti, bandi di gara e concorsi, collaborazioni con strutture sanitarie private, tempi di attesa per le cure, liste di attesa per esami diagnostici, confronto con la società civile;

che garantisca maggiore trasparenza in merito all’organizzazione dei presidi ospedalieri e dei servizi sanitari offerti, in merito ad esempio al numero dei posti letto sia in ospedale che sul territorio, al numero dei medici, infermieri, OSS in Emergency-Team (se è a regime), ai dati dei monitoraggi che periodicamente la ASL effettua, strumento di verifica fondamentale per la Conferenza dei Sindaci e per il controllo da parte di comitati, associazioni e cittadini;

che il nuovo Piano Sanitario impegni le ASL a non far incrementare le assunzioni di personale amministrativo quando manca personale sanitario;

che le Case della Salute attivate siano una risorsa ma non siano sostitutive di reparti o strutture ospedaliere già funzionanti;

che l’attuale numero dei posti letto ospedalieri e territoriali sia più equa ed uniforme, ma soprattutto che il numero a disposizione sia ampiamente ripensato soprattutto in zone in cui la popolazione sta invecchiando e la viabilità è complessa e difficoltosa; che ai tagli nel pubblico non si sopperisca con l’incremento dei posti letto nelle strutture private convenzionate;

che gli orari di erogazione delle prestazioni, l’utilizzo delle apparecchiature innovative e delle sale operatorie sia ampliato ed ottimizzato con evidenti benefici nella riduzione delle liste di attesa e nell’ammortizzazione dei costi, garantendo così un reale diritto alla salute per chi non può rivolgersi a strutture private;

che il turn-over sia rispettato; che quando un primario va in pensione, venga prontamente sostituito;

che la rete ospedaliera metta in rete le risorse umane migliori per mantenere alta la qualità dei servizi anche in periferia. La mobilità non dovrebbe essere a senso unico, come spesso accade, per cui è sempre la periferia che deve muoversi verso il centro, e mai il centro a muoversi verso la periferia;

la garanzia di quanto espresso nel Codice del diritto del minore alla Salute e ai servizi sanitari;

– che la RT tuteli il diritto alla salute come bene pubblico e si impegni ad investire in strutture pubbliche senza lo strumento del Project Financing che, come stanno dimostrando i 3 nuovi ospedali (Pistoia, Prato e Lucca), favorisce il concessionario privato e penalizza i cittadini impegnando le risorse della collettività per 20 anni in una struttura che al termine del contratto avrà bisogno di nuova manutenzione (già in atto all’ospedale San Jacopo di Pistoia su segnalazione dei VV.FF. o al San Luca di Lucca). La finanza di progetto sta dimostrando di avere ricadute economiche negative sui cittadini sia direttamente (ad esempio il pagamento del parcheggio) che indirettamente con servizi non ospedalieri con costi maggiorati ed interventi volti a risolvere errori di progettazione a carico dei contribuenti”

 

Tag: , , ,

Lascia per primo un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.