La vecchia capanna di Beppe

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La pace nella vecchia capanna di Beppe fu disturbata dall’arrivo a Rampica di sua nipote, fissata nel pulire e nel cercare oggetti antichi: quella  capanna era proprio il posto ideale, ma lì vivevano da decenni varie famigliole di animaletti: un topo, sindaco dell’ambiente, una grossa famiglia di pipistrelli, la biscia Jessica e parecchi ghiri.

Quando, dopo anni ed anni, sentirono girare la chiave nella toppa della porta il topolino urlò: “Tutti al riparo, siamo in pericolo!!!”, però era tanto curioso di capire chi stesse entrando che si fece vedere, mettendo fuori il naso tra due tavole del tetto.

La ragazza, amante di tutti gli esseri viventi, lo guardò con estrema dolcezza: “No, non aver paura, voglio solo conoscerti, torna pure nel tuo nascondiglio, piacere di averti incontrato, ti chiamerò Gino, il topolino “ “Gino , il topolino ? Mi piace !” borbottò il topo e per la prima volta in vita sua si sentì bello…

Passati però i primi momenti il topo Gino dovette fare il suo dovere di sindaco e difendere gli amici da quella intromissione, così indisse una riunione straordinaria dei condomini per discutere la situazione e aprì la seduta esclamando: “Quella ragazza sembra gentile, a me piace molto!” Ma uno dei pipistrelli ghignò: “Basta che ti facciano gli occhi dolci e a te piacciono tutte!”

“Fatela finita !” esclamò Jessica “Io penso che bisognerebbe chiederle che cosa vuole fare con questa capanna, curata da noi per più di cinquant’anni!”

Il ghiro capo, rivolto al sindaco, si offrì: “Vengo io con te, domani, a parlare con lei, a nome di tutti e poi decideremo!” Così si sciolse la seduta ed ognuno tornò al suo appartamento.

Il pomeriggio successivo ghiro e topolino si presentarono alla ragazza e le esposero i loro problemi.

Non vi preoccupate, non vi manda via nessuno, solo che a questo piano della capanna io vorrei creare una mostra degli oggetti antichi ma il piano terra è tutto per voi, se siete d’accordo”

I due furono ben felici di portare buone notizie: i primi a traslocare furono ghiri e pipistrelli, perché al piano inferiore l’ambiente era ancora più tetro e ragnateloso dell’altro e poi Gino convinse Jessica a mostrarsi perché innocua all’uomo.

Mentre la nipote puliva un vecchio mobile, lei discese dall’ultimo ripiano con lentezza e grazia, mostrando il suo dorso giallo –verde e la pancia quasi bianca!

“Ah, ah, chi sei? Che vuoi ?” urlò la ragazza in un primo momento, ma poi aggiunse: “Una biscia così elegante non è certo velenosa!” e la lasciò uscire dalla porta principale, invitandola a sistemarsi sulla finestra assolata del pian terreno.

L’ultimo a trovare un bel mucchio di fieno dove dormire e tante noci da rosicchiare fu il topo Gino, che forse s’impadronì del rifugio di un altro suo simile… La pulizia durò vari giorni e tutte le mattine lui si mostrava dalle tavole del tetto alla ragazza che lo salutava con amicizia.

Quando la giovane ebbe finito tutti gli animali vennero a salutarla e lei promise loro di tornare a trovarli.

Qualche mese più tardi, infatti, tornò e allestì una mostra permanente dell’antiquariato, aiutata anche dai suoi amici animali che nel giorno dell’apertura furono ringraziati pubblicamente. Nei giorni successivi poi si mise a pulire e riordinare la casa e la cantina, ma il lavoro era troppo per una persona sola e così ingaggiò gli operai di una ditta traslochi, confusionari, rumorosi e disordinati e fu in questa occasione che conobbe il ghiro Giacomino, vissuto in quella casa abbandonata per anni e che non aveva mai visto entrare o uscire umani, solo qualche animaletto come lui .

Ma ora tutto era cambiato, era un continuo andirivieni di uomini che producevano suoni assordanti e di altre persone che mettevano a ferro e fuoco la cantina e la casa: mobili, sedie, finestre vecchie venivano buttati fuori dalle porte ed ammassati per essere poi smaltiti dalla raccolta rifiuti.

I nidi dei poveri animaletti venivano così danneggiati irrimediabilmente. Che fare? Giacomino pensò ad una riunione urgente per decidere il da farsi.

Dopo aver discusso parecchio ghiri, topi, bisce, lucertole e scorpioni decisero di cercare di spaventare la nipote, ognuno a modo proprio.

Per primo partì Giacomino che, raggiunto dalla cantina l’ingresso dell’appartamento, cominciò a rosicchiare il legno della porta e a emettere versi simili a grugniti. Ma la ragazza, uscita fuori, si trovò davanti un musetto simpatico, con due orecchiette tonde e un codone nero e cominciò a parlargli dolcemente: “Non vogliamo farti del male, sei carino ma  ti prego, lascia questa cantina, altrimenti qualcuno te lo farà… Vai al piano terra della capanna, lì ci sono altri animaletti, anche i pipistrelli”

Poi richiuse la porta e se ne tornò a letto.

Quando Giacomino raccontò l’avventura ai compagni, loro non vollero crederlo: “Te lo sei inventato, bugiardo” e partì una squadra di scorpioni accecati dall’ira, ma quando cercarono di entrare nell’appartamento solo uno ci riuscì, fu subito scoperto ed invitato ad uscire tranquillamente dalla stanza: “Piccolo mio , qui non puoi stare! Sali sul mio aereo di carta che ti faccio uscire dalla finestra” esclamò la ragazza e liberò la bestiola.

Quando il consiglio degli animali si riunì di nuovo per decidere il da farsi, molti si convinsero a trasferirsi nella capanna e a unirsi agli ospiti che già ci vivevano: il topo Gino e la biscia Jessica, tanti ghiri e pipistrelli.

Giacomino diventò amico per la pelle del topo Gino e cominciarono a passare le notti fuori casa, anzi, fuori capanna, fino a che ognuno dei due si formò una propria famiglia, in una casa abbandonata poco distante da lì. Anche molti degli altri animali lasciarono il pianterreno della capanna perché stavano davvero stretti…

La biscia Jessica si unì ad altre ed andarono ad abitare in un vecchio pozzo abbandonato, molto umido e fresco, dove deposero le uova.

I pipistrelli, quando la padrona illuminò la capanna, si allontanarono velocemente in cerca di buio e lo trovarono sotto un vecchio ponte diroccato.

Solo le lucertole,  gli scorpioni e qualche ghiro più pigro degli altri rimasero a vivere in quella stalla, ma per poco perché la stagione delle pulizie non era ancora finita…

Poldina fu l’ultima ghiretta ad abbandonare la cantina dove era nata e cresciuta, dopo che la nipote del proprietario aveva distrutto il vecchio ambiente silenzioso e primitivo .

Spesso arrivava pure un ometto con un paio di forbici e tagliava e riannodava quegli strani fili colorati che per anni lei aveva rosicchiato per curarsi i denti.

Un giorno Poldina si nascose dietro la scatola che conteneva questi fili per vedere meglio com’era fatta una persona, ma poi all’ultimo momento se ne andò spaventata lungo una via di fuga già stabilita.

L’uomo, dopo aver tirato uno scossone, si mise a ridere ed esclamò: “Guarda come hai conciato questi fili elettrici ” La ghiretta non capì che aveva procurato un danno e se ne andò borbottando: “Vai a capirli questi umani…”

Una mattina presto, mentre la natura ancora dormiva, Poldina fece la valigia con le poche nocciole, castagne e noci rimaste ed uscì dalla cantina, poi si voltò indietro e con una lacrimuccia salutò per sempre la vecchia casa in sasso dove aveva trascorso i migliori momenti della sua vita.

Camminò, saltellò, salì sulla cima dei ciliegi ma nessun luogo o fabbricato le sembrava adatto ad una nuova vita ed alla fine si arrotolò sotto un ciuffo d’erba secca per fare un pisolino e piagnucolare senza essere notata.

Ben presto, invece, la videro delle cimici che come lei stavano traslocando ed erano cariche delle loro provviste di polvere, cibo pregiato per loro, fino all’inverosimile: sembravano batuffoli di cotone chiaro…

“Che frigni?” le chiese la capobranco. “Sto cercando un rifugio, almeno per questa notte, ma non sono mai uscita prima d’ora dalla vecchia cantina e non so come fare”

La vecchia cimice volò altissima in aria e poi tornò soddisfatta: “Ho notato una costruzione fatiscente in fondo alla strada mulattiera, dopo la capanna, potrebbe essere adatta per tutti noi”

Poldina ospitò le cimici nel suo codone e partirono.

La vecchia costruzione era un metato cadente, ma che aveva la stanza dei “pesticci” ancora piena di questi scarti delle castagne secche e tutto il soffitto ricoperto di saporita polvere nera.

Il gruppo si fermò lì per tanto tempo, anzi, penso ci sia ancora, almeno che qualche altra nipote non voglia recuperare il fabbricato, ma questa è un’altra storia.

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