Storia del Teatro Differenti. 1795: la storia del nuovo Teatro. (nona parte)

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Abbiamo visto in precedenza che tra gli anni 1793 e il 1795 si lavorerà al nuovo Teatro di Barga degli Accademici Differenti. Un’associazione che ha un buon profilo culturale i cui membri sono sempre venti persone, simile all’anno1688, tempo in cui si fondarono. Dopo più di cento anni, ora che siamo alle soglie dell’Ottocento, ovviamente i soci sono i discendenti diretti o acquisiti delle famiglie originarie, comunque ben radicati nella società barghigiana.

L’inizio del cantiere teatrale, sotto la direzione dell’ingegnere Michele Lippi di Lucca, detto anche capomastro, si ebbe il 16 luglio 1793. Nell’ottobre di quell’anno occorsero quattro travi, certamente per formare il tetto, portati a Barga da Nave di Lucca e il costo fu di Lire 305.  A Michele Lippi, per ogni giorno di lavoro, gli furono accordati dall’Accademia 10 Paoli e si nota che alle sue maestranze per compiere l’opera occorse circa un anno.

Quando fu realizzata la muratura del Teatro ecco che, il 4 luglio del successivo 1794, arrivò a Barga, potremmo dire, il sempre giovane e già famoso scenografo, un disegnatore e pittore di scene teatrali ma anche di paesaggi, il Cavalier Professor Francesco Fontanesi (Reggio Emilia 1751 – 1795). Dalla data di morte possiamo capire che a Barga, come si suole dire, è possibile facesse il suo canto del cigno, infatti, nel settembre di quell’anno 1794, dovette partire per un sopraggiunto malessere, nelle memorie locali, si dice una terribile malattia, che da lì a un anno lo consegnerà alle più belle memorie teatrali d’Italia.

Si è detto che forse qui facesse il suo ultimo lavoro perché, in effetti, ai primi giorni del 1795 egli ricevette un invito per recarsi a prestare la sua opera a un teatro a Londra, all’Haymarket. Quell’invito, però, gli rimase per mesi tra le mani, perché è pensabile che la malattia gli rendesse impossibile un simile viaggio e, in effetti, nell’ottobre morirà. Sarà ricercato anche per altre commissioni che dovette declinare. Per queste e altre osservazioni si prenda nota del libro: L’arte del Settecento emiliano (17).

Nel libro or ora citato si rileva che dopo il 1793, quindi due anni prima della morte, lavorasse a “Barga e Pisa”, questo dato ci porterebbe a credere che, però s’inverta l’ordine di citazione delle città, anche per i suoi ricordati e documentati malanni, lui giungesse a Barga nel luglio 1794 proprio dalla stessa Pisa. In quest’ultima città si potrebbe immaginare di vederlo entrato in contatto con qualche accademico dei Differenti di Barga, un Bertacchi o un Verzani, entrambi appartenenti a famiglie che in alternanza con il luogo d’origine abitavano anche all’ombra della torre pendente. Altra possibilità potrebbe essere la famiglia Mordini, che aveva molti contatti con personalità dell’epoca che ospitava anche nel suo palazzo a Barga. Questi, o uno o l’altro, ma non sappiamo chi, in nome dell’Accademia gli avesse fatto l’offerta di venire a lavorare anche al nuovo Teatro dei Differenti, con la squadra d’artisti da lui capitanata. Questo lo pensiamo noi ma certamente qualcuno, preso contatto con lui per farlo venire a Barga, eccolo arrivare e con lui due allievi più giovani: Cesare Carnevali (Reggio Emilia 1764 – Parigi 1841) e Giuseppe Lucini (Reggio Emilia 1770 – Barcellona 1845), quest’ultimo, il suo preferito.  Ovvio che Carnevali avesse trent’anni mentre Lucini ventiquattro.

La partenza da Barga di Fontanesi, che avvenne il 15 settembre 1794, e come sappiamo dopo due mesi da quando era arrivato, restando pensabile che avvenisse, certamente per la malattia ma, forse, anche perché aveva terminato il suo lavoro di progettazione artistica e pittura del Teatro. Si ricorda che ebbe come compenso per i viaggi, spese e suo lavoro, la somma di Filippi 200. Certamente e comunque, prima di licenziarsi, avrà dato le ultime direttive agli allievi Carnevali e Lucini, circa i modi per ben condurre a termine la commessa. Con loro non rimasero gli altri due personaggi, rimasti ignoti: un Figurista di Pesaro e un Macchinista di Reggio Emilia, perché pare che si fossero fermati solo un mese.

Inutile dire, che dalle professioni di ognuno dei citati si capisce benissimo che siamo nel momento in cui si sta abbellendo la muratura e attrezzando in genere il Teatro, cioè, alla fase terminale dell’impresa dell’Accademia che, da lì a poco, ci introdurrà all’inaugurazione. Ovviamente, anche questa volta, così come fece il pittore Saverio Salvioni per il primo Teatro, per chiudere il boccascena, occorse un bel telone pitturato e questo lo eseguì l’allievo prediletto di Fontanesi, cioè, Giuseppe Lucini, realizzandovi un bosco ma di più non sappiamo. La spesa fu di Filippi 118 ma non c’è dato sapere se sia da considerarsi come importo per l’acquisto della grande tela o comprenda anche la pittura.

A lavorare al Teatro i due restarono sino all’ottobre e quando partirono, ebbero come paga, Carnevali, Filippi 108, mentre Lucini, Filippi 107. I due, per i viaggi che fecero, ebbero Filippi 50. Si parla anche di Filippi 40 spesi per colla e gesso e questo dato potrebbe essere legato alla realizzazione di scagliole, cioè, il finto marmo, che ancora oggi contorna la platea del Teatro e altro.  Inoltre per pennelli e colori andarono spesi altri 60 Filippi.

 

Questi pittori per tutto il tempo che stettero a Barga furono alloggiati a casa del Cavalier Salvi, con una spesa a carico dell’Accademia di Filippi 120, però non è l’attuale che sta all’inizio della rampa che porta al Duomo, perché in quel tempo ancora non c’era. Il palazzo Salvi che noi oggi conosciamo, fu realizzato dopo la metà dell’Ottocento, quindi, non sapremmo dire quale fosse stata la rammentata e precedente casa degli stessi Salvi. Per altro ci resta ignota la residenza barghigiana di Fontanesi e con lui del Figurista e Macchinista, questo perché non ci sono altre spese per affitti oltre a quello che si è citato sopra e, forse, furono ospitati in case di accademici. Il Figurista e il Macchinista che lavorarono al Teatro furono pagati, il primo con Filippi 40, mentre il secondo con Filippi 48.

Il totale finale delle spese per rendere bello e funzionale il Teatro, tolta la muratura, ammontò a Filippi 891, mentre, tra il murare, dipingere, lavori di legname per due anni dal 1793 al 1795, in tutto arrivarono a Filippi 5000. Nel libro “saggi e memorie di storia dell’arte”, volume 27, si dice che Francesco Fontanesi con i suoi allievi, avesse “Dipinto con sorprendenti pitture il teatro degli accademici Differenti di Barga in Toscana, riaperto nel luglio 1795”. Per rendere meglio l’idea di chi fosse Fontanesi, va detto che l’artista aveva dei precedenti straordinari, come le scene per il dramma musicale “I giuochi di Agrigento” di Govanni Paisiello, con cui s’inaugurò l’anno 1792 La Fenice di Venezia. Questa è solo una citazione dei tanti lavori scenografici che realizzò Fontanesi, anche assieme a Carnevali e Lucini, che poi, ognuno di loro, assurgerà a grandi imprese tra Parigi, Madrid, Barcellona, ecc.

Tornando al Teatro dei Differenti vediamo che gli accademici per far fronte alle ingenti spese si indebitassero, anche con alcuni soci della stessa accademia, come con il Pieracchi che sotto il dì 20 novembre 1793 favorì 2000 Filippi. Un Verzani il 20 marzo 1794 mise fuori 450 Filippi. Le Guidi, presumibilmente delle sorelle, misero a disposizione 260 Filippi il 1° luglio di quell’anno, il 15 fu la volta di un Poli con 400 Filippi più altri 100 in seguito, altrettanti li sborsò un Giannelli e poi ancora il Pieracchi, dopo un anno esatto dal primo prestito, e questa volta con Filippi 500. Questi debiti furono per cambiali al censo del 5 ½, solo i successivi 100 del Poli che furono al censo del 5. Per tutti ci fu l’accordo che ognuno avrebbe ricevuto il quinto del capitale più i frutti fino alla totale estinzione del debito, più un altro beneficio non ben capito.

Abbiamo detto in precedenza che a ogni accademico toccò il solito palco che aveva in precedenza il suo avo, però, allora erano venti mentre ora sono aumentati a quarantaquattro, quindi ce ne sono anche da vendere. Uno fu venduto al primo ordine al Menghessi che lo pagò Filippi 170, mentre altri sei furono acquistati al terzo ordine. Quattro si vendettero a Filippi 140, mentre due a Filippi 138. I primi quattro andarono, uno al Nardini, poi a Marchini, Dott. Pistoia e al Rev. Bonanni e Cecchini insieme. Quest’operazione fruttò la somma di Filippi 996. Con quest’atto si pensa che gli accademici riuscissero a rientrare nello speso per abbellire il Teatro, anche se restava a loro carico il contratto debito. Resta pensabile che altri palchi saranno venduti nei tempi a questi successivi.

Queste cifre riportate sopra sono del tutto nuove perché mai sono state pubblicate e servono moltissimo per far capire cosa si mosse e quale relazione c’è tra le diverse spese.

Ci resta da dire di una cosa importante, che lo scrivente pensa che nessuno ne abbia mai parlato. Si allude ai quattro piccoli busti che stanno, due per parte, sui capitelli che stanno al sommo delle colonne che delimitano la barcaccia del Teatro. Cercando di dire qualcosa iniziamo con un’ovvia osservazione, ossia, che non possono essere assolutamente casuali, nel senso che certamente esprimono un qualcosa di ben definito. Guardandole si vede che hanno un portamento regale e non sono delle figure di maniera, cioè delle sculture grottesche. Sono quattro busti: due maschili e gli altri femminili che ci danno l’idea, almeno allo scrivente, che siano lì per osservare anche loro ciò che si farà sul palco. Allora potremmo anche pensare che gli accademici Differenti, con quei piccoli busti, probabilmente, intesero eternare nei tempi dei personaggi che in un certo senso approvano ciò che si farà su quel palco ma chi? Subito l’idea ci corre a due granduchi e consorti, cioè, a chi di loro decise le fortune del Teatro. Per noi uno è Gian Gastone de’ Medici con la granduchessa Anna Maria Francesca di Sassonia-Lauenburg, l’altro Ferdinando III e Luisa Maria Borbone.

Per l’idea di Gian Gastone de’ Medici, a suffragare l’idea di una sua immagine nel Teatro ci potrebbe andare quanto deliberò l’Accademia il 17 luglio 1789, ossia, che la sua immagine fosse esposta nel Teatro e ora, se mantenuta la deliberazione e relativa esposizione, si potrebbe essere aggiunto il doppio con la sua scultura e anche della Granduchessa. Per Ferdinando III e relativa Granduchessa, l’idea è quella che fu lui a decidere, con sua Grazia, che a Barga si potesse riaprire e poi rifare il Teatro. Ovviamente non saranno delle fedeli immagini ma che però, già allora, dessero l’idea che si è cercata di spiegare.

 

Qualcosa va detto anche circa l’esterno del Teatro, della sua semplicità e perché fu concepito così, senza grandi strutture architettoniche che solo a guardarlo desse l’idea di ciò che fosse, mentre si presentava come un anonimo palazzo di Barga, magari con un bel portone contornato da pietre lavorate ma niente di più.  Per fare questo excursus basti pensare a quanto si è già detto, ossia, che negli ormai lontani 1688 si era deciso di comprare una casa per renderla atta a ospitare un teatro, quindi, già allora appoggiante ad altre costruzioni. Già in partenza non si era pensato a fare un qualcosa di nuovo. Forse non c’era neanche dentro le mura uno spazio idoneo per fare un teatro e quella fu la decisione, ossia, di operare su un qualcosa già esistente. Una soluzione che presenterà anche in questi anni del nuovo Teatro i suoi bravi problemi che ancora oggi possiamo osservare guardando il palcoscenico che tende a volgere verso sinistra.

 

Va detto ancora che se di fronte all’ingresso, come oggi, non ci fosse stato in quei tempi il palazzo Micheluccini, certamente era quasi un obbligo abbellire maggiormente ciò che si presentava da lontano come una sia pur mezza facciata. Invece, con il primo Teatro la piccola facciata dava su una piazzetta, angusta, poi allargata, ma pur sempre coperta dal ricordato palazzo.

 

Con il prossimo articolo vedremo cosa si fece per l’inaugurazione del nuovo Teatro.

 

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17)  Anna Maria Matteucci e Autori vari. L’arte del Settecento emiliano – Architettura, scenografia, pittura di paesaggio: Bologna, Museo civico, 8 settembre-25 novembre 1979. Catalogo critico. Alfa, 1980.

 

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