Storia del Teatro Differenti. 1795: la storia del nuovo Teatro. (sesta parte)

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Abbiamo visto nel passato articolo, il quinto della nostra serie, che il 1° ottobre 1785 si formalizza per Barga, con tanto di lettera, il volere di Pietro Leopoldo circa l’alienazione del Teatro. Comunicazione che probabilmente dava tempo partendo dalla pubblicazione del Motuproprio, cioè, dieci mesi per essere smontati quei teatri della Giurisdizione di Barga e se ne fosse rimasto qualcuno se ne desse comunicazione.

Calcolando, vediamo che i dieci mesi corrispondevano con l’inizio dell’anno nuovo 1786, se poi avessero voluto giocare sulla ricevuta comunicazione, si sarebbe andati all’agosto 1786. Chissà quale fu il ragionamento che, sul cessare ogni attività nel Teatro, sortì dall’interno dell’Accademia; noi non lo sappiamo.  Chissà come e cosa discussero circa il futuro? Si tenga presente, però, questo nuovo anno 1786, perché ci sarà per Barga un’occasione straordinaria per far tornare in campo il Teatro e il suo mantenimento, che poi trascinerà sino agli anni del passaggio del trono granducale da Pietro Leopoldo I al figlio Ferdinando III.

Nel precedente articolo si è detto che questo passaggio del trono avrebbe potuto aprire uno spiraglio circa la delicata questione del Teatro di Barga, il suo mantenimento. Se non fu totalmente così, certamente la nuova Reggenza è quella che approverà l’idea dell’Accademia di volerlo, appunto, mantenuto. Correva, infatti, l’anno 1792 quando fu concessa dal Granduca la possibilità di rifarlo ex novo, con l’affido dei lavori da parte dell’Accademia a un capo mastro lucchese, Michele Lippi. Questi aveva già lavorato a ingrandire un Teatro a Lucca, quello dell’Accademia De’ Collegiali, avendo lavorato ancora alla Cattedrale, tutto un curriculum che dal punto di vista tecnico lo rendeva affidabile.

Per Barga però, sino a oggi, niente si sa circa l’intervento di Lippi, nel senso di cosa trovò del vecchio Teatro, quello che manterrà e, quindi, cosa fece di nuovo. Diciamo questo perché non è credibile che atterrasse il vecchio Teatro e dal suolo partisse con un progetto, molto più probabile che avesse lavorato, ingrandendolo anche in altezza, sui muri esterni del precedente, mentre per l’interno è credibile vi fosse tutta una struttura di palchi di legno, lavorati e pitturati, così come si è già visto. Dopo un secolo divenuta, una struttura forse anche bella ma precaria, certamente soggetta a importanti ripassi e quindi prese avvio il progetto dei palchi in muratura, anche con la non trascurabile idea di ingrandire il tutto, non propriamente alle attuali dimensioni ma come ambiente teatrale in se stesso certamente sì, salvi i successivi camerini.

Comunque sia stato sul finire del Settecento, non credendo di sbagliarci più di tanto, cioè, seguendo una nostra intuizione, cercheremo di far seguire qualcosa circa quella data 1786 della visita a Barga del granduca Pietro Leopoldo I, cui si è fatto riferimento circa i pensati momenti in cui gli accademici avrebbero potuto esperire dei tentativi per non perdere in Barga il teatro e questo era uno di quelli certamente ad hoc.

Il Granduca si trovava ai Bagni di Pisa, quando, così si dice sulla Gazzetta di Firenze n. 32 del 1786, da quel luogo prese la via per Barga. Perché dobbiamo fidarci della Gazzetta, semplicemente per il motivo che lì si narra che il Granduca arrivasse la mattina dopo le sette, tramite la via della Giovicchia, al Convento dei Minori Osservanti di San Francesco, distante da Barga circa trecento metri. La curiosità ci fa domandare: a che ora, lui in carrozza, era partito dai Bagni di Pisa? I chilometri da fare erano circa cinquanta, strade accidentate, velocità poco sostenuta, anche perché il Granduca in carrozza è pensabile dormisse, infatti, appena arrivato a Barga, fu subito attivo, allora ci verrebbe da pensare che fosse partito prima delle tre di notte. Tenuto conto che venne in concomitanza con la festa patronale di San Cristofano che cadeva il 25 luglio, con il sole che sorgeva circa alle cinque, tutto è più plausibile.

Certamente la visita era stata annunciata perché ogni chiesa aveva sui campanili, alle corde delle campane, i loro suonatori e quando dal campanile del Duomo, luogo topico, si staccò il primo tocco di campane, con le altre iniziarono tutto un tripudio di suoni, una clamorosa esultanza di festa. Le chiese erano oltre al Duomo, quella di San Francesco, Santa Elisabetta, quella delle suore di San Domenico, la SS. Annunziata, San Felice, l’Assunta della Fornacetta e San Rocco. Tutte le chiese suonavano, specialmente qualcuna, con la speranza che fosse risparmiata dalla soppressione, così come accadde per le Riforme dette Leopoldine, però, poi tornarono efficienti ma … questo è un altro argomento.

 

Di là da queste cose, ecco che Leopoldo prende visione della realtà di Barga e s’interessa a diverse cose, specialmente religiose che non ripetiamo, perché a noi interessa riuscire a capire se si fosse interessato del Teatro, cioè, se qualcuno dell’Accademia dei Differenti lo avesse portato a vederlo anche per rendere erudito il Granduca sulla volontà di Barga di mantenerlo, perché troppo utile alla pur modesta ma fattiva società barghigiana. Niente ci trapela di tutto ciò, solo si dice che fu molto benigno, come già lo era stato nel passato, ma niente si dice del Teatro. Comunque, proprio per l’affetto che il Granduca da sempre aveva dimostrato per Barga, non resta difficile credere che dai notabili più in vista di Barga fosse stato interessato alle sorti del chiuso Teatro. Non si dice ma resta credibile che ciò avvenisse.

Questa visita fu molto importante e produsse molte cose nuove per Barga e specialmente investirono con forza l’aspetto religioso dei due monasteri, San Domenico e Santa Elisabetta che finiranno per essere accorpati a formare, con il secondo, un Conservatorio per l’educazione scolastica femminile. L’abbiamo scritto altre volte ma lo ripetiamo, perché orecchie attente ne possano trarre quell’auspicata forza spirituale morale: da questo Conservatorio, che poi amplierà dalle elementari, man mano, il grado d’istruzione, ecco che nel 1928 nacque la Scuola Magistrale, la prima pubblica scuola superiore di tutta la Valle del Serchio, che alla fine degli anni ’30 diverrà anche maschile.

Non tutto andò in crescendo perché ci furono anche soppressioni di confraternite religiose e anche di chiese, che poi torneranno nelle loro funzioni, eccetto quella di Santa Maria alla Fornacetta e San Felice che furono alienate a privati, poi recuperando con gli anni il loro pubblico servizio, la seconda nell’anno 1835, quando dai proprietari Verzani, fu concessa in uso alla Misericordia che ancora la possiede. Qui però ci fermiamo per tornare al nostro assunto: il Teatro, di cui abbiamo detto che in questa visita granducale, almeno dalle carte che ci restano, parrebbe che non se ne parlasse, però, conosciuta la volontà degli accademici, certamente qualcosa arrivò alle orecchie del Granduca. Questi, la sera tra il 24 e 25 luglio 1786, si narra che riposasse la sua persona dai Nobili Bertacchi di via di mezzo, molto interessati al Teatro assieme ai confinanti Mordini e dirimpettai Pieracchi. Allora ci par di vedere Scipione di Orazio Bertacchi che con tutte le cautele, espone l’ansia di Barga per la forzata chiusura del Teatro, così come espose per lettera il Vicario Regio nel passato ottobre 1785. Qualcosa dovette accadere quella sera perché il Teatro, momentaneamente sospeso nella sua attività, poi, alla fin fine restò, anzi, ebbe la possibilità di essere ingrandito.

Di questa visita ci resta anche un ricordo scritto, ciò che il Consiglio della Terra deliberò in memoria della visita. Una lapide da apporre su di un arco, costruito l’anno 1787, il cui testo lo sappiamo tramite una Gazzetta Toscana del febbraio 1788. È scritto in latino e in buona sintesi pare dica: Pietro Leopoldo d’Austria, il quale aveva già decretato che la sua Barga fosse esentata dalle varie tasse dovute per il trasporto delle merci.  Visitò la città ed esplorò la campagna per due giorni, in modo che benedisse gli abitanti con la liberalità della sua ammissione e del suo discorso, così che consigliò il bene della maggior parte delle cose comuni Ecclesiastiche e Civili, stabilendole saggiamente per la loro felicità futura. La data apposta sulla lapide, probabile decisione della Comunità a farla, era: 9 agosto 1786. Di quest’arco lo scrivente ne prende nota da questo cenno che è sulla Gazzetta Toscana, perché non si è mai imbattuto in testi che lo ricordino. Forse non oltrepassò il periodo francese e napoleonico, quando invalse l’uso di grattare o distruggere stemmi e altro.

Quello che a noi comunque interessa è il finale, dove si dice che il Granduca per le cose ecclesiastiche e civili ebbe un comportamento tanto saggio che ne avrebbe deciso un felice futuro. Ci vogliamo includere anche il Teatro? Se anche un dubbio ci fosse è cosa certa che quei barghigiani, tipo il Bertacchi, che ebbe il Granduca a casa sua, non perdessero tempo e nel caso, sfruttando l’occasione per raccomandargli il futuro del Teatro.

 

In questo pensiero ce li conduceva una memoria del passato, già detta e importante, e allora si torni un attimo a Gian Gastone de’ Medici, quando sotto la sua ala ci mise anche il Teatro degli Indifferenti, sol chiedendo che però cambiassero il nome in Differenti. Ci pare possibile che il Bertacchi, per la sua appartenenza all’Accademia, non abbia ricordato i fasti del Teatro di Barga a Leopoldo I? Noi pensiamo di sì e abbiamo immaginato questo tipo di dialogo a palazzo Bertacchi, prima che il Granduca si accingesse alla notte:

-Signor Granduca, mi hanno detto che oggi, tra le tante cose che ha visto, le hanno indicato anche il nostro Teatro accademico. Mi perdoni l’ardire se umilmente le chiedo: Lei non penserà mica di esser meno dell’ultimo Medici in Toscana, Gian Gastone? So che non lo è! Anzi, tutt’altro!

-Avvocato, perché e cosa sottende questa strana domanda? 

-Niente di brutto ma tutto di bello per Barga, sol che Lei lo voglia!

-Ossia? Si spieghi?

-Signor Granduca senta. Saprà che saranno circa sessant’anni, quando Gian Gastone, che amava la musica e il teatro, per noi di Barga di gran fausta memoria, oddio, ben s’intenda, anche per tutta la Toscana ma qui è rimasto celebre e celebrato il suo nome e sa perché?

-Forse lo intuisco ma vada avanti Avvocato.

-Ecco, con riverenza Le dico che Lui, Gian Gastone, l’ultimo de’ Medici, forse anche per rimaner in questa sua Terra ricordata la sua stirpe, volle omaggiarla del suo tratto e per farlo, altro cosa più bella non vide sennonché quel nostro Teatro degli Accademici, allora ci si appellava Indifferenti, avesse la sua benedizione. La concesse con una sola richiesta rivolta a noi: cambiate quel modo di appellarvi, da Indifferenti vi chiamerete Differenti. E così facemmo ed ecco concessa al nostro Teatro ma anche a noi, la sua altissima benevolenza.

A queste parole quasi soffiate con timore dal Bertacchi, par di vedere il Granduca alzare la testa, elevandosi dal dialogo, come a cogliere in alto un pensiero che vola, catturarlo per portarlo a sé e farlo suo.

-Avvocato, lei mi sta ricordando e riportando al Motuproprio del 1785 circa i teatri in Toscana? Che magari dessi la possibilità a Barga di mantenere il suo Teatro?

-Signore, mi perdoni ancora, a noi basterebbe che Lei pensasse a un modo che non scontenti altri e faccia, come fece Gian Gastone, cioè, contenta Barga.

Il Granduca si trasse dal dialogo, volse piano il fianco per andare, si soffermò col mento tra il pollice e l’indice della mano destra e voltandosi ancora verso il Bertacchi: -Avvocato, non è facile rispondere a questa richiesta! Ora mi ritiro a dormire perché domani c’è lassù il vostro patrono San Cristofano che aspetta.

 Con questo dialogo tutto inventato ma che potrebbe essere stato anche vero, certo, con altre parole e modo, si chiude l’articolo. Si rifletta però su un dato importante, che consiste nel fatto che il 17 luglio 1789, Leopoldo I sempre Granduca, l’Accademia delibererà che “si dovrà tenere nel Teatro il ritratto del Serenissimo Principe Gian Gastone e la sua Arma.” Il Teatro è sempre quello del 1688 e questa delibera la dice lunga circa il nostro assunto, nel senso che Leopoldo I, senza colpo ferire e nonostante il suo Motuproprio del 1785, par che avesse lasciato in vita il Differenti di Barga, magari volendo un futuro restauro, nei fatti e comunque, silenziosamente, forse allineandosi in qualche misura con il dettato di Gian Gastone de’ Medici, che lo aveva preso sotto la sua ala. Gli accademici capirono e a Gian Gastone deliberarono perenne memoria. Questo aspetto della riconoscenza è uno degli aspetti che ci aspetta nel futuro della nostra storia. Per ora fissiamoci appuntamento al prossimo articolo, con cui vedremo quanta e quale fu la vivacità culturale al tempo della momentanea chiusura del Teatro.

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