Il territorio di Barga e l’archeologia ligure apuana: nuove riflessioni

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Le informazioni ricavabili dai ritrovamenti archeologici nell’area dell’attuale territorio comunale di Barga costituiscono una campionatura troppo sottile per consentire valutazioni definitive, che eventuali fortunati recuperi potrebbero sovvertire in futuro alla luce di nuovi dati. A oggi, con dati relativamente assestati, possiamo solo formulare una serie di riflessioni che consentano almeno di inquadrare meglio il problema. Il Barghigiano si può dire abbia il merito storico di aver tenuto a battesimo l’archeologia ligure apuana, perché la più antica attestazione – ch’io sappia- è la testimonianza annotata nel memoriale del pievano Jacopo Manni a proposito dell’anno 1492 quando presso il Renaio di Fornaci (non l’omonima località alpestre) viene casualmente rinvenuta (a seguito d’una frana) nel mese di marzo una tomba di qualche non meglio specificato «paghano sepellito lì come facevano al loro tempo» (per gli Etruschi, territorialmente assai più diffusi, si risale indietro al tardo Duecento, con Restoro d’Arezzo che ricorda il rinvenimento di alcuni vasi figurati arcaici).

Una prima considerazione si impone: gli affioramenti di Monte Ceneri a Castelvecchio Pascoli, a San Quirico di Albiano, al Castellaccio presso la pieve di Loppia e in Val di Vaiana sono costituiti esclusivamente da resti di tombe a cassetta, tipiche dell’uso funerario ligure, isolate o raggruppate e piccoli nuclei, dotate di corredi. Non sono mai emersi resti di una frequentazione quotidiana come frammenti ceramici o resti di strumenti d’uso corrente, come nell’area di Gallicano, di Molazzana o di Pian della Rocca, e questo qualcosa suggerisce. Il medio corso del Serchio sembra aver costituito il limite fisico tra due usi diversi delle due sponde. Si delinea infatti l’esclusiva utilizzazione di questa ampia porzione di territorio (al di là del fiume, visto dagli Apuani, e la cosa ha un suo significato) come area sacra sepolcrale, un vasto recinto sacro (témenos) unitario i cui confini non corrispondono ai limiti fisici degli affluenti di sinistra del Serchio, almeno per quanto concerne il torrente Corsonna: i ritrovamenti di Castelvecchio e Albiano in questo sono eloquenti, mentre per ora nulla può essere affermato dell’Ania per l’assenza di evidenze archeologiche nei pressi della sua sponda meridionale. L’areale appare di tutta evidenza sin troppo vasto per l’esiguità delle tombe identificate e, più in generale, per ogni forma insediativa ipotizzabile nella media valle del Serchio. Questo solleva un interrogativo cui per ora è difficile trovare risposta: a chi era destinata la grande area cimiteriale barghigiana? Prima di lanciarsi in ipotesi per ora spericolate si impone un’osservazione preliminare: tale destinazione d’uso mostra l’inequivocabile rinuncia di principio a una porzione di territorio che per natura del terreno, fertilità ed esposizione al soleggiamento sarebbe stata assolutamente pregiata per gli antichi abitanti della valle. Ai defunti viene destinata un’area indubbiamente privilegiata. Non sappiamo se, in presenza di sepolcreti non addensati, l’area fosse destinata comunque al pascolo o alla coltivazione, ma l’assenza di resti archeologici d’uso rende piuttosto labile, e comunque tutta da dimostrare, questa possibilità. Evidente in questi antichi abitatori della valle del Serchio un forte sentire del sacro, una dimensione religiosa e sacrale strettamente legata al culto degli antenati, che è un dato che affiora anche nelle fonti latine, Livio su tutte, quando parla dei Liguri che implorano di non essere deportati per non recidere il legame con le terre degli avi. La manciata di tombe del territorio di Barga tuttavia sembra discordare con le informazioni di Livio e permette di stabilire che non si tratta né dei Liguri Baebiani né dei Corneliani, così chiamati dai consoli (Publio Cornelio Cetego e Marco Bebio Tamfilo) cui si sono arresi accettando la deportazione (nell’allora semispopolato Sannio), che forse erano Apuani dell’alta valle del Serchio (gli eserciti consolari scendevano dai passi emiliani o da Luni, non risalendo da Lucca verso nord). La cronologia delle nostre tombe, scavalcando l’epoca dei fatti, dimostra una continuità d’uso che scende sino al I secolo a. C. e sta a dimostrare che gli eventi citati dalle fonti latine (la storia scritta dai vincitori…) non corrispondono del tutto ai dati reali. L’area sacra di Barga resta saldamente ligure e nessun rinvenimento ha testimoniato una sovrapposizione coatta romana, anzi a dire il vero nemmeno la traccia della benché minima presenza romana. I dati, come sempre, sono da considerare provvisori e non è il caso di forzarne la lettura sino a spingersi ad affermare che gli Apuani l’avessero in qualche modo fatta franca o che i Romani avessero uno scarso interesse per il territorio lasciando in vita le tradizionali forme del popolamento locale. Il problema deve considerarsi irrisolto: mancano troppi dati per azzardare una ricostruzione esaustiva della vicenda. La pressione demografica sembrerebbe relativamente rarefatta, se giudicata dai pochi sepolcri sin qui emersi, ma mancano i dati di un’indagine più sistematica. L’impressione che si può ricavare è di una popolazione assottigliata dopo le guerre contro Roma, ma non assoggettata. Purtroppo, è solo un’ipotesi, o poco di più.

Roquepertuse

Più interessante interrogarsi su quale possibile criterio avesse guidato questi antiquissimi nella scelta e nella delimitazione della loro area sepolcrale, tutta posta al di là del grande fiume. Si è visto che i corsi d’acqua minori non sembrano aver avuto in questo un fattore significativo: la Corsonna attraversa ma non perimetra il vasto territorio destinato a sepolcreto. Resta a mio parere un’ipotesi, sinora mai formulata se non in modo embrionale nel mio saggio su Le origini di Barga e il culto di San Cristoforo del 2009: il fondamentale rapporto visuale col Monte Forato, che costituisce non solo un importante riferimento calendariale ma si lega, attraverso il passaggio del sole nel foro naturale o il tramonto di Sirio tra le due vette, a evocare il passaggio tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti. Il tema caro alla religiosità ligure della Pietra Pertusa, della Pietra Forata, assume una forte determinazione sepolcrale nel caso di Roquepertuse in Provenza, altra area di consolidata presenza ligure (riferita, in questo caso, ai misteriosi Salluvii di cui fa cenno Plinio, Naturalis Historia, III, 47). Si tratta di una situazione orografica per certi versi assimilabile a quella di Barga, l’acropoli di un altipiano – peraltro assai meno esteso – dominante la valle dell’Arc nei pressi di Velaux nell’entroterra Marsigliese. I resti di un portico trilitico, con cavità artificialmente create per accogliere teschi umani (a quanto sembra non provenienti da un unico evento traumatico ma sedimentatisi nel tempo), sono la più celebre testimonianza di un sito popolato dai Liguri Salluvii sin dall’età del ferro e abbandonato nell’ultimo quarto del II secolo a.C. che ha restituito anche piccole steli (in genere monoliti ovoidali), nicchioni scavati nella roccia, statue di guerrieri sedute e immagini di divinità come l’Hermes-Ianus bifronte (divinità non facilmente identificabile ma chiaramente psicopompa) nella locale pietra di Cadoux. Altri elementi decorativi sono di grande interesse: il fregio a teste equine (il cavallo assume anche in questo caso una funzione psicopompa) e il frammento di grande uccello, probabilmente un cigno (chiaro il rapporto col culto solare) che evoca il mitico re ligure Kyknos (Cigno) menzionato da Virgilio nel libro X dell’Eneide. Nel caso toscano emerge un carattere militare molto più tenue, assolutamente imparagonabile con quello del sito provenzale, che sembra evocare l’accenno di Lucano (Bell. Civ., I, 449) sui Liguri che davano nuova vita agli animi forti dei loro compagni persi in battaglia. A differenza di Barga, qui siamo di fronte a un santuario antico (V secolo a. C.) ampliato e sviluppato nel III secolo con radicale ripensamento dei codici religiosi, il che lo rende, assieme a una complessa stratigrafia, un caso celebre ma assai difficile da analizzare. La diradata area sacra del Barghigiano, sul cui baricentro sorgerà, in posizione dominante, il tempio cristiano dei santi Iacopo e Cristoforo (notevole esempio di continuità della sacertà del luogo, con l’intitolazione al santo traghettatore Cristoforo che recupera anche la funzione di guida delle anime nell’aldilà e il senso del limes difficilmente valicabile del fiume Serchio), era verosimilmente destinata a Liguri Apuani, collocati in modo di poter continuare a godere, dopo la morte, della vista delle «loro» montagne. Ciò non esclude che la media valle del Serchio non fosse frequentata da altre confederazioni tribali liguri, per esempio dai Friniates che discendevano la valle della Lima. In questo caso però le loro montagne sacre andranno cercate lungo il crinale appenninico modenese, del tutto distante dal cono prospettico costituito dal Monte Forato, la grande montagna sacra del passaggio, della grande porta di roccia. È quest’ultimo, col suo inconfondibile e unico profilo, a innescare pratiche cultuali su cui è calato il buio più fitto ma che, con la millenaria sacralizzazione dei luoghi, ha lasciato ancora oggi un’impronta indelebile al territorio.

 

Commenti

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  1. interessante

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